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Jackie Brown
Anno: 1997
Regista: Quentin Tarantino;
Autore Recensione: luca aimeri
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 08-04-1998


Untitled

Jackie Brown

Tit. or.: id. Regia: Quentin Tarantino. Sceneggiatura: Quentin Tarantino. Dal romanzo: Rum Punch, di Elmore Leonard. Fotografia: Guillermo Navarro. Scenografia: David Wasco. Costumi: Mary Claire Hannan. Montaggio: Sally Menke. Prodotto da: Lawrence Bender. Cast: Pam Grier (Jackie Brown), Samuel L. Jackson (Ordell Robbi), Robert Forster (Max Cherry), Bridget Fonda (Melanie), Michael Keaton (Ray Nicolet), Robert De Niro (Louis Gara), Michael Bowen (Mark Dargus), Lisa Gay Hamilton (Sheronda), Tom 'Tiny' Lister Jr. (Winston), Hattie Winston (Simone), Denise Crosby (Public Defender), Sid Haig (Judge), Aimee Graham (Amy, Billingsley Sales Girl), Chris Tucker (Beaumont Livingston), Ellis E. Williams (Bartender), Tangie Ambrose (Other Billingsley Sales Girl), T'Keyah 'Crystal' Keymáh (Raynelle), Venessia Valentino (Flight Attendant), Diana Uribe (Anita Lopez), Renee Kelly (Cocktail Waitress), Elizabeth McInerney (Bartender), Colleen Mayne (Girl), Laura Lovelace (Waitress). Produzione: Lawrence Bender Productions/Mighty Mighty Afrodite Productions/A Band Apart/Miramax Films. Usa, 1997. Colore: CFI. Durata: 2h e 33'.

Nella colonna sonora: Across 110th Street - Bobby Womack; Strawberry Letter 23 - Brothers Johnson; Who Is He (And What Is He To You?) - Bill Withers; Tennesse Stud - Johnny Cash; Natural High - Bloodstone; Long Time Woman - Pam Grier; Letter To The Firm, (Holy Matrimony) - Foxy Brown; Street Life - Randy Crawford; Didn't I Blow Your Mind This Time - The Delfonics; Midnight Confessions - The Grass Roots; Inside My Love - Minnie Riperton; The Lion And The Cucumber - The Vampire Sound Incorporated; Monte Carlo Nights - Elliot Easton's Tiki Gods.


It's a quiet film, but my idea of quiet may not be anyone else's.

(Q. Tarantino)

Narra la leggenda (ma pare un fatto accertato) che Tarantino all'età di quindici anni si sia messo nei guai, facendosi arrestare (quantomeno, fermare) per aver rubato da un market K-Mart un romanzo di Elmore Leonard, The Switch. Il nuovo film di Tarantino, Jackie Brown, è un adattamento del romanzo Rum Punch dello stesso Leonard. La curiosità sta nel fatto che i due criminali Ordell Robbie (interpretato sullo schermo da Samuel L. Jackson) e Louis Gara (Robert De Niro) protagonisti del romanzo Rum Punch avevano fatto la loro prima comparsa nell'universo letterario di Leonard proprio in The Switch. Ancora a Leonard, Tarantino si dichiara debitore per quanto concerne l'attenzione ai personaggi, e soprattutto per i suoi famosi dialoghi: è dallo scrittore che lo sceneggiatore-Tarantino avrebbe imparato ad intendere questi ultimi come veri e propri «commentari» sulla cultura pop.

Che cosa ci si aspettava dal nuovo film di Quentin Tarantino, dal «ritorno di Tarantino»? Esordio bomba con Reservoir Dogs (Le iene/Cani da rapina, 1992); ascesa all'olimpo-cult con Pulp Fiction (1994) e consacrazione ad astro degli "indipendenti" con la Palma d'oro a Cannes; mossa sbagliata con il discutibile Four Rooms (id., 1995) e conseguenti ripensamenti sul suo fulgore... Due passi avanti, uno indietro? Detrattori in attesa, arrotanti coltelli; estimatori titubanti quando non preoccupati: qualsiasi movimento in territorio black-comedy avrebbe spinto Tarantino in qualche forma di baratro. Arriva finalmente Jackie Brown e... ogni bollore sembra raffreddarsi, ed i poli positivo e negativo sembrano convergere in una cauta e neutra presa di distanze: con Jackie Brown l'enfant prodige ha evitato il tiro al bersaglio, ha spiazzato tanto che sono state snocciolate parolone come svolta, maturità, ricerca ecc. Grande manager di se stesso, Tarantino sa calcolare momenti e passi (accortezza e fiuto che ha ampiamente dimostrato nel rilanciare l'immagine e la carriera di John Travolta - operazione che tenta di bissare con Robert Forster e Pam Grier in questo suo ultimo lavoro)... La sua posizione, conquistata in un lampo, era esposta al rischio di una altrettanto veloce deperibilità: alla prima avvisaglia di cedimento (Four Rooms) ha saputo rallentare la sua corsa. Lo si aspettava al varco: e Tarantino ha finto di passare altrove, scivolando tra le lame indenne nonostante tutto. La soluzione che ha trovato è stata quella di utilizzare uno scudo, cioè il romanzo di Elmore Leonard: ha in sostanza arginato la propria personalità filtrandola in quella di un altro scrittore. Già, perché l'ingombro ed il rischio erano dati non tanto dal Tarantino-regista ma dal Tarantino-sceneggiatore.

