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Zmej - La coda dell'aquilone
Anno: 2002
Regista: Aleksej Muradov;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Russia;
Data inserimento nel database: 05-09-2002


Zmej 1

Visto a Venezia 2002

Zmej - La coda dell'aquilone
Regia: Aleksej Muradov
Sceneggiatura: Aleksej Muradov, Jurij Solodov
Fotografia: Robert Filatov
Montaggio: Aleksej Muradov, Robert Filatov
Interpreti: Viktor Solovjov (il marito), Nadezda Ozerova (la moglie), Pavel Zolotilin (il bambino)
Produzione: Aleksej Muradov, Robert Filatov, Evgenia Tirdatova, Pjotr Cernjaev, M2F
Origine: Russia, 2002, 75 min., 35 mm
Sezione: Settimana internazionale della Critica

Se il film deve essere un'esperienza estetica allora Zmej, opera prima del russo Aleksej Muradov vince tutte le palme e tutti i premi per il suo rigore stilistico dalla prima all'ultima inquadratura. All'inizio vediamo solo alcune luci che sembrano dilatarsi leggermente nell'oscurità. Subito dopo irrompe fisicamente il suono di un camion inquadrato dal basso come se fossimo schiacciati sul selciato di chissà quale strada. Nella notte circostante appare come un fantasma una specie di barbone che fuma e beve incessantemente, poi si trascina nella luce sempre più opaca e sgranata di fronte a un gruppo di abitazioni rurali. La scena successiva è un interno. Di quelli che mettono paura al prima istante. Un gallo canta, è l'alba, un uomo e una donna dormono, poi la donna si alza, ma nel frattempo penetriamo completamente anche l'universo sonoro dell'ambiente rappresentato. Ticchettii, altri rumori irriconoscibili, e il sibilo incessante riconoscibilissimo del frigorifero. I tempi delle varie azioni, gesti assolutamente quotidiani, si delineano con l'assoluta naturalezza degli istanti del tempo reale, la pesantezza del risveglio in effetti si trasforma nella percezione individuale sovraccarica di dolore e tristezza verso tutto e tutti. L'insofferenza che si respira accende una reazione sempre smorzata. L'uomo aiuta il figlio handicappato ad alzarsi poi lo trascina in bagno per consentirgli di espletare i bisogni fisiologici. Siamo dalle parti di Sokurov, e proviamo la stessa sensazione di sprofondamento in quadri di luce che trasmettono le diverse sfumature di vissuti terribili. L'orrore dell'impotenza di fronte alla miseria e alla malattia. E perfino il più grande orrore dell'esecuzione dei detenuti da parte del protagonista, che è una guardia carceraria addetta all'uopo. Non c'è scampo né salvezza in questa dimensione dell'anima, solo incessante sofferenza. Ex Unione Sovietica degli anni Novanta, davvero da brividi.

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