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Sliding Doors
Anno: 1998
Regista: Peter Howitt;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 10-09-1998


Sliding Doors di Peter Howitt
Regia:Peter Howitt
Sceneggiatura: Peter Howitt
Interpreti: Gwyneth Paltrow, John Lynch,
John Hannah, Jeanne Tripplehorn

Produzione: Sidney Pollack, Phillippa Braithwaite
Distribuzione: Medusa
Formato: 35 mm.
Durata: 99 min.
Provenienza: GB
Anno: 1998


Il film si basa su una sceneggiatura costruita precisamente e recitata con maniacale attenzione ai modelli di riferimento, che fonda parte della propria efficacia sul riconoscimento dello stereotipo (Woody Allen per Jerry, Monthy Python per James), dipanandosi intorno ad un'interprete magari non intensa, ma gradevole e non mono-espressiva; addirittura viene inserito un personaggio sufficientemente caustico che funge da paradigma per l'atteggiamento richiesto agli spettatori per godere del racconto (l'amico di Jerry che al pub lo sbeffeggia: "Vuoi il mio parere?" "Mi piacerà?" "Certo che no: è fondato sulla verità"): dunque un lavoro in cui non c'è spazio per interpretazioni impreviste, che possano dare adito a perplessità?

Eppure qualche dubbio sorge spontaneo: i britannici che producono film senza l'impronta sociale di Loach, che ci alliscia adescandoci con le grandi narrazioni di cui siamo già convinti a priori, si affidano a storie costellate di battute talvolta esilaranti incastonate in una struttura ad episodi, come in Big Fish, perché risulta più facile controllare la materia, o perché si coinvolge maggiormente il pubblico riproponendo situazioni appena viste?

E qui è la saga della ripetizione: recitate più volte le stesse battute da personaggi diversi, si gioca sulla riedizione di situazioni negli stessi luoghi intrecciando universi paralleli. La profusione di racconti doppi è da ascriversi a carenze di inventiva per cui battute uguali vengono ripetute ricercando l'effetto stereo per stupire con facili strizzatine d'occhi ribadite dal fatto che si esternano esplicitamente i meccanismi che sottendono al gioco, oppure in questo modo attraverso due storie che seguono contemporaneamente i canoni dei più stantii registri della commedia a chiave non ci si accorge del loro essere ormai risapute e pertanto si produce un canovaccio apparentemente nuovo, mentre in realtà è un patchwork di repertori travestiti?

La superficialità che stempera l'inquietante intuizione della fatalità che regolerebbe la vita in totale assenza del libero arbitrio (Haneke) è ricercata per impedire che emerga lo sconforto per l'impossibilità di indirizzare la propria esistenza su binari diversi da quelli che impongono di affrontare certe situazioni inevitabili e quindi è pericoloso in quanto accetta un atteggiamento rassegnato (qui neanche messo in dubbio come nelle vite parallele delle due violiniste di Kieslowski di La vita di Veronica), o perché il target inseguito dagli autori si immagina debba essere sviato sul piano meno pericoloso e più rassicurante della commedia sentimentale?

Al di là della condizione di precipuo interesse derivante dalla storia parallela, narrata da subito saltabeccando tra i due conviventi al risveglio con un montaggio alternato così stringato e ritmato da diventare lungo tutta la pellicola un montaggio intrecciato (attento ad evitare incoerenze più che a creare situazioni veramente originali), che presenta talvolta le due Helen sullo stesso set nello stesso tempo, non sarà che si adottano entrambe le storie, che trascorrono senza grosse differenze parallelamente perché non si sa quale intreccio scegliere tra i due canovacci che non a caso conducono a epiloghi opposti, nonostante le riedizioni delle situazioni? Oppure perché in questo modo si possono toccare tutte le corde dei sentimenti rappresentabili in una commedia, attribuendole ora all'una e ora all'altra e consentendo di districarsi tra i due plot simili, girati nelle stesse location, grazie all'espediente dell'acconciatura e degli abiti diversi di Helen?

L'intuizione migliore era quella di fare collidere le due situazioni, ma ciò avviene solo tre o quattro volte in tutto il film e sempre per sottolineare un 'intervento destinale ineluttabile e non controllabile, anziché insistere sullo spaesamento che avrebbe potuto derivarne. A cominciare dalla prima occasione, quando la Helen che ha perso il treno "vede" con il nostro occhio della macchina da presa la Helen passeggera. Il meccanismo è al servizio dell'epilogo ferale, consentendogli di confluire naturalmente nell'altra vicenda, riproponendo la soluzione della narrazione estinta avendo già superato lo snodo contemporaneo dell'incidente, vero perno attorno a cui ruota tutto per concludere la dicotomia iniziata con le porte della metropolitana invalicabili se una bambina blocca il passaggio, ma varco aperto su un percorso alternativo, che non è detto sia positivo, qualora l'impedimento infantile sia rimosso: infatti conduce al finale "sbagliato". Questi due episodi, l'ineludibile incidente finale e il bivio rappresentato dalla bambina (che però non rappresenta una possibilità di scelta, perché è comunque eterodiretto) sono gli episodi essenziali, il resto è contorno al punto che, spesso con valenze opposte, compare tutto in entrambi i percorsi (ed il giochino esplicito diventa stucchevole, quasi ci s'aspetta o si "prevede" la battuta o la circostanza, benché non si possa anticipare l'effettivo valore della citazione dai Monthy Python), e anche la profusione di porte che si aprono e chiudono, ascensori su cui si ha accesso o meno, non possiedono la stessa potenzialità di quelle porte sull'alternativa. Sono sempre nuove porte cloni di quella che ha innescano l'anomalia, come quelle appoggiata allo stipite delle quali Helen piange a dirotto sul nuovo presunto tradimento.

Due guizzi interessanti. James alla ricerca affanosa di Helen ripercorre a ritroso in un lampo tutti i luoghi che abbiamo visto e rivisto più volte teatro delle due storie contemporanee e che nel veloce montaggio rivediamo proiettati verso il passato: una memoria comune, che sintetizza il racconto. Sull'ultimo ascensore Helen conosce la battuta dei Monthy Python per caso, o perché comunque si suppone che rimangano reminiscenze dell'altra vita parallela vissuta alternativamente?