Facciamo qualche passo indietro: quanti sono i film di Quentin Tarantino? Dopo i lavori citati, Jackie Brown è il suo terzo lungometraggio (al pari degli altri, rigorosamente: sceneggiato e diretto); e Four Rooms? Di scritto e diretto da Tarantino c'è solo l'episodio "L'uomo di Hollywood"; eppure l'intero film è stato atteso come un suo film; e quando si è rivelato un film mediocre nel complesso, il demerito è stato accollato in blocco a Tarantino...: perché era stata un'operazione fortemente voluta da Tarantino; perché l'aria che si respirava era di "casa Tarantino"; perché era una black-comedy; ma soprattutto perché quello che si voleva (e che si è cercato in Four Rooms) era "il nuovo film di Tarantino" dopo il fenomeno Pulp Fiction. (Ed invece il salvabile si è rivelato Robert Rodriguez). Quindi la filmografia di Tarantino è composta di tre lungometraggi e di un mediometraggio, ma in realtà è comunemente intesa come composta di quattro lungometraggi. Ma è finita qui? Assassini Nati (Natural Born Killers, 1994)? E' un film di Oliver Stone a tutti gli effetti: regia e cosceneggiatura. Ma anche su questa operazione aleggia più che pesante la presenza di Tarantino: perché la sceneggiatura originale era sua; perché è stato accreditato come autore del soggetto; ma soprattutto per la bagarre che Tarantino ha saputo costruirvi intorno... ricordate lo scontro Stone-Tarantino su come il primo avrebbe (ed effettivamente aveva*) distorto la sceneggiatura originale del secondo? Quando Tarantino sosteneva di volersi dissociare dall'operazione ritirando il proprio nome dai credits della pellicola lo faceva certo ad arte (sfruttando lo "scandalo" suscitato dal film di Stone spingeva l'uscita parallela di Pulp Fiction e si difendeva da eventuali attacchi sulla grottesca violenza contenuta nel proprio film differenziandola da quella estetizzante di Assassini nati), ma al contempo (forse per la prima volta a questi livelli) dava risonanza mondiale al lamento dello sceneggiatore nei confronti della prevaricazione del regista nel processo ideativo e realizzativo... In altri termini: sosteneva, forse involontariamente, l'autorialità dello sceneggiatore. E Assassini nati, in un modo o nell'altro, diventava - ancora una volta - un film di Tarantino: paradossalmente, un film di un altro (e non come nel caso di Four Rooms, in cui Tarantino era effettivamente presente), un film che lo stesso Tarantino sosteneva essere distante da se stesso, veniva ricondotto a lui. E si trattava di una black-comedy. Andiamo indietro di un anno, risalendo a Una vita al massimo (True Romance, 1993): un film diretto da Tony Scott e sceneggiato da Tarantino. Per chi lo conosce (il passaparola che lo ha progressivamente ri-portato alla luce ruota-va sul nome di Quentin), quello è un film di Tarantino, non certo del fratello di Ridley Scott (sebbene i suoi film abitino con regolarità le classifiche del box-office, Tony Scott non è certo riconosciuto come una «griffe» prestigiosa, semmai gli vengono riconosciute doti di buon artigiano; in sostanza, si ricordano i titoli e non il regista; quindi, in questo caso, il gioco di slittamento di paternità del film era/è facile); un film di Tarantino, si diceva: perché la sceneggiatura è di Tarantino; perché i dialoghi e le situazioni sono in linea con quello che sarebbe stato consacrato da Pulp Fiction come «stile Tarantino»... E si trattava, anche in quel caso, di una black-comedy. Lo scorso anno è uscito sugli schermi Dal tramonto all'alba (From Dusk Till Dawn)... un film diretto da Robert Rodriguez, ma scritto da Tarantino. Atteso come «il nuovo film di Tarantino», fruito come «il nuovo film di Tarantino». Ed era una commedia nera, spinta verso l'orrorifico, ma pur sempre una commedia nera, con i dialoghi, i ritmi, le situazioni al limite del surreale, la giocosità narrativa, la cinefilia ecc., che ci si aspettava da «l'autore di Pulp Fiction». Dunque la filmografia del nostro è ben più ampia dei tre lungometraggi da lui realizzati: è comprensiva anche dei lavori cui lui ha partecipato (come regista; non vogliamo entrare nel merito delle interpretazioni, ma ci sono black-comedies -guarda caso- mediocri come Mister Destiny che sono state viste dal pubblico proprio per i ruoli secondari interpretati da Tarantino, e sono state dunque fruite come film di Tarantino; ma questo è ancora un altro discorso...) e soprattutto dei lavori che ha scritto. Tarantino è forse l'unico caso di sceneggiatore riconosciuto come vero autore del film. Perché nel «caso Tarantino» contano la materia narrata (i personaggi, i dialoghi, un certo tipo di rappresentazione della violenza, la catalogazione dell'immaginario pop, la cinefilia e il citazionismo ecc.) e l'organizzazione della stessa secondo una struttura narrativa che, nei suoi film (Una vita al massimo e Assassini nati sono stati rimaneggiati, ma in origine rispettavano il criterio**), si ripete/si evolve di script in script fino a farsi formula - e che l'autore definisce meccanismo "answers-first/questions-later" (inversione di causa ed effetto; ellissi che vengono colmate solo in un secondo momento). Senza dimenticare l'appartenenza dell'intera produzione ad un determinato filone, quello della black-comedy (percorso in svariate direzioni, dosando il nero e la commedia in differenti percentuali). E' principalmente ciò che è riconducibile alla sceneggiatura che rappresenta la cifra dello «stile Tarantino», che lo ha fatto conoscere ed ha reso (e rende) riconoscibile la sua "mano": è tale la forza della sua scrittura, che la seconda scrittura che è costituita dalla regia nel suo caso rimane sbiadita, in secondo piano, quasi in ombra - cinema di sceneggiatura più che di regia (almeno a colpo d'occhio).

