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UMUR
Anno: 2002
Regista: Kai Lehtinen;
Autore Recensione: Andrea caramanna-
Provenienza: Finlandia;
Data inserimento nel database: 08-07-2002


UMUR

 

UMUR

Regia: Kai Lehtinen
Soggetto e sceneggiatura: Petter Sairanen,, Kai Lehtinen
Fotografia: Timo Heinänen, Jouko Seppälä
Montaggio: Kauko Lindfors
Musica: Pekka Karjalainen, Carl-Johan Häggman
Scenografia: Karoliina Koiso-Kanttila
Costumi: Karoliina Koiso-Kanttila
Interpreti: Heikki Rantanen, Minna Turunen
Produzione: Asko Apajalahti
Origine: Finlandia / 2002
Durata: 96' / v.o. finlandese / 35 mm


È la vicenda intima che infine stordisce nel comunicare l’angoscia prevalente del Nulla. Rimangono le immagini tempo di una storia del cuore, della passione incessante che si scontra con la fragilità sconcertante della vita. Basta un gesto, piccolissimo e trascurabile, per azzerare il flusso vitale e far scorrere la vita in un altro modo, quello suo proprio: il collegamento imperturbabile tra tante esistenze, tante vite, tante storie, eventi che soltanto la memoria umana può tentare di salvare, custodendoli nel suo prezioso e precario immaginario. Il protagonista Poika affonda letteralmente nella fantasia del cuore (infine la flebile fiammella). L’immagine della donna amata Umur è centrale, tanto da attraversare quella continua oscillazione tra l’essere manifesta e cadere nell’oblio. L’oblio fisico naturalmente è quello della malattia mortale, un cancro o un tumore di cui si parla poco, ma che a poco a poco si riempie di facce, di testimonianze davvero palpitanti. Come quella del padre che di fronte alla figlia morente è fasciato dalle immagini della sua bambina sorridente di cinque o sei anni quando giocava tranquillamente e certo ignara di quello che il destino, ovunque esso sia e si celi, le avrebbe riservato da donna. Umur tenterà di sottrarsi o meglio di sottrarre l’amante al dolore per la notizia della malattia, ma questo appare come un debole stratagemma, come se nascondere fosse non meno doloroso di comunicare la notizia. I corpi protagonisti giocano questa continua sfida alla vita, che continuamente colpisce alcuni e "salva" altri. Come l’artiglio di quel gufo che appare in continuazione e in particolare all’inizio e alla fine del film. Il suo artiglio è forse quello della morte anche se la didascalia suggerisce un altro percorso: quello dell’uccello migratore che trova infine la via, ma senza sapere come e perché. Così ogni uomo in fondo trova il suo percorso.

Nel gioco tumultuoso di questi artigli non a caso è colpito anche un personaggio secondario, l’amica che condivide l’abitazione con Umur. È un episodio molto forte perché suggerisce l’immediato trasalimento del sentimento umano di fronte all’evento che colpisce, in questo caso la morte improvvisa del ragazzo per un incidente d’auto. Nondimeno la morte della cagnetta Laika , la quale incontrerà la morte dentro un anelito di vita, la corsa incontro ad un altro cane in calore. Il dramma è trattato con una totale necessità dell’immagine, venir fuori ed apparire nel suo terribile dolore che trova un minimo conforto nell’immersione dentro la natura, nel bagno nudi nel verde e nelle acque gelide di un impetuoso torrente.