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AZ UTOLSO BLUES - THE LAST BLUES
Anno: 2002
Regista: Péter Gárdos;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Ungheria;
Data inserimento nel database: 11-07-2002


The last blues
Regia: Péter Gárdos
Soggetto: Péter Gárdos
Sceneggiatura: Péter Gárdos, Zsuzsa Biro
Fotografia.: Laszlo Seregi jr.
Montaggio: Mari Miklos
Musiche: Zbigniew Raj
Scenografia: Baladzs Hujber, Piotr Szmitke
Costumi: Janos Breckl, Marck Braun
Interpreti: Janos Kulka (Andris), Andrea Fullajtar, Agnieszka Wagner, Peter Rudolf (Zoli), Ages Bertalan, Gabor Agardi (Uncle), Zoltan Gera, Tamas Jordan (Dad), Krisztian Kolovratnik (Taxi driver), Béla Paudits, Nora Tabori (Mom)
Produzione: Denes Szekeres , Jan Kidawa-Blonski, Paola Massiah
Origine: Ungheria, 2002, 96', v.o. ungherese, 35 mm
visto al Taormina BNL FilmFest 2002

Retoriche dell’assurdo, apparizioni di metafore. L’uomo con la macchina che non riesce a fermarsi che nel nostro folle e disperatissimo (perché l’ispirazione qualche volta manca) diario dal festival abbiamo definito improbabile remake di Christine la macchina infernale. La metafora è dentro quella che definiremmo "immagine goffa", figura retorica che non riesce a significare, perché turbata dall’ottustà di senso che ogni logica farebbe saltare. Insomma se il regista voleva figurare un uomo che non riesce a fermarsi e se ne va in giro con le sue mille preoccupazioni e indecisioni insolubili, poteva semplicemente raffigurare un uomo che non ferma la sua auto in corsa. Invece qui abbiamo una macchina alla quale all’improvviso saltano i freni. Cosicché il nostro protagonista - non si sa come abbia preso la patente - non riesce più a fermarsi. Prima si schianta contro un albero… sul quale rimbalza… poi si schianta contro una montagna di pneumatici e… anche questa volta rimbalza. Non sapremo mai perché la macchina non si ferma… e l’acceleratore, il freno a mano, le marce? No, vediamo l’indicatore della benzina che si avvicina alla riserva… ma l’auto non si ferma. Anzi si ferma, e poi riparte, i freni continuano a non funzionare, così da far supporre che in conferenza stampa un po’ per rispetto nessuno ha avuto il coraggio di chiedere al regista se lui ha la patente e se ha mai guidato un auto. Nel frattempo mentre Andris va in giro per le campagne ungheresi, tutta la sua vita è richiamata, nella realtà attraverso il continuo trillare del telefonino, un Nokia bellissimo che ruba lo sguardo del pubblico più del resto. Andris intreccia innumerevoli conversazioni con diversi familiari tra cui la moglie e l’amante polacca. Vede anche il padre che è morto sul sedile posteriore.
Se The last blues ha la pretesa di costruire un racconto su uno stimolo metaforico è proprio che non riesce a farlo, troppe telefonate e pochi incontri tra umanità e pensiero. Non a caso il momento più bello è l’incontro quasi magico con un fantino e poi quando moglie e amante si incontrano e liberano tutte le pulsioni. Prima ballano appassionatamente abbracciate, si sfiorano quasi in un bacio lesbico, poi sprigionano altre libido nella chiesa distruggendo e spargendo le vernici di vari colori sulla volta affrescata, lasciando che le gocce copiose scivolino sui loro corpi semi distesi e eccitati.


Conferenza stampa con Peter Gárdos e Denes Szekeres

Da cosa nasce ques'idea dell'uomo che non si può fermare..

Péter Gárdos: Da molto anni avevo l'idea di un uomo con molte vite , non vorrei apparirvi immodesto se vi racconto un piccolo particolare della mia vita, da giovane avevo molti dubbi su quello che sarei diventato da grande, io sentivo, avevo un'attrazione verso il gioco degli scacchi, passione che ho sviluppato, e quando sono diventato matricola all'università ho dovuto decidere che strada intraprendere, il mio maestro mi disse che sei otto ore bastavano per diventare giocatore professionista di scacchi, ma io ci ho ripensato, facendo la gavetta nel cinema sono arrivato nel cortometraggio, e poi ancora oggi vedo altri giocare a scacchi e ho un doloroso ricordo, per me è stato facile accettare il fatto che ognuno di noi poteva avere varie vite, ma poi ha dovuto scegliere., mi ha sempre affascinato la domanda "perché viviamo proprio la vita che viviamo?

La situazione politica in Ungheria e la possibilità di finanziamenti
Péter Gárdos: Penso che in Ungheria fare un film funzioni allo stesso modo, ci sono delle fondazioni che danno un aiuto. In Ungheria hanno ridotto le possibilità di finanziamenti ai film, i film importanti per vari motivi bastava che avessero questo emblema che riuscivano ad avere finanziamenti, il che significava che alcuni registi hanno ricevuto degli incarichi ma senza che fossero indetti dei concorsi pubblici, e questo si verificava in tutti i settori della cultura ungherese.

Sulle difficoltà di produrre il film
Denes Szekere: Finora abbiamo parlato di denaro, ho cercato all'inizio un aiuto per finanziare il film, si tratta di una coproduzione, e avendo il copione in mano ho pensato a quali paesi potevano essere interessati alla coproduzione, e siccome la coproduzione presuppone la cooperazione tra vari paesi, ho riesumato alcune conoscenze in Polonia; quando ho cominciato ad avviare i contatti avevo anche un amico per l'Italia. Così sentendo che gli italiani si sono interessati ho chiesto una piccola somma per partecipare e abbiamo ipotizzato la presenza di un attore italiano, ho collaborato con il fondo Eurimages, anzi sono trai primi ad aver ottenuto per l'Est un finanziamento da questo fondo. Per vari imprevisti non sono riuscito ad avere la partecipazione dell'attore italiano.

La fine del film è volutamente enigmatica,
Péter Gárdos: Si tratta di due cose, la macchina che prima sembrava inarrestabile, come drammaturgia il film segue le favole popolari, dove il protagonista arriva sempre davanti ad un bivio davanti al quale è costretto scegliere. La macchina si arresta in un punto significativo, dove gli viene data ancora una chance per la vita e lui questa opportunità la utilizza per chiamare l'amante, compie lo stesso peccato che aveva compiuto da molti anni e la macchina da ora non si fermerà più. Volevo dare un finale interpretabile in molti modi, per esempio il fatto che parli con il padre che è già morto.