Che cosa ci si aspettava dal nuovo film di Tarantino? Un film tarantiniano, secondo formula: una black-comedy; una storia di "insoliti criminali" costruita sull'alternanza tra toni opposti; spruzzate di sangue e risate di sfogo; dialoghi-fiume sulla pop-culture (tra musica, cinema, televisione, fumetti e hamburger); il tutto architettato secondo una struttura narrativa stupefacente degna di quel prestigiatore della narrazione che è Tarantino. Ma ci si aspettava anche Il Passo Falso: che era inevitabile - effetto-boomerang di un film come Pulp Fiction, probabile approdo delle metamorfosi evolutive di quella formula (un "Pulp Fiction Bis" sarebbe stato ripetitivo; un "Pulp Fiction Minore" sarebbe stato una delusione; un "Pulp Fiction Maggiore" era improbabile e comunque sarebbe stato bollato come manieristico). Tarantino, tuttavia, ha imboccato una strada intelligente ed è riuscito ad ovviare ai rischi. La prima mossa vincente, come detto in apertura, è stata quella di arginare la propria personalità di sceneggiatore: Jackie Brown è un adattamento di un romanzo; la libertà dello sceneggiatore, dunque, per quanto ampia, è minore rispetto al caso di uno script originale. Il maestro Elmore Leonard corre in aiuto del prodigioso allievo Tarantino (le influenze costituiscono un territorio ancora tutto da esplorare): una rete di sicurezza - elastica, sulla quale Tarantino rimbalza e ricomincia la risalita; una corazza... Se la parola scritta è in un certo senso la forza e la condanna di Tarantino, la stessa parola (questa volta quella di Leonard) ne costituisce pure l'ancora di salvezza: nel ridurre per lo schermo un romanzo ci sono comunque dei limiti - che divengono invalicabili nel caso in cui (come in quello del rapporto Tarantino-Leonard) lo scrittore di letteratura tout-court cui ci si rivolge sia visto come un maestro. Risparmiando energia nella scrittura, limitando la propria inventiva in sceneggiatura, Tarantino ha avuto modo di porre in essere la seconda scelta vincente dell'operazione: quella, cioè, di privilegiare il lavoro sulla regia. Con Jackie Brown, Tarantino si propone innanzitutto come regista: la ricerca formale di questo lavoro è palese (inutile dilungarsi nell'elencare i momenti visivamente forti, in cui il sottotesto delle situazioni emerge proprio grazie alle intuizioni di messa in scena); gli esiti sono al limite della raffinatezza (basti citare il long take della sequenza d'apertura); forse non è così sbagliato definirlo «un film elegante». Ci si aspettava un'altra operazione principalmente di sceneggiatura e ci si è ritrovati di fronte ad un lavoro ben scritto, ma soprattutto scritto-per-immagini: spiazzante, dunque. Raffinatezza al limite del virtuosismo: ma Tarantino su queste basi gioca, concatenandole, altre carte a suo favore... La prima: l'autoironia; in quanto nella sua eleganza visiva si rifà ai moduli espressivi di un modello ben preciso, la blaxploitation, e più in generale a quelli del cinema noir nelle rielaborazioni degli anni '70. La seconda, deriva direttamente dalla prima: l'autoironia permette a Tarantino di svincolarsi dal ruolo di spocchioso che spesso gli si appioppa; se "fa l'Autore" certo non si rifà ai modelli riconosciuti come "d'autore" (per quanto il film presenti anche tratti godardiani, li dissimula). Terza carta (nella manica, nascosta): rifacendosi, nella ricerca espressiva, a modelli fortemente pop, Tarantino resta se stesso; il citazionismo cinefiliaco si sposta (ancora) dal piano della sceneggiatura a quello della messa in scena (scelta attenta, tra l'altro, al gusto: cfr. la corrente tendenza al recupero degli anni '70 che si riscontra in linea generale). La soluzione di far slittare in secondo piano il discorso sul pop, di