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Alice in paradiso
Anno: 2002
Regista: Guido Chiesa;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 11-11-2002


Alice e' in paradiso

Alice è in paradiso

Regia di Guido Chiesa

sceneggiatura: Guido Chiesa
fotografia: Gherardo Gossi
musica: Federico de Robertis, Theo Teardo
ricerche e interviste: Alessandro Marucci
montaggio: Luca Gasparini
durata: 60'
nazionalità: Italia, 2002
produzione: Carlo Cresto-Dina per Fandango, via Ajaccio, 20, 00198 Roma. tel 39-06-85354026, www.fandango.it e-mail: [email protected]

Era difficile riuscire a tenersi lontani dal registro nostalgico-retorico. Ma contemporaneamente con il materiale con cui si veniva a contatto non potevano mancare due elementi che per fortuna percorrono l'intero film: fantasia da rielaborazione di materiali comuni all'immaginario collettivo e repentino spiazzamento dato da deformazioni visive e intrusioni sonore.
E poi andare a scovare gente come Filippo Scozzari non poteva che ottenere un prodotto fuori da schemi ("Per Radio Alice tutti i giorni alle due leggevo il Racconto Digestivo. Davo la caccia ai testi brevi pi schifosi e farneticanti che potessi trovare, articoli dallArcibraccio, raccontini di fantascienza. Suscitai le ire delle femministe allascolto e della redazione, dovetti rifugiarmi nei fumetti e sfruttai unantologia americana sui comix underground, mai tradotta in Italia.")


Guido Chiesa ci è riuscito alternando elaborazioni digitali (l'uso delle tecnologie non demonizzate, ma riadattate alle esigenze espressive dell'antagonismo è una scoperta proprio dell'esperienza bolognese di 25 anni fa che arriva intatta a radio gap) dei volti, dei materiali grafici, delle fanzine e dei volantini d'antan con i visi invecchiati, alcuni bene altri meno.
E poi l'Alice lisergica che scorrazza per tutto il film: una vera delizia di elementare animazione - qualsiasi sofisticazione sarebbe stata in contrasto con l'artigianale improvvisazione dadaista del gruppo - capace di insinuarsi tra le pieghe urbane di quella Bologna di Zangheri, dove non manca nemmeno (e non può mancare) il fantasma di Francesco Lorusso; attonita come i volti dei compagni che passano dal sogno intellettuale di rivoluzionaria estromissione dal mondo di Andreotti - chiamato al telefono da Bifo nei panni di Agnelli, rievocato brevemente tra matte risate - alla guerriglia radiofonica contro gli M113 di Kossiga.

E allora da Paz! si arriva alla fonte primaria di quell'immaginario dadaista: apprezzabile - solo per gli ultraquarantenni? - è che non c'è alcun bisogno di specificare quando si cita un riferimento, quando un pezzo musicale prende il sopravvento (dall'inno nazionale di Hendrix, con cui iniziarono le trasmissioni della radio riesumata dalla tomba per un'ora, a Claudio Lolli, già allora sprofondato in un abisso di tristezza), quando appaiono i GazNevada, quando volano i lacrimogeni: sono tutti avvenimenti che hanno un quarto di secolo sulle spalle e - forse a causa della mancanza di riconciliazione da avvenuta storicizzazione dei fatti - mantengono una vivacità sorprendente nella memoria.

E d'altronde non sono poche le allusioni alla contemporaneità: il tpo e l'indicazione di indymedia come ideali eredi, il lettrismo delle creazioni improvvisate e il culto per il dadaismo del tutto privo però di qualunque reverenziale sudditanza (se non per Majakovskij), avvicinabile allo spirito delle critical mass ciclistiche, la stessa necessità totalmente "autonoma" (nel senso - ribadito nel video - di "distanza" da ogni struttura, organizzazione, partito) di inventare percorsi di creazione e comunicazione sideralmente distanti da quelli canonici. La germinazione spontanea si trasmette al film, che accumula idee e immagini rizomatiche.
E poi, nonostante una maggioranza di estrema destra al potere (non tanto diversa dal passato centro-sinistra per immaginare rapporti con un immaginario non imbrigliato, sfuggente, smpre altrove), manca pochissimo perché molti giovani si affranchino dal giogo televisivo e adottino quello stile di vita estremo che portava ad affermare risolutamente che non si sarebbe arrivati ai trent'anni. La veglia costante, la tensione intellettuale del confronto tra coabitanti, le invenzioni di orizzonti di interessi ben più destabilizzanti dei forum no global, ... in quella radio non si discutevano progetti precotti e rimasticati genericamente, ma si inventava una modalità di partecipazione diretta che negli infiniti spezzoni audio del film si evincono prepotentemente: un'intera città che usava quello spezzone di etere per servizio o per surreali interventi, per comunicazioni personali o per espressione culturale altrettanto personale, tanto da diventare "politico"; quello che è stato estirpato coscientemente non è un'emittente che aveva dato indicazioni durante gli scontri dopo l'omicidio premeditato di Francesco Lorusso da parte di un "antenato" di Mario Placanica (il carabiniere Massimo Tramontani), ma si volle estirpare il pericoloso virus dell'autonomia di giudizio e di partecipazione che aveva dato vita a un'esperienza divertente di radio. Incontrollabile e nuova.

Gli autori sono riusciti a imbastire la storia della radio attraverso le testimonianze dirette semiserie - l'autoironia era (è ancora) una componente immancabile - dei giovani di allora intrecciandole anche a interpretazioni attuali, oltreché materiali per la verifica (incerta) rielaborati al computer, lasciando pochissimo spazio all'analisi meditata - anche come montaggio sempre molto cadenzato e mirato a interrompere un flusso per incalzarlo con altro, riuscendo a dare l'impressione di un laboratorio ancora adesso da saccheggiare, perché si preferisce proprio l'opposto: un ritratto emotivo a distanza di tempo, ma senza la patina di nostalgia o di rimpianto.
Non poteva mancare una "Alice nelle città" a unire tutti i fili e le stanze, bimba che suona i campanelli cercando "Alice", un siparietto un po' forzato, ma che si attaglia wendersianamente a quel periodo. Nel complesso un'operazione che non tradisce né il soggetto trattato, né lo spirito di allora, riuscendo miracolosamente a non rimanere impantanato nell'immagine allo specchio che ci rimanda, edulcorata, la distanza del tempo trascorso.