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Maledizione della prima luna - Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl
Anno: 2003
Regista: Gore Verbinski;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 14-09-2003


Maledizione della prima luna - Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl (Gore Verbinski)

Gore Verbinski

Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl

Maledizione della prima luna






 



Regia:  Gore Verbinski
Sceneggiatura:  Ted Elliott, Terry Rossio
Fotografia:  Dariusz Wolski
Montaqgio:  Stephen E. Rivkin, Arthur Schmidt, Craig Wood
Musica:  Klaus Badelt, Alan Silvestri

CAST

Starring: Johnny Depp - Jack Sparrow, Geoffrey Rush - Barbossa, Orlando Bloom - Will Turner, Keira Knightley - Elizabeth Swann, Jack Davenport - Norrington, Jonathan Pryce - Governatore Weatherby Swann, Mackenzie Crook - Ragetti

Produzione: Buena Vista
Durata: 133'
Anno: 2003
Nazione: Usa

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Un destino negletto

L'immortalità è una brutta condanna. Lo raccontavano già a proposito di Nosferatu e di tutti i suoi epigoni e succedanei fino al bellissimo The Addiction di Abel Ferrara. E quello sarebbe il tema centrale del film con lo stralunato Johnny Depp che vira la propria interpretazione del prototipo del pirata accentuando la lettura romanzata del suo personaggio, non rendendolo solo macchietta, bensì facendolo spiccare sugli altri luoghi comuni incarnati dal bel fabbro di origini piratesche, la figliola salgariana (la Perla di Labuan è evocata nel titolo originale scempiato dalla distribuzione nostrana) e il commodoro perfido e inossidabilmente inglese. Egli arriva a essere centro, perno della vicenda e anche esegeta di un'epopea, interprete e figura che esce, per chiosare, e entra, a dare "corpo", nel libro da cui sembra tratto. Un libro antico, un'epoca archiviata.


Nemesi

Ma come pensavamo ormai archiviata la pratica che condanna irrevocabilmente il fascismo - sembravano assodati per tutti i crimini coloniali in Africa, nei Balcani, la persecuzione delle leggi razziali, la soffocazione nel sangue del movimento operaio; la strage di Torino con il martirio dell'anarchico segretario della Camera del Lavoro di Torino nel 1922 (Ferrero e i suoi otto compagni trucidati dalle squadracce fasciste, un episodio, il primo tra tanti); il terrore di Salò e della Muti; gli assassini dell'associazione a delinquere il cui capo era Benito Mussolini: Matteotti, Gobetti, i Rosselli, tutti i partigiani..., la guerra infinita che si protrasse dagli anni venti al 1945 - e invece ci ritroviamo il tentativo di sancire come verbo storico le chiacchiere da bar di un sedicente imbecille che incarna l'italiota medio con lo scopo non solo di stravolgere una comunità nata sulla resistenza ma anche e soprattutto dichiara spudoratamente di essere spinto dal desiderio di consentire all'esercito di buzzurri suoi pari, che popolano la penisola, di finalmente sfogare l'urlo a lungo represso: «Arridatece er puzzone». Allo stesso modo ecco affacciarsi la vecchia storia della filibusta, dove l'eroico anarcoide domiciliato alla Tortuga che scorrazza per i sette mari da solo si scontra con i fantasmi di pirati condannati a non poter seguire il corso naturale del loro stato di cadaveri: di orribili avanzi della storia, la feccia risputata dall'Inferno che periodicamente ammorba la superficie della terra e la contamina con la sua presenza protratta a dismisura ben oltre la putrescenza.


Non che nel film si respirino espliciti afflati di liberazione (benché la scelta della maledizione affondi radici nella prima sanguinaria impresa coloniale dell'Occidente: il tesoro di Montezuma, che per nemesi condanna per l'eternità i voraci assassini), ma qui e là affiorano guizzi di ingegno che hanno ragione sia del colonialismo stupido dei Tommies inglesi, sia della ferocia degli zombies e riempiono di speranza che uno scanzonato Charlot della filibusta appaia anche fuori dal libro salgariano, illustrato a volte con ingenui modellini, altre volte con spreco di effetti ripetitivi di animazione che rovinano un po' l'iconografia, a cui Depp si sforza di conferire una patina di antica pergamena, in cui relegare i non morti che non possono trapassare e vanno in giro per il mondo ad infettarlo con i loro viaggi pastorali.