ridimensionarlo, di dissimularlo trasformandolo spesso in sottotesto (la battuta di Forster alla Grier, «sei rimasta come quando avevi ventinove anni», rimanda all'età in cui l'attrice interpretò gli ultimi successi della sua carriera) domina l'intero costrutto: Tarantino resta tale al 100% e allo 0%; ancora una volta spiazza, non delude. Per quanto riguarda l'altro grosso ostacolo che l'autore doveva affrontare, la black-comedy a cui pare indissolubilmente legato, la prima osservazione che si può fare è quella più evidente: Jackie Brown è solo parzialmente una commedia nera, piuttosto è una black comedy ri-condotta sui binari del noir; al gioco esasperato di concatenazione di eventi narrativi e clichè, Tarantino preferisce il lavoro di costruzione ed analisi dei personaggi; non a caso sceglie di mettere in scena dei protagonisti stanchi, disillusi, che intorno ai quaranta-cinquant'anni si trovano a tirare le somme di esistenze logoranti e a dover affrontare, giocando il tutto per tutto, un destino che li opprime... Una storia d'amore travestita da gangster-movie, un film amaro, che a tratti fa sorridere, ma che è ben distante (che prende le distanze) dallo sgangherato mondo rappresentato nelle opere precedenti (significativamente, in Jackie Brown la violenza torna ad essere secca e netta come «un taglio di rasoio» - per citare Le iene, l'altro lavoro della filmografia in cui il lato oscuro, tragico, prevaricava su quello, pur presente, comedy). Parimenti/parallelamente, viene meno l'altro tratto pertinente della produzione tarantiniana, l'invenzione a livello di struttura narrativa: in Jackie Brown "la formula" lascia spazio alla linearità della concatenazione degli eventi narrativi; l'unica libertà che l'autore concede al suo estro è un gioco di rotazione di focalizzazione grazie al quale lo snodo centrale della vicenda viene "visto" da più punti di vista - cioè da quello di ciascun personaggio in ballo (alla Rashomon di Kurasawa, per intenderci; ma anche in questo caso non ci si trova di fronte ad un vezzo, piuttosto ad una soluzione coerente con l'attenzione che il regista dedica ai suoi protagonisti). Jackie Brown, un film di Quentin Tarantino - e non un film tarantiniano nell'accezione comunemente intesa [speriamo almeno che con questa auto-correzione-di-rotta la si smetta di utilizzare deliranti espressioni come "tarantiniano" e "tarantinato" per indicare ogni operazione in odore di black-comedy e di grottesco, e si inizi a ridimensionare-riconsiderare la portata del termine "pulp"; pulp è più noir che black-comedy; in un certo senso Jackie Brown è ben più vicino al "pulp" di Pulp Fiction - nelle riviste/edizioni pulp si annidavano grandi scrittori e non solo storie sensazionalistiche... Magari si sbroglierebbe pure la confusa matassa tutta italiana di pulp-trash-kitsch-splatter-e-chi-più-ne-ha... che risale proprio al titolo Pulp Fiction.] Un film bello e intelligente; che ha permesso a Tarantino di ottenere più risultati al contempo: evitare che il successo gli si rivoltasse contro; proporsi definitivamente come regista e non solo più come grande inventore di storie e abile narratore; simulare una svolta che non c'è nei termini macroscopici in cui appare ma che, al contrario, è la naturale evoluzione del codice genetico dei lavori precedenti; e, cosa non da poco, realizzare il primo adattamento cinematografico da Elmore Leonard che renda giustizia allo scrittore... Come ha detto James Ellroy (per restare in ambito di scrittori di letteratura nera): «Tarantino? Un bastardo niente male.»

* cfr. la sceneggiatura originale: Q. TARANTINO, True Romance, Faber & Faber, London, 1994.

** cfr. il citato True Romance e Q. TARANTINO, Natural Born Killers, Faber & Faber, London, 1994.