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Marie-Jo et ses deux amours
Anno: 2002
Regista: Robert Guédiguian;
Autore Recensione: paola tarino
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 18-11-2002


Marie-Jo et ses deux amours

Marie-Jo et ses deux amours

Regia di Robert Guédiguian

soggetto e sceneggiatura: Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi
fotografia: Renato Berta
montaggio: Bernard Sasia
scenografia: Michel Vandestieten
interpreti: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Julie-Marie Parmentier, Jacques Boudet, Yann Tregou‘t
durata: 124'
nazionalità: Francia, 2002
produzione: Gat Films/CIE/France 3
distribuzione: Bim

Il titolo, fatto apposta per introdurre il numero degli attori e al contempo anticipare il triangolo sentimentale messo in scena, non rende giustizia a quello che risulta essere l'autentico protagonista dell'ultimo film di Guédiguian (proiettato fuori concorso al Torino Film Festival): il mare di Marsiglia, ripreso da anfratti e angolazioni inusuali, dalla riva verso l'orizzonte estremo in cui si confonde con il cielo, oppure dal traghetto che conduce verso la Corsica. L'acqua finisce col misurare la distanza che si viene a creare tra i personaggi, quando diventa impossibile effettuare delle scelte: restare sulla terraferma, rifugiandosi nel calore di pareti domestiche consolidate da affetti quotidiani che danno stabilità all'esistenza, perché la solidarietà del rapporto matrimoniale funge da baricentro, oppure tuffarsi tra le onde del desiderio, per inventare una vita diversa, rinfrescata dalle calde emozioni di un nuovo amore che introduce passioni sconosciute, o invece mettere fine alla stessa per affidare ai flutti la propria incapacità di risolversi e al contempo la custodia di chi si è amato, una volta e per sempre. Questo mare, osservato attraverso finestre di case che danno sul porto, spiato dai finestrini di un'auto, utilizzata come ambulanza per trasportare pazienti bisognosi di cure (psicologiche più che fisiche), avrà la funzione di mantenere in vita i ricordi di chi l'ha attraversato alla ricerca di nuovi orizzonti per dar senso alla propria esistenza. Compare per la prima volta nella sequenza iniziale, quando Marie-Jo in compagnia di marito e figlia, si accinge ad allestire un picnic in un boschetto prospiciente la riva, dopo essere stata tentata dalla lama di un coltello che potrebbe mettere fine ai suoi dilemmi con un taglio repentino delle vene dei polsi.
L'attenzione della famiglia viene calamitata dalla presenza di un'imbarcazione ancorata nei pressi della spiaggia, da cui all'improvviso fuoriesce una giovane in tenuta adamitica, lesta a gettarsi in acqua, inseguita dal suo compagno, altrettanto nudo. La coppia inscena un duello acquatico, a colpi di bracciate che cercano di spingere la testa dell'altro sott'acqua nel tentativo di affogarlo, per lasciare intendere un'imminente tragedia, colta attraverso l'altalenarsi di gesti violenti che simulano un litigio sconosciuto agli spettatori, per poi intrecciare i corpi in un amplesso generoso e risolutivo, che la famiglia segue non con compiacenza voyeuristica, ma con il sollievo di scoprire che lo spettacolo sta terminando nel migliore dei modi possibili, proprio quello che non potranno recitare loro, quando si troveranno a giocare i medesimi ruoli.

La funzione prolettica di questo siparietto, recuperata soltanto al termine della proiezione, sta ad indicare che il regista, interessato a fare sempre film impegnati, si aspetta di trovare dall'altra parte dello schermo spettatori pronti a ricucire gli indizi seminati ora qui e ora là, altrimenti il suo disegno è destinato a fallire e ad arenarsi tra le secche di una banalità compiaciuta. Se si ha voglia di fare lo sforzo di assecondare questi intenti, allora diventa stuzzicante raccogliere e incastonare i diversi tasselli acquatici, per comprendere la vicenda a cui si assiste e al contempo avvalorare l'assunto indicato in partenza: il mare è infatti destinato a sopravvivere agli attori del triangolo filmico e a trasformarsi così in una sorta di coperta infinita, capace di proteggere i loro sentimenti dalle temperie emotive, per conservarli in abissi immobili e quieti, per nulla funestati dalla disgrazia in corso.
L'attrice Ariane Ascaride, presenza femminile fissa nell'opera di Guédiguian, non è certo una sirena dedita a sedurre maschi in virtù del suo canto mortale, bensì una donna matura, colta nel "mezzo del cammin della sua vita", quando la diritta via viene smarrita perché si accorge che nella sua selva oscura abitano ancora desideri nei confronti dell'altro sesso; le capita perciò di innamorarsi, pur non essendo stanca e insoddisfatta del suo ménage matrimoniale. Non cerca infatti un rapporto adulterino, il tradimento necessario per dare linfa a ciò che manca nella vita di coppia: il suo è un trasporto autentico (sarà infatti lei la sola vera vittima della sirena che abita le acque marsigliesi), una vertigine dei sensi, quando si accorge di poter amare ancora qualcuno, perché l'amore non si dà una volta per tutte, in maniera incondizionata e esclusiva ("Vi dichiaro marito e moglie finché morte non vi separi"), ma è una condizione dell'anima, destinata ad estendersi al corpo, al cuore e alla mente, finché è possibile vivere e rendere felici gli altri.

