Il
portiere di notte. Liliana
Cavani. 1974.
ITALIA.
Attori: Dirk Bogarde, Charlotte
Rampling, Philippe Leroy, Isa Miranda, Gabriele Ferzetti
Durata:
114’
Vienna. 1957. Maximiliam Theo Altdorfer lavora come
portiere in un albergo. Un giorno giunge una giovane coppia e lui e la donna
sembrano riconoscersi. Lei, Lucia Arnheim Atherton, è la moglie di un direttore
d’orchestra giunto nella capitale austriaca per tenere un concerto. I ricordi
di Max e Lucia incominciano ad affiorare: lui era stato un gerarca nazista e
lei una prigioniera in un campo di concentramento. In una stanza dello stesso
albergo, l’avvocato Klaus discute con Hans sulla posizione di Max. egli è stato
uno che durante la guerra si spacciava per medico per divertirsi con le
vittime. Tra le sue mani nessuno si era salvato, tranne una sola persona.
Quella stessa sera Max va nella stanza di Bert, un ex ballerino omosessuale,
per fargli riproporre un balletto che l’uomo teneva davanti ai gerarchi
nazisti. Il giorno dopo Max va a trovare Mario, un testimone all’epoca dei
fatti, anche egli in fuga dalle ricerche della commissione di Norimberga.
L’italiano gli dice che Klaus si è fatto precedentemente sentire per avere da
lui informazioni circa il possibile teste che potrebbe incriminare Max ma che lui
si è rifiutato di svelare. I due si danno appuntamento per andare a pesca la
domenica successiva. Quella sera Max va a vedere lo spettacolo alla Scala e lui
e Lucia si scambiano diversi sguardi, ricostruendo immagini della memoria e
ricordandosi entrambi di quando lui la scelse nel campo di concentramento. La
mattina dopo il marito parte per Francoforte e Lucia prenota lo stesso volo per
due giorni più tardi. Max intanto uccide Mario a pesca. Lucia, quella sera,
assiste alla riunione degli ex nazisti nella quale gli uomini, Kalus, Bert,
Hans, inscenando un mea culpa, si liberano del senso di colpa liberandosi anche
di prove effettive delle loro colpe. Klaus informa tutto il gruppo che il teste
che Mario aveva individuato è una donna. Il giorno dopo, all’hotel, Max annulla
la prenotazione di Lucia per Francoforte e va nella stanza di quella.
L’aggredisce convinta che quella sia a Vienna per accusarlo ma dopo le prime
percosse i due si ritrovano abbracciati per terra sul pavimento. Il giorno dopo
i funerali di Mario, Lucia invia a suo marito un telegramma nel quale gli dice
che lo raggiungerà direttamente a New York ed invece si trasferisce
nell’appartamento di Max. Lì la coppia, attraverso abiti e situazioni intime,
rievocano i morbosi fantasmi del loro passato. In hotel, Max confessa alla
ricca Erika (anch’ella un’ex nazista) di aver ritrovato la sua bambina, Lucia,
e di essere disposto a tutto purché non le venga fatto nulla. Le racconta di
come da subito s’innamorò di lei tanto da far decapitare un ragazzo che ella
trovava fastidioso. Max continua così a non voler collaborare con gli altri ex
nazisti che vorrebbero trovare la ragazza per eliminarla. Mentre all’hotel
sopraggiungono i primi poliziotti allarmati dal marito di Lucia che ne denuncia
la scomparsa, uno degli uomini del gruppo prova a convincere Lucia a fare da
teste contro Max, in modo da poter poi giustificare la necessità di ucciderla,
ma la donna si rifiuta. Per starle ancora più vicino, Max si licenzia ed i due
si barricano in casa. Il gruppo cerca con diversi espedienti di ferire la
coppia, prima bloccandogli l’arrivo dei viveri, poi sparando con un cecchino e
ferendo Max ad una mano, ed infine tagliando anche la corrente elettrica. Una
sera, stremati dalla fame, debilitati, la coppia si veste, lui con la divisa
nazista e lei con abiti infantili che usava all’epoca del loro primo incontro,
ed esce di casa. Entrambi sono uccisi all’alba mentre passeggiano a fatica
lungo un ponte.
Sesta pellicola di Liliana Cavani e grande scandalo del
1974 per la scelta di una coppia come quella di un nazista ed un’ebrea per
raccontare il rapporto morboso e folle che s’istaura tra vittima e carnefice.
La regista decise di scegliere questo soggetto dopo l’esperienza di una serie
di documentari da lei girati per la Rai, nei quali aveva affrontato la
difficoltà delle vittime della guerra di staccarsi dall’immagine dei lager.
Scrisse la storia di questa coppia con l’aiuto di Italo Moscati. In questa
relazione tra Max e Lucia, che la Cavani registra essenzialmente come
un’attrazione sessuale, quindi morbosa, non mancano i riferimenti a quello che
è stato il più grosso processo della storia, quello di Norimberga appunto, dove
vittime e carnefici si trovarono a confronto sul tavolo della giustizia. Molto
ambiguo il personaggio di Max, nazista sulla via della redenzione, comunque
tratteggiato di orgoglio e misera spavalderia. La pellicola uscì prima in
Francia e poi in Italia, passando liberamente nella prima e venendo bloccato
immediatamente nella seconda. Le difficili scene di nudo sadomaso furono quasi
tutte decurtate. Tantissimi i riferimenti all’omosessualità, agli eventuali
effetti del cameratismo (dalla sequenza in cui una coppia ha un rapporto omo,
di fronte ai reclusi di un campo di concentramento, fino alla scelta della
stessa Charlotte Rampling, in questa pellicola come una gatta dalla personalità
mascolina). Importante il montaggio di Franco Accardi, che anticipa l’incontro
tra Lucia e Max proponendo frammenti di memoria di entrambi, ricostruendo così
il passato per interpretare il presente. Duro e corretto l’attacco della
regista ad una forma di revisionismo orgoglioso ed un lavaggio di coscienza che
si basa sull’occultamento delle prove (il compito degli ex nazisti per
inserirsi nuovamente nella società). Molto bella la fotografia di Alfio Contini
che racconta una Vienna completamente assente (anche se oltre la metà della
pellicola fu girata a Roma). Memorabile il balletto che si ispira alla leggenda
biblica di Salomè, nel quale la Rampling danza senza veli tra i camerati. Tutte
le musiche s’ispirano o sono tratte dal Flauto magico di W.A. Mozart. Dice Max
dopo averla finalmente abbracciata “I fantasmi della memoria hanno preso
forma. Come cacciarli? La sua voce, il suo corpo, è parte di me stesso”.
Un’ammissione di responsabilità che si consuma però con la morte di entrambi. È
l’incontro del melodramma con la Storia, un’operazione che precedentemente
Luchino Visconti aveva realizzato con La caduta degli dei (1969) ed al
quale la regista ha tentato un omaggio richiamando gli stessi Bogarde e
Rampling (anche se in verità avrebbe preferito Mia Farrow per questo ruolo) che
la regista definisce due dark ante litteram.
Bucci
Mario
[email protected]