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Satin Rouge
Anno: 2002
Regista: Raja Amari;
Autore Recensione: carlo tagliacozzo e adriano bo
Provenienza: Tunisia;
Data inserimento nel database: 20-11-2002


Satin Rouge - Quick Ones - Expanded Cinemah

Satin Rouge


Regia: Raja Amari
Soggetto e Sceneggiatura: RAja Amari
Fotografia: Diane Baratier
Montaggio: Pauline Dairou
Scenografie: Kaïs Rostom
Costumi: Magdalena Garcia Caniz
Suono: Frédéric De Ravignan
Produttori: Dora Bouchoucha Fourati, Alain Rozanès, Pasca Verroust
Distribuzione: Key Films Durata: 100'
Provenienza: Tunisia, 2002
Marta Tafesse Kassa (Young Woman)
Richard Courcet, Nicolas Duvauchelle, Adiatou Massidi, Mickael Rakovski, Dan Herzberg, Guiseppe Molino, Gianfranco Poddighe, Marc Veh, Thong Duy Nguyen, Jean-Yves Vivet, Bernardo Montet, Dimitri Tsiapkins, Djamel Zemali, Abdelkader Bouti (The Platoon)
Produttori: Jerome Minet, Patrick Grandperret

cast:
Lilia - Hiam Abbass
Salma - Hend El Fahem
Chokri - Maher Kamoun
Folla - Monia Hichri
la vicina - Faouzia Badr
Hela - Nadra Lamloum

"Forse questo film è sul passare del tempo, o sul mutevole carattere delle donne. Lilia, la madre di famiglia rimasta vedova, con tutti i suoi pregiudizi sulla vita, scopre il suo corpo, si confronta con la gente e con un mondo che le sembra malsano e immorale: quello del cabaret"
Raja Amari, catalogo del Torino Film Festival da lei vinto, pagina 5


Satin Rouge, film della trasgressione o del trionfo dell'ipocrisia?


Sicuramente per la cultura araba dominante la storia e anche alcune sequenze vengono considerate scandalose, da censurare. Non è casuale che alla Biennale del cinema arabo a Parigi quest'estate il film non sia stato presentato mentre contemporaneamente era in programmazione nelle sale americane. Per chi invece è immerso nella cultura dei paesi occidentali sicuramente un film del genere difficilmente suscita qualche emozione dinanzi ad un deja vu su una triangolazione fra madre, figlia e fidanzato della figlia. La conduzione della storia è tutta prevedibile e scontata e dal nostro punto di vista la trasgressione risulta debole se non del tutto inesistente soprattutto se si considera il finale con una ripresa dei ruoli tradizionali e il trionfo dell'ipocrisia. Una vedova quarantenne casalinga intrisa dei valori della famiglia e del perbenismo mentre pulisce la casa si ferma davanti allo specchio, e, al suono di una musica trasmessa dalla radio, si mette a ballare sciogliendosi i capelli. È il primo segnale della riscoperta lenta del suo corpo che avrà il suo culmine nel diventare di nascosto ballerina della danza del ventre in un cabaret . Lì suona il fidanzato della figlia e ovviamente si arriva all'incontro d'amore con tanto di scene dell'amplesso fra i due nella casa del percussionista. Come viene giudicata una donna che pratichi la danza del ventre nella cultura araba dominante? Nè più nè meno di una prostituta sia per il luogo dove l'esegue, il cabaret è frequentato esclusivamente da uomini, sia per le modalità della danza atta a scatenare il desiderio sessuale, sia per gli "effetti collaterali" (soldi che vengono buttati o messi sulla donna, richieste di prestazioni sessuali nel dopo danza). Per questo Lilia agisce di nascosto e per un certo periodo ha una doppia vita, casalinga e madre di un figlia di giorno, danzatrice del ventre di notte. In occidente, da parte delle comunità immigrate, quando ci sono feste o incontri interculturali ogni occasione è buona per produrre rappresentazioni di danza del ventre, e anche in molti ristoranti tipici arabi avvengono delle rappresentazioni di danza del ventre. Così oggi la danza sta assumendo nell'immaginario occidentale un'espressione stereotipata di esotismo, lasciando da parte che la maggior parte delle donne che hanno praticato la danza sono state in una condizione di subalternità ed escluse dalla società. Tornando alle vicende del film, la donna a poco a poco cambia modo di vestire e alla fine si veste come una donna occidentale. Sembrerebbe che Lilia acquisti una libertà mai ottenuta prima, ma una frase da lei detta al suo partner - "sarò un'ottima suocera" - fa pensare al rientro nel ruolo tradizionale che la società le assegna.
Il matrimonio della figlia con il percussionista si celebra con la benedizione della madre che balla in pubblico e alla festa intervengono sia le ballerine del cabaret che i parenti tradizionalisti. Miracolo? Non direi visto che dinanzi a una cerimonia come il matrimonio, l'ipocrisia e le convenzioni portano a tollerare la presenza da parte della società benpensante di persone che vengono giudicate e disprezzate come degenerate e immorali.

