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Spiderman
Anno: 2002
Regista: Sam Raimi;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 16-06-2002


Spider man
Spider man
Narrazione spazio-mitizzata

regia.......................... Sam Raimi

sceneggiatura................... David Koepp
a partire dal fumetto di Stan Lee e Steve Ditko

fotografia................... Don Burgess
scenografia................ Karen O'Hara, Debra Schutt
effetti ...................... David Amborn
montaggio.................. Arthur Coburn, Bob Murawski
musica.................. Danny Elfman
costumi.................. James Acheson

Produzione
Avi Arad .... executive producer
Heidi Fugeman .... associate producer
Ian Bryce .... producer
Laura Ziskin .... producer
distribuzione............ Columbia Tristar
Usa, 2002, 2h 00'.

cast:


Tobey Maguire .... Peter Parker

Willem Dafoe .... Norman Osborne

Kirsten Dunst .... Mary Jane Watson

James Franco .... Harry Osborne

Cliff Robertson .... Zio Ben Parker

Randy Poffo .... Bonesaw McGraw

Rosemary Harris .... Zia Mary














Abbarbicato all'asta dell'Empire State Build. - rimane solo quello dopo september eleventh: recuperare l'immaginario architettonico di prima delle Twin Towers (che ancora si vedono nel poster del film di Guillermin) - la "stars&strips" digitale svolazzante alle spalle, alternata ai colori slavati che evocano il periodo in modo molto più pulp di quanto non riesca una sciatta sceneggiatura perbenista, moralista e reazionaria (firmata dallo stesso sceneggiatore di Panic Room), a cui il grande Raimi solo sporadicamente riesce a sottrarsi: questa è l'emblematica immagine finale.
Come avviene per tutti gi *-men (dalla serie di Superman a Hollowman, tranne il Batman di Burton) si impiega mezz'ora - d'orologio - per familiarizzare con la quotidianità dell'eroe: lo spettatore medio evidentemente è stupido e va accompagnato per mano nella noia dei suburbs, piuttosto che nei consigli d'amministrazione di fornitori dell'esercito. E allora bisogna insistere su una insignificante "rossa" della porta accanto, ribadendo più volte anche verbalmente il concetto e avviando un primo film, che è remake dei film di nerds al college in tre tappe: visita scolastica (filologica della origine del fumetto); esibizione in mensa (giocoliere con il vassoio, uno dei pochi momenti di freschezza giovanile e autoironica di cui non c'è traccia nelle battute emendate messe in bocca all'arrampicamuri); duello - scontatissime tutte; poi il genere si trasforma in un Wall Street raffazzonato, utile solo per sottolineare l'argomento che sta a cuore allo sceneggiatore insipiente, che ha attinto alla parabola dei talenti cristiana: l'uso delle facoltà in senso positivo o negativo scorre parallela, incarnata per il volgo dai due mostri che si affrontano. A questo punto un guizzo di Raimi sposta la noia del racconto sullo sdoppiamento schizofrenico, sfruttando al meglio Dafoe, in una prova allo specchio, che riscatta la sequenza di omaggio a The Fly, che fa rimpiangere entrambi gli originali, pur riferendosi, per ragioni filologiche, alla versione con Vincent Price, più vicina all'universo pulp per ragioni di condivisione cronologica della classicità pulp.
In quel frangente si assiste allo sdoppiamento dello scienziato: dapprima lo specchio ricalca i movimenti di Osborne, ripreso nella stessa inquadratura, poi diventa una sequenza da fratelli Marx, dove il mostro è autonomo dal controllo dell'umano e Goblin si muove nello specchio indipendentemente rispetto ai movimenti di Osborne. Geniale. Stesso discorso vale per la parallela confezione del costume da ragno, mantenuto da Raimi nell'impostazione del racconto che vede l'alternanza dei due percorsi a partire dall'incontro sulle scale del museo tra i due antagonisti: rivali che si attraggono perché uguali e complementari. Peccato per la prevedibilità di ogni singola situazione e di quasi tutte le inquadrature. Invece denota gran mestiere l'uso dei differenti stadi di costume - più o meno artigianale - per graduare anche la trasformazione di Peter Parker in Spiderman, dapprima mantenendo la natura adolescente del ragazzo-nerds («Alla riscossa!», urla prima di schiantarsi contro un cartellone durante le prime prove, usando proprio l'espressione dei nerds) dietro un costume carnevalesco, dove il wrestling si configura come momento di crescita e di passaggio alla consapevolezza della missione.
