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Ombre rosse - Stagecoach
Anno: 1939
Regista: John Ford;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Ombre rosse. John Ford. 1939. USA.

Attori: John Wayne, Claire Trevor, Thomas Mitchell, George Bancroft, John Carradine, Andy Devine, Donald Meek, Louise Platt, Tim Holt, Berton Churchill.

Durata: 97’ min.

Titolo originale: Stagecoach

 

 

America. 1880. Un telegramma incompleto ed un capo indiano avvertono lo sceriffo di Tonto che Geronimo ha sfondato la barriera della riserva ed ha dichiarato guerra all’uomo bianco. Una diligenza che doveva partire da questo paese in direzioni di Lordsburg, verso il New Mexico, improvvisamente si ritrova senza scorta, ma decide ugualmente di affrontare il viaggio. Vi salgono, oltre il conducente e lo sceriffo, una nobildonna in cinta, un giocatore di carte, un rappresentante d’alcolici, un banchiere che sta fuggendo con i soldi della banca, un medico ubriacone ed una prostituta, questi ultimi entrambi respinti dalla comunità di Tonto. Sulla strada, la diligenza trova Ringo, un fuorilegge che ha perso il cavallo e che vorrebbe raggiungere la stessa meta per consumare una vendetta. Lo sceriffo lo prende in consegna con il resto dei passeggeri. Alla seconda stazione di rifornimento, dopo due giorni di viaggio, la nobildonna partorisce mentre Ringo chiede a Dallas, questo il nome della prostituta, di sposarlo una volta arrivati a Lordsburg. Il viaggio però si complica quando, giunti dopo il fiume, la diligenza è assaltata dagli indiani. L’arrivo della cavalleria riuscirà ad evitare il preannunciato massacro. Una volta in città, il banchiere è arrestato e lo sceriffo concede a Ringo di consumare la propria vendetta contro i fratelli Plummer e di fuggire poi con Dallas.

Ispirato direttamente dal racconto Stage to Lordsburg di Ernest Haycox (che a sua volta si ispirò al racconto di Guy de Maupassant Palla di sego) Ombre rosse, sceneggiato da Dudley Nichols, è il western per antonomasia. In un’America ancora lontana dalla modernità, buoni e cattivi si scambiano i ruoli e la figura dell’indiano, spesso necessaria a definire il western, diventa addirittura secondaria (citati per tutto il film, compaiono solo nella spettacolare sequenza dell’assalto). John Ford, infatti, non sembra interessato tanto al conflitto tra le due etnie, quanto a quello sociale: tra pregiudizi (l’allontanamento della prostituta e il disprezzo dei passeggeri nei confronti del medico) e necessità (il parto della nobildonna e l’assalto alla diligenza), racconta l’America attraverso il genere più in ascesa alla fine degli anni quaranta, in corrispondenza del New Deal rooseveltiano. Dice, infatti, Dallas allo sceriffo prima di partire “Mi fanno più paura certe facce che gli indiani” riferendosi alle donne della Lega per la moralità. Tecnicamente, il lavoro di Ford ha in sé tutti i meccanismi che segneranno per anni la produzione di film western: il protagonista, Ringo\Wayne, che entra in scena come personaggio negativo e ne esce come positivo, e che il regista introduce con uno splendido zoom (a shot that made a starEnrico Ghezzi su Paura e desiderio); l’introduzione degli indiani, con un carrello laterale verso sinistra; l’assalto alla diligenza, girato alla velocità di 60 km orari, forse la sequenza più memorabile dell’intera pellicola, tra stunts che compiono imprese irripetibili (il salto di Ringo dalla diligenza sui cavalli) e macchine da presa che, posizionate in terra, si lasciano saltare da cavalli e diligenza. Per la prima volta si girò una pellicola nella caratteristica Monument Valley, perfetta per concentrare la storia sui personaggi della diligenza (archetipi di un mondo che spesso sembra sconfinare il senso della legge) e per rappresentare un on the road sui generis. Il senso dello spazio e l’uso drammatico dei movimenti, costituiscono l’apice dell’intera pellicola (gioco di sguardi tra Ringo e Dallas, alla nascita della bambina; la tempesta di sabbia che coglie i viaggiatori; il pranzo del primo rifornimento; il bar dei fratelli Plummer). Il film ottenne due Oscar: miglior attore non protagonista per Thomas Mitchell, impagabile nella sua interpretazione del medico ubriaco, e per la colonna sonora, composta da Richard Hageman che riadattò oltre una dozzina di musiche popolari americane.  Nel 1966, Gordon Douglas ne fece il remake che in Italia circolò con il titolo di I nove di Dryfork City.      

 

Bucci Mario

        [email protected]