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Wolfskinder – Wolfschildren
Anno: 2013
Regista: Rick Ostermann;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Germania;
Data inserimento nel database: 27-09-2013


“Tento solo a non morire di fame.” La Prussia orientale è un territorio compreso, in questo periodo, fra Polonia, Russia e Littuania. Gli inizi dello scorso secolo era Germania e la popolazione tedesca. Era divisa dalla Prussia Occidentale dal corridoio polacco di Danzica. Dopo la seconda guerra mondiale, la Prussia orientale fu occupata dai russi e la popolazione germanica fu deportata o costretta alla fuga in Germania. Wolfskinder – Wolfschildren del regista tedesco Rick Ostermann ci racconta un momento dell’invasione, attraverso gli occhi di due bambini. Hans è un po’ più grande di Karl. Sono in fuga, rimasti soli con la madre gravemente ammalata. Sono sporchi, vestiti di stracci, abbandonati. Nonostante siano dei bambini, sono cresciuti alla svelta. Devono procurasi del cibo. Il film inizia con un primo piano di un bambino colorato, pieno di luce, in aperta campagna, sebbene sia lurido, con abiti lacerati, con orecchie a sventola, è bello. Ha preso delle uova da un nido ma cadendo dall’albero si sono rotte nella lercia borsa. Ma hanno fame e iniziano a leccarla. I due fratelli sono diversi. La loro ricerca del cibo continua. Arrivano dei soldati a cavallo. Si fermano davanti a una caserma ed entrano. Il piccolo Karl, coraggioso e impertinente, di soppianto raggiunge un cavallo e silenziosamente lo porta via. In una chiesa abbandonata, mentre Hans accarezza il docile animale, da fuori campo sentiamo un forte colpo. Karl ha sparato al cavallo, e in primo piano osserviamo il volto triste del fratello. Inoltre alla morte della madre Karl avvisa il fratello con freddezza : “Hans svegliati, la mamma è morta.” Hans, come durante l’episodio della morte del cavallo, inizia a piangere di fronte al corpo della madre, mentre Karl prepara le poche cose per andarsene. Da questo momento inizia un lungo viaggio nell’affascinante e solare campagna. Sarà un viaggio composto di tanti bambini incontrati anche per poco tempo. Perché le vittime sono tutti i bambini. Rick Ostermann ci presenta un campionario di ragazzini di tutti i tipi. Alcuni avranno una triste sorte, altri saranno accolti da delle famiglie rimaste senza figli a causa della guerra, un bambino sarà venduto dagli altri per due mele. Gli affetti fra loro sono effimeri, amorevoli ma immaturi, formano irreali nuove famiglie: “Ora sarò io vostra zia.” A dispetto della drammatica situazione, rimangono dei fanciulli. Sono cresciuti tristemente, ma lottano per sopravvivere, e quando riescono, si attaccano al gioco. Si gettano allegramente nel fiume e cominciano a nuotare. Permane la voglia di vivere. È una regia elegante, con movimenti semplici della camera. Campi lunghi ma predilige i primi piano per i ragazzini. Il tutto è immerso nella luce brillante e radiosa della campagna. Un verde allegro, colorato, pieno di vita. Si crea il contrasto con i bambini. Perfino loro sono dipinti ma di sporcizia, di croste e di ferite. Non ci sono lunghi dialoghi, i bambini comunicano con i gesti, con gli sguardi. Il film si basa su una tecnica facile. Non c’è volontà di procurare pietismo. Ignoriamo il futuro di Karl e Hans, ma sappiamo che il loro posto lo possono prendere altri milioni di vittime, ovunque nel mondo, anche oggi. Una bella pellicola d’autore coraggiosa. Certo non mancano alcune immagini stereotipate, come le nuvole che avanzano e gli uccelli in volo. Ma si tratta di piccolezze.