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Zhao Xiansheng
Anno: 1998
Regista: Lu Yue;
Autore Recensione: Marcello Testi
Provenienza: Cina;
Data inserimento nel database: 24-08-1998


Visto al 51° Festival Internazionale di Locarno

Zhao Xiansheng
di Lü Yue
sceneggiatura Lü Yue, Shu Ping; fotografia Wang Tian Lin; montaggio Zhai Ru; sonoro Wu Gang; Cina, 1998, 35mm, col., 89'

Film premiato a Locarno, piaciuto per le sue forme semplici e per il confronto con temi "nuovi" per il cinema cinese (sono queste le registrazioni sismografiche auspicate dal direttore Marco Müller come compito principale del festival nei confronti del suo pubblico "sensibile"), ma che non mi appassionano perché troppo vicini a stereotipi e luoghi comuni occidentali: in un triangolo moglie-marito-amante, atterriamo ben presto dalle parti dell'immaturità sentimentale di un Woody Allen (con effetti assai meno esilaranti), del ritratto facile di un borghese (figura emergente in Cina) piccolo piccolo, infine moralisticamente punito per le sue incertezze e le sue debolezze, ma che non rinuncia nel finale a godere immobile di un ricordo recente eppure evanescente, con un sorriso ambiguo che lo avvicina indegnamente al DeNiro nella fumeria dell'ultimo Leone.

Il Signor Zhao è un docente con moglie e figli e con la passione per il corteggiamento delle giovani allieve. Con una di queste intraprende una relazione che ben presto confligge con la vita familiare, costringendo colui che viene in fondo dipinto come un povero diavolo (!) a creare un delicato equilibrio fra la sua tensione verso la giovane amata e una sorta di rispetto postumo per l'istituzione e gli obblighi del matrimonio. La gravidanza inaspettata dell'amante farà precipitare la situazione, ma il Nostro ancora una volta rinuncerà all'opportunità e al dovere di compiere una scelta, nascosto dietro il suo meschino buon senso. Il primo risultato di ciò sarà un ceffone che scatena il meritato applauso del pubblico, ma sarà infine un caso molto kieslowskiano (quindi una specie di Provvidenza) a provocare l'epilogo moraleggiante, talmente perfido da richiedere per giustificarsi un bonus di malefatte raccontate da un sogno/ricordo del protagonista durante il suo dormiveglia comatoso.

Il tutto viene affidato (dal regista che è il tecnico responsabile degli ultimi film di Zhang Yimou, compreso il dinamico Keep Cool) a una messa in scena "invisibile", pochi "schiaffi" di regia e molti lunghi shots di dialogo (qualche critico temerario ha ritirato fuori dal cilindro Cassavetes, ma siamo fuori bersaglio: l'americano metteva molto più in gioco e in scena la macchina da presa e, ovviamente, se stesso). E il risultato, pur nel complesso non odioso, non è certo qualcosa di cui andare fieri, o per cui ricevere premi.
Anche il lavoro degli e sugli attori è tutto sommato vicino alla routine: malgrado le durate di inquadratura, permane un senso di distanza e non si nota alcuno spazio lasciato libero per l'improvvisazione.
Attendiamo di meglio dalla cosiddetta "sesta generazione".