E dopo l'incontro con il culturista sul ring (ottima metafora del voyeurismo americano e degli istinti più violentemente fini a se stessi) si avverte una schizofrenia anche tra gli autori: evidente lo scontro tra reazionari che spingono sulla solita paura con le campagne sulla sicurezza (abbracciando le tesi ciniche del direttore del giornale, più simpatico e schietto di Marco Belpoliti: «L'unica cosa che la gente ama più di un eroe è vedere l'eroe fallire» e i giornalisti ci marciano; ma questo era già nel fumetto) e quelli che privilegiano i messaggi progressisti, purtroppo affetti da un buonismo, solo talvolta smussato dalla zampata di Raimi che dipinge la zietta come insopportabile e untuosa bigotta.
Eppure fa ben sperare la prima apparizione dello zio Ben, 68enne alla ricerca di un lavoro (una patente denuncia del sistema neoliberista, che viene edulcorata dalla produzione, anche quando viene resa dignità ai lavori nell'incontro tra Peter e Mary Jane, cameriera: «Non è di basso livello, tu fai un lavoro»), perché licenziato dal suo posto di elettricista (e infatti lo troviamo in piedi su una sedia che avvita una lampadina e poi con forbici - normali, non da elettricista - che sta spelando un cavo, a sottolineare la saga dei luoghi comuni che soffoca il film): il realismo populista poteva essere un nuovo genere frequentato dal film, a maggior ragione perché viene inserito subito dopo un arguto montaggio che vede apparire le mostrine dei generali nel momento in cui Osborne li accoglie, chiamandoli: "Consiglio di amministrazione". Il momento peggiore in questo senso si vive quando Peter solidarizza con il rapinatore, non fermandolo come punizione per il mafioso prepotente - il quale lo truffa come Belpoliti, che lo sfrutta sottopagandogli le fotografie: «Niente lavori fissi, solo free lance», in una delle più caustiche battute concesse dalla Columbia - e si ha solo il tempo per compiacersi di questa vendetta, che decreterebbe quanto non sia furto rubare ai ladri - ovvero non sarebbe reato svaligiare le banche -, allorché la sceneggiatura interviene ribaltando il messaggio e innescando il meccanismo poco virtuoso di lotta alla micro-criminalità attraverso il commovente omicidio dello zio proletario. Rimane un appiglio di umanità: il giovane ragno non uccide nessuno, il delinquente cade inciampando, Goblin muore di propria mano, gli altri vengono catturati dalla ragnatela.
La scarsa omogeneità del testo che oscilla tra molti generi, solo uniformati dal pulp, la fa da padrona nella parodia dei molti film giornalistici che già nella versione fumettara trovavano nel riferimento filmico ragione della loro parodia per l'infame cinismo delle campagne stampa. La rapacità trova il contraltare nella finanza, più letale degli ottusi militari. Bella la carrellata indietro sul tavolo del consiglio di amministrazione, che documenta la decisione della vendita della Oscorp non tanto diversa da quella che deve essere stata la riunione del consiglio di amministrazione bancario della Fiat. Probabilmente Agnelli è andato in Usa per trasformarsi in Goblin. E altrettanto visivamente godibile è l'intera sequenza kitsch della fiera con i pupazzi svolazzanti per strada, teatro del primo scontro tra Goblin e Spiderman, forse il momento di maggiore aderenza con lo spirito del fumetto. Il film avrebbe poi guadagnato anche a mantenere la musica della serie televisiva che appare solo nei titoli finali (come gli U2 in Bloody sunday), anziché quegli irritanti strimpellamenti hollywoodiani, ed evitando quegli effetti alla Matrix in rallenti: si spera si tratti di ironia, camuffata da finti scarsi mezzi pulp. E un altro inaccettabile escamotage dei dialoghi è quello di alludere con battute del tipo: "Non sei mica superman", "Peter, sei un mostro" e altre amenità che costellano la pellicola e sfidano la pazienza dello spettatore.
Quello che proprio è scontato e banale è il tentativo di accreditare molteplici rapporti padre/figlio: Peter, orfano come tutti i supereroi, ha un padre retorico nello zio, sviluppa un rapporto di figliolanza con Osborne, per l'attrazione tra geni e simili, accomunati dalla mostruosità. Un discorso così raffazzonato e forzato da risultare accademico e di maniera.