E dove si annida questa speranza? Nel gioco più usato dagli sceneggiatori: l'inversione (o come si preferiva chiamarlo un tempo: il ribaltone). Spesso una battuta viene usata per commentare una situazione a cui si è assistito nella sequenza precedente, sembra conclusa, ormai non c'è più speranza di riscatto, quando improvvisamente l'acume del pirata capovolge le sorti della battaglia e fa rimangiare il giudizio avventato, espresso sia a parole sia con le immagini, ingannevoli anch'esse, finché non sono illuminate dalla luce lunare. Un po' come una versione romantica degli occhialini di Carpenter di Essi vivono.
Si tratta di un tropo narrativo adottato più volte nella pellicola e quindi ne diventa la cifra strutturale: proporre, asserire, far credere, illudere il potente di turno... e poi rintuzzare le sue grida di vittoria, fargliele soffocare in gola, ribadire che l'individuo libero riuscirà sempre a sgusciare attraverso le sue maglie. Basta un po' di ingegno.


Incoerenze in sceneggiatura rendono il personaggio di Depp al di là di ogni razionale sequenzialità (per cui a tratti la luna lo rende scheletrino immortale anche lui per una suggestiva quanto lunghissima sequenza di duello, salvo poi evitarne la polverizzazione al momento in cui l'incantesimo si spezza), ma paradossalmente questo non fa che accentuare nel suo imbelle personaggio la caratterizzazione che lo astrae da qualunque schema, da qualsiasi sistema, lo descrive come spirito assolutamente libero: rocambolesco nella fuga - come viene narrata - avvenuta invece in modo molto meno avventuroso; non ascrivibile ad alcun universo di riferimento, nemmeno al tanto spesso citato codice piratesco (che impariamo essere molto flessibile e tutt'altro che applicato con rigore equanime), che è anch'esso fondato sul canovaccio dei sistemi reazionari, coloniali, occidentali, "inglesi" e dunque perdente in quanto copia il nemico; invece vincente è l'inversione, l'invenzione, la negazione del sistema. Depp è un esempio di totale surrealismo non etichettabile e non riconducibile a nessuna ragione.
Eppure egli risulta "virtuoso" nel senso che propone Natoli: virtuoso, scrive Natoli nel Dizionario dei vizi e delle virtù (p. 157), «non è colui che si conforma a una legge, ma colui che sa divenire norma a se stesso, che sa assumere su di sé, e consapevolmente, la sua finitudine. La virtù non invade lo spazio dell'altro, ma libera spazio e fa distanza perché l'altro possa essere meglio e più autenticamente raggiunto nella sua libertà. La virtù, così intesa, ritengo si disponga a un livello più alto del dovere. È arte discreta del ben vivere [...] La virtù non è il canone impersonale dell'azione, ma il momento di autonomia dell'individuo in rapporto all'azione morale assunto come punto di resistenza, di padronanza, di selezione e di decisione rispetto al flusso degli eventi del mondo che lo riguardano, ovvero, in poche parole, ciò che richiede la condizione preliminare della sua sincerità e della sua autenticità».
Quindi addirittura proprio lui, quello meno credibile secondo i parametri della normalità risulta essere il personaggio più autentico, quello che può aver ragione di ogni forza reazionaria, persino quelle ultraterrene e "non morte", nosferatu.


Per arrivare a questo egli risponde non alla «domanda puntuale che cosa è giusto o obbligatorio fare?, bensì al quesito come dovrei vivere? Al centro non si trovano più l'atto o la sequenza delle azioni in rapporto all'universalità del criterio (la legge divina, la coscienza morale, il contratto, ecc.), ma la totalità della persona, ciò che si è e ciò che si vuole diventare, il tipo di vita che si vorrebbe vivere» (Andrea Tagliapietra).
Insomma è come ci si dotasse finalmente di una bussola che non punta al nord, perché - e la motivazione è ancora più assurda - «ci si è resi conto che non si vuole andare a nord». È la piacevole sensazione che l'immaginazione sia al timone e quel personaggio possa inventarsi di tutto come un novello Munchhausen, non a caso pellicola di Gilliam che ha individuato in Depp un perfetto Sancho Panza in combutta con un Rochefort/Quijote.


Il grottesco che raggiunge il gore mescolando i generi ammanta di un senso di orrore il nostro parallelismo con i cadaverini che comandano ora nel mondo: i mostri efferati degli arrembaggi del film hanno il corrispettivo nella realtà attuale e l'arrembaggio è in atto...; pur dichiarandoli sconfitti, la pellicola non li esorcizza, e questo riscatta certe incertezze, perché l'intero impianto non è consolatorio - nonostante il finale da fotoromanzo - ma ci induce a identificare gli zombies tra quelli che viaggiano su portantine e tra i mostri che sparano cazzate su periodi storici come se parlassero del loro Milan.
Non è poi così incredibile leggere tra le righe di una produzione Disney i veri intenti degli autori: potrebbero aver usato bussole truccate che i loro padroni non erano in grado di controllare e ancora adesso Buena Vista crede di essere andata a nord, invece era nei perniciosi e infuocati mari del sud.