I turbamenti di questa donna, scossa dal brivido di desiderare un altro uomo, diverso dal marito, sono decisamente condivisibili e rappresentati in maniera convincente dal punto di vista emotivo, per quanto restino intrappolati nella deriva che conduce al senso di colpa per non essere in grado di spiegare agli altri cosa si sta realmente provando. Purtroppo regna sovrana e spesso palpabile l'impossibilità di godere in pieno di questa emancipazione, che provoca un allargamento dell'orizzonte affettivo finora contemplato. Marie-Jo prova a barcamenarsi tra i due rapporti, passa all'inizio dall'uno all'altro con un apparente senso di soddisfazione, mostrato con una sensibilità che testimonia fedelmente il suo stato d'animo femminile; mette in atto addirittura disperati tentativi per far in modo che i suoi due amori si incontrino e si possano conoscere, nel desiderio impossibile di ricomporre il puzzle, all'interno del quale poter finalmente realizzare se stessa e appagare le proprie pulsioni. Si accorge però ben presto che l'edificazione di questa cittadella affettiva è minata proprio dalla presenza del mare: il nuovo amore è sempre altrove (di fatto e con la memoria, ancorata al suo passato marinaro), il marito, una volta scoperto il côté fedifrago della moglie, cercherà di rimediare a quella che immagina essere una sua mancanza, dapprima regalandole una barca (battezzata ovviamente con il nome della donna), in seguito simulando una fuga in acqua, per compiere un tragitto impossibile, non solo dal punto di vista della fatica natatoria, ma perché inutile e incapace di porre rimedio al tradimento scoperto.


Marie-Jo a un certo punto crolla. Annaspando nella vita quotidiana, si illude di trovare l'isola che non c'è, trovando rifugio presso Marco, l'amante, che le mette a disposizione un nido ricco di suggestioni originali rispetto alla monotonia dell'esistenza finora condotta. Inebriata da questa condizione, la donna troverà il coraggio di abbandonare il marito Daniel e la figlia Julie (che recita un ruolo ingrato al punto tale che viene da domandarsi perché sia stata educata così!), per viversi il suo momento di gloria: un'oasi spensierata, libera da sotterfugi e andirivieni da un letto all'altro. Questi ultimi erano siglati dall'inquietante presenza di un cellulare, l'unico mezzo di comunicazione in grado di stabilire un contatto tra i due mondi paralleli, ma al contempo oggetto canaglia, perché, oltrepassando la frontiera che separa il possibile dall'impossibile, mantiene in vita il canale, per rimarcare solo la sofferenza del sentirsi lontani, separati nello spazio, ma non nel tempo.
Marie-Jo si mette alla prova: getta alle spalle l'esistenza precedente per rinnovarsi, mette tra parentesi il marito, dolce, remissivo, incapace di avere reazioni aggressive nei suoi confronti, sopporta l'umiliazione di non essere perdonata da una figlia che, in maniera moralistica, non la scusa per il suo gesto d'abbandono. Si direbbe abbia raggiunto la sua boa, nuotando a fatica e ingurgitando boccate amare, però lacrime umide rendono triste il suo sguardo, insieme alla certezza di non sapere se sia meglio rimanere a terra, oppure cedere all'avventuroso richiamo del canto della sirena. Sarà la sorte a decidere, ciò che le sue azioni non erano in grado di compiere, trascinandola in una tragica danza acquatica finale, che, rovesciando il destino dei due amanti dell'Atalante di Jean Vigo, metterà termine al suo malessere affettivo.
Alla natura matrigna del mare viene affidato il compito di regolare, con i modi che le sono propri, un caso umano difficile da dirimere: se sia giusto che vada a finire in questo modo e non in un altro non è poi così importante, quel che è certo è che Marie-Jo, a contatto con la forza dirompente di quelle acque, in cui si è appena inabissato il corpo esanime del marito, ha il coraggio finalmente di decidere dove rimanere per sempre.