Carlo Tagliacozzo

Un film al femminile, fatto da donne, che pone al centro la figura di una vedova, dove il gusto e i gesti attingono direttamente all'immaginario muliebre, con i toni carezzevoli di uno sguardo ammaliante, in cui le molli piacevolezze legate al godere delle sinuosità del proprio corpo maturo, ammirato nello specchio, non sono vacui esercizi retorici, ma indovinano le giuste pieghe in cui far vibrare di nuovo il germe della seduzione.
E tre volte lo specchio funge da interruttore per questa riappropriazione del corpo: l'inizio, dove al grigiore del rassettare la stanza si sovrappone una musica, che entra in sintonia con il corpo. che si scioglie - anche nell'accezione più immediata di liberare i capelli, sbottonare il vestito attillato, lasciar oscillare i fianchi al ritmo - pure il ricomporsi è catturato dallo specchio, mondo parallelo in cui immaginare una liberazione dalla vedovanza (condizione metaforica localistica).
Non è casuale che in patria sia censurato.

Non è importante il plot, anche se il mercato interno negato avrebbe permesso l'immedesimazione di molte donne, spettatrici di sceneggiati, recluse in casa o controllate da vicine in tutto impiccione come quella toccata a Lilia
Quello che importa è la possibilità di riconoscere ancora la possibilità di appropriarsi di un corpo castigato, immiserito: non importa il triangolo, ma la capacità di gestirlo da parte di Lilia che sarà la componente più lucida e determinata a perseguire il suo diletto, come dimostra la danza finale al banchetto, che non ha nessun addentellato con tradizioni, non rimanda alla prassi della danza promiscua, ma una promessa che la vita a tre da quel momento in poi si svolgerà secondo i desideri liberati della donna, che non si perita affatto di mostrarsi lasciva danzante di fronte al genero/amante.
E questo si ottiene attraverso un dosaggio di realismo - in minima misura, sebbene si possa tentare di leggere il film in base alle conoscenze che si hanno di quella cultura rimanendo spiazzati e insoddisfatti - con simbolismo e metafora, che invece occupano quasi tutti gli spazi lasciati liberi dall'impossibilità di sopportare la tradizione: sintomatiche le sequenze in cui appare lo zio dal paese, imbevuto di ipocrisie e chiusure; questo è il vero metro su cui dosare l'affrancamento del processo innescato dalla musica: un'emancipazione non tanto economica, quanto di corpo (e solo dopo di mente)

