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New Rose Hotel
Anno: 1998
Regista: Abel Ferrara;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 13-10-1998


Pochi tratti caratteristici, un tuffo nell’abisso di una memoria confusa, un’ambiguità marcata all’interno di una realtà già di per sé tortuosa, differenti punti di vista che si intersecano nel tentativo di una problematica ricostruzione di avvenimenti in

New Rose Hotel

di Abel Ferrara; con Willem Dafoe, Asia Argento, Christopher Walken; Usa 1998; colore; 98 minuti.

Pochi tratti caratteristici, un tuffo nell’abisso di una memoria confusa, un’ambiguità marcata all’interno di una realtà già di per sé tortuosa, differenti punti di vista che si intersecano nel tentativo di una problematica ricostruzione di avvenimenti incerti: Abel Ferrara propone la sua personalissima visione di un cinema postmoderno, figlio spurio di paranoie ed ossessioni che si allacciano a schemi e consuetudini ormai consolidatisi nel corso degli anni. New Rose Hotel parte laddove si era concluso Blackout; ciò che era cortocircuito mnemonico diventa attento recupero di fatti, sensazioni, gesti e modalità; quello che narrativamente era una semplice ellissi, diventa ipertrofia, ripetizione, iterazione. L’abisso della memoria si trasforma in un promontorio di ossessioni e paranoie recuperate retrospettivamente, mentre le immagini videoregistrate scompaiono per essere soppiantate da inserti soggettivi chiarificatori.

Il recupero della memoria assurge a centro drammatico del racconto, restituendo senso alla globalità dell’operazione e dandone i connotati fondamentali per la ricostruzione ‘a posteriori’ da parte dello spettatore. Il cinema postmoderno di Ferrara parte (e si conclude) con l’inferenza del pubblico, chiamato a reintegrare quello che il testo solo suggerisce, conferendo la possibilità di una lettura stratificata, sovrapposta e deduttiva di inquadrature accumulate, filtrate attraverso la soggettività di una memoria vacillante ed insicura. Le prospettive del recupero differiscono, spostano il punto di vista da oggettivo a soggettivo, se non fosse che attraverso la focalizzazione del personaggio interpretato da Dafoe passa tutta l’oggettività del sapere del pubblico. Un cinema postmoderno che recupera doppiamente la sua dimensione passata, riavvolgendo la narrazione su se stessa ed assegnando un’importanza fondamentale al recupero dell’anteriore inteso come memoria, interna al film e metacinematografica. Ferrara ignora gli elementi profilmici ed il loro potenziale significante per concentrare l’attenzione sui rapporti tra i personaggi e sulla cura dei dettagli chiarificatori. Un piccolo microchip che ritorna in differenti riprese e differenziate modalità di rappresentazione (in pellicola e in video) è la molla metaforico-drammatica per svegliare coscienze annichilite da flussi di immagini che vorticano senza soluzione di continuità; un ammiccamento di Sandii verso la macchina da presa dà la misura del gioco instauratosi tra autore e pubblico. È un puro spostamento di focalizzazione, ma basta per dare un senso a tutta la pellicola.