NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Une place parmi les vivants
Anno: 2003
Regista: Raoul Ruiz;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 29-08-2003


Une place parmi les vivants
Visto a Venezia 2003
Visto a Venezia 2003

Une place parmi les vivants
Regia: Raoul Ruiz
Soggetto e sceneggiatura: Raoul Ruiz, Gilles Moris-Dumoulin
Fotografia: Ion Marinescu
Montaggio: Valeria Sarmiento
Interpreti: Christian Vadim, Thierry Gibault, Valérie Kaprisky
Produzione: Alzés Films, Unité Fictions, Arte France
Origine: Francia, 2003, 103 min., 35 mm
Sezione Controcorrente

Sembra un titolo perentorio, un posto "definitivo" tra i viventi ed invece il cinema di Raoul Ruiz continua a rappresentare ombre. E mentre mette in scena le variazioni pittoriche psicologiche psicanalitiche erotiche dei suoi personaggi cerca disperatamente dettagli a cui appigliarsi. Briciole di realtà o meglio briciole del pane che è inquadrato in dettaglio, di traverso o di lato, è usato come un manganello, fino a quando si spezzetta in piccolissimi pezzi: come l'immagine sempre franta. Il dislivello tra essere comparsa narrata ed essere veramente, dentro la brutalità del reale. Une place parmi les vivants cerca un bagliore che confermi l'esserci, ma poi s'accorge che le ombre prevalgono. Così il gioco vita morte iniziale è il preambolo di una neogenealogia del crimine all'inverso, dove alla fine il crimine si perde dietro le innumerevoli parole, i pensieri, le fantasie, i sogni irreali, l'incoscienza dei sensi. Dall'assassinio che può essere tutto, anche amore, seguendo una cerebrale (inutile) epifania dell'horror sublime, alla incessante necessità di metamorfosi del racconto. Il romanzo ha a che fare con una testimonianza reale? Nient'affatto, è soltanto pezzo artefatto (da tante mani: materiali di vita, gli scrittori, gli editori, chissà chi altro), confuso tra le espressioni di decine, centinaia, milioni di umori passeggeri. Ripper, lo squartatore, o un'anima che vaga in cerca d'estasi o la perfezione di un gesto limite che scruta l'esistente, il mistero del sesso femminile. Come il borderline, il senso stesso del limite, dell'oltrepassamento infine è messo in scena. Molto difficile che un morto possa incontrare un vivo, ma molto più difficile che due morti si incontrino. Quel posto tra la materia vivente, per Ruiz, insomma non esiste. Sono bagliori, riflessi (di sé, degli altri da sé), ma dov'è la linea di confine? Quando finisce se stesso e quando inizia l'altro? L'enigmaticità del movimento, del gesto è un modo ormai di non vedere più le cose. Per Raoul Ruiz l'opera flusso (della sua sterminata filmografia) e gli stilemi sono gli strumenti d'immersione in una caligine dello spazio tempo. Qui i primi del Novecento, l'atmosfera espressionistica delle nebbie urbane, il crimine sanguinoso di una grande metropoli (è Parigi, ma si respira fortissimo Londra). Il cinema di Raoul Ruiz ha bisogno di questa fortissima partecipazione orsonwellesiana nel regno di tutte le apparenze, delle indecidibilità. Per questo non può che essere amato da chi ama i segreti, le sospensioni, le incertezze, le perversioni. Qui tutto è possibile: vedere al di là, o forse solo crederlo, è magia ma anche verità.