A questo proposito enorme valore rivestono i vestiti e ancora di più le vestizioni
Tutto trascorre dal momento in cui si trasforma in corpo vibrante, origine di ogni possibile seduzione, attraverso la maschera che la deposita nel mondo dello specchio, quello alternativo ai pranzi da sola, a cui la figlia si sottrae e che terminano con un pianto nervoso e per nulla liberatorio. E la trasformazione avviene tramite i vestiti che cancellano la madre apprensiva e la rendono immemore anche di sé («Non ho visto e sentito niente», dirà dopo la strepitosa performance)
I vestiti nuovi sono segnale per la figlia che la madre sta cambiando, indossarli, calzare le scarpe con tacco al cospetto del parente provinciale, sono altrettante sfide che non si possono etichettare come vezzi per compiacere il mercato occidentale, la cui cultura è rappresentata da Selma, la figlia, che ascolta la radio italiana, sogna vestiti firmati, è proiettata verso gusti ormai globalizzati (la festa che conferma la madre nei suoi errati sospetti è pervasa da suoni diversi dalla musica del cabaret); lei sì, occidentalizzata. La madre ha "il fuoco dentro" invece, che si scatena a prescindere dai pagamenti o dai possibili clienti facoltosi, la musica la pervade e comincia a farla muovere e senza badare se gli spettatori sono arabi o meno (e in questo caso non c'è un europeo ad assistere a nessuna esibizione, dunque leggerne sudditanze o subordinazioni culturali è fuorviante: nel testo non c'è questa preoccupazione): lei balla e ballando si sente meglio con se stessa.

E risulta interessante la lunga sequenza che la conduce a scoprire quel mondo dello specchio: la convinzione che si è creata sul coinvolgimento della figlia nel cabaret - erronea, ma poi nemmeno tanto, visto che si scopa lo stesso percussionista di cui si invaghisce la madre nella veste di ballerina - è una somma di coincidenze che nella cultura de sospetto non possono che condurre a quella conclusione, mentre il ribaltamento che si opera da quel momento - coronato dallo svenimento nel locale - in poi produce una persona del tutto diversa. il bello è che comprendiamo il suo film mentale sbagliato e così ne possiamo ridere, accettando la sua trasformazione.
Una metamorfosi che vede la donna più giovane e ballerina da tempo che la inizia alla professione, attraverso una sorellanza invidiabile, che si fonda prima sulla simpatia per l'alieno, poi sulla ammirazione per il talento innato per la musica, infine nell'amicizia.
Però si tratta di un cambiamento graduale e rispettoso dei tempi cinematografici: di nuovo galeotto è lo specchio, ma stavolta c'è l'amica a cogliere la civetteria e a spingerla a ballare, questa volta il locale aiuta ad identificarsi in un modello di donna diverso, più libero dalle convenzioni, comunque, qualsiasi cosa si possa pensare della danza del ventre (su cui si indulge forse eccessivamente, ma con sequenze godibili) in questo caso agisce da fattore scatenante per riprendere in mano la propria vita. e fatto da una donna in quel contesto e con quei risultati, è sicuramente un successo.

È bello che la pezza di satin rouge si collochi in una breve inquadratura incastonata tra l'affermazione della sua focosa natura di donna che sente la musica e il parente che la rimprovera sulle scale: quel colore, quella fragranza del vestito, sono fattori di attrazione per l'occhio, la telecamera, il racconto e la sua decisione di piacere esprimendosi nella danza: "io sono un'artista" dirà a chi vorrebbe pagarle notti di amore mercenario, mentre vivrà nella casetta sulla spiaggia un amplesso esplicito - per quanto morigerato e composto più di sguardi che di dettagli di carne più sensuali -che ha i suoi preliminari con le carezze musicali che il percussionista le dedica durante la danza e la cinepresa cattura discreta, ma senza infingimenti.
La terza volta dello specchio avviene durante le presentazioni del genero d parte della figlia: stavolta i cappelli sono raccolti, le vesti non sono quelle di scena, ma ormai il piglio è quello della donna sicura di sé, sotto qualsiasi spoglia si presenti, coronamento della crescita del personaggio, evoluto sotto i nostri occhi da un passo di danza all'altro, che stravolge la mentalità retriva che divide le donne in madri o puttane: lei invece è madre e ballerina, senza permettere a nessuno di negarle il proprio corpo, ma concedendosi il lusso di scegliere di non fare al'amore per soldi, ma solo per soddisfare il proprio desiderio.

Adriano Boano