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Virginia Woolf's Mrs. Dalloway Anno: 1997 Regista: Marleen Gorris; Autore Recensione: Adriano Boano Provenienza: UK; Data inserimento nel database: 19-01-1998
Vacuità. Tutto il film sembra essere
attraversato dalla vanità del bel mondo britannico di
inizio secolo. Ma, intrappolate nella filigrana delle buone
maniere, leziosa ragnatela per la middle class inglese,
rimangono le inquadrature inserite a descrivere il terrore
del reduce e subito lo spettatore più attento avverte
il sotterraneo legame tra il giovane affetto da "psicosi
traumatica" e la protagonista, Clarissa, benché nulla
li accomuni: l'uno "non ha il senso delle proporzioni" e
continua a vivere allucinazioni durante le quali vede il suo
compagno Evans ridotto a brandelli sotto i suoi occhi da una
granata durante il primo grande massacro del secolo, l'altra
è una anziana convalescente trasognata, autoreclusasi
da decenni nell'ovatta sfarzosa di una dimora londinese, per
paura di affrontare una realtà per lei insostenibile,
perché ha timore dei contrasti. Infatti Peter Walsh,
irruente avventuriero pronto a prendere di petto la vita, di
cui è convinto di possedere la chiave, le sembrava in
gioventù che la soffocasse e dunque "gli
spezzò il cuore", rifiutandolo; in realtà la
difficoltà di Clarissa è quella di farsi
un'immagine delle proporzioni e questo la induce a relegarsi
in un mondo di sogno, perché non riesce a
"interpretare" la vita, o almeno non riesce a individuarne
un aspetto che non la spaventi: tutto è
sproporzionato e dunque irriducibile ai parametri a sua
disposizione.
Entrambi i protagonisti,
perseguitati dalle situazioni del passato, che ritornano in
un intreccio di tempi diversi, apparentemente facili da
ordinare nell' inseguirsi di flashback, però
così strettamente confusi da non poterli dipanare
(come in Orlando, ma in modo meno palese), sono bloccati in
un'ulteriore sospensione del tempo, che si risolve in
maniera opposta, eppure simile. Un ossimoro che evidenzia
quanto soltanto in superficie la traduzione di Gorris del
racconto di Virginia Woolf possa sembrare una costruzione
filmica facile, mentre trova solamente nell'epilogo una
soluzione con la composizione della tenue, ma profonda,
tensione mantenuta viva dalla sottile insoddisfazione di
Vanessa Redgrave (che non rischia mai di essere confusa con
il languore della pubblicità dei cioccolatini grazie
alla maestrìa dell'attrice inglese).
L'intreccio si impegna a ritrarre
l'assenza di adesione alla realtà ed il vuoto di una
società in decomposizione, a cui si somma
l'inclemenza del tempo trascorso, al fine di collocare la
decisione di vivere finalmente proprio nel momento in cui la
rivelazione potrebbe indurre ad un gesto di rifiuto di
un'esistenza vana; quindi la pazienza dello spettatore nella
sopportazione della descrizione di una putrescente high
society vittoriana trova una motivazione nell'individuare
solo alla fine il bandolo della matassa di insicurezza, che
aveva spalancato gli occhi smarriti di Mrs.Dalloway sullo
stesso abisso di terrore del reduce suicida, nonostante la
disparità della condizione sociale. Le loro strade si
incrociano una volta e le disperazioni si riconoscono,
specchiandosi negli sguardi scambiati attraverso la vetrina
della fioraia: languido uno, sbarrato sull'orrore l'altro;
quel momento è un segnale al pubblico che i flashback
sulle loro esistenze, succedutisi fino a quel punto e che
rievocheranno soprattutto il passato di fughe dalla
realtà di Clarissa, potranno informare sugli eventi,
ma l'accumulazione di dati desunti dal montaggio parallelo
tra le vicende dei due protagonisti, così diverse,
sarà il percorso privilegiato per offrire una duplice
soluzione opposta e condivisibile per le due facce di una
stessa ossessione.
Preziosa difatti è la
sequenza finale, in cui è incorniciata da una
finestra con tende svolazzanti nella bufera di sentimenti
una Mrs.Dalloway sulla quale le ingiurie degli anni poco
hanno potuto a confronto con i vecchi amici snob (sui quali
la festa in corso costituisce una carrellata e l'apoteosi
della obsoleta vacuità dell'ambiente). Il tempo non
è trascorso per Peter, poiché per lui si
è fermato nel momento in cui fu rifiutato (e continua
a giocare con il temperino), per lei perché non ha
vissuto, nè si è assunta alcuna
responsabilità, finché nel pieno della festa
presso la rassicurante magione del ministro Dalloway ha
vissuto come ferita personale (e noi attraverso la sua voce
off abbiamo rievocato il fatto a cui avevamo assistito
attraverso gli occhi della solerte moglie del soldato) il
suicidio del reduce perseguitato dagli incubi senza
possibilità di ritorno e dagli ottusi medici ospiti
del party, che narrano l'episodio senza il pathos che sente
lei e allora si sublima il suo stato: Clarissa in bilico su
un universo onirico attraverso la comprensione del gesto
estremo del giovane arriva a cogliere uno spiraglio,
conferendo un senso al suicidio di lui trova un motivo per
vivere. Si affaccia la rivelazione che c'è qualcosa
nella vita in grado di spingerci a tirare avanti, nonostante
l'imbecillità dell'ambiente; così, al
contrario di quello che può prevedere il pubblico,
preparato dalle inquadrature della regista al gesto
risolutivo, ella non seguirà il giovane nella ricerca
della morte, ma prenderà per la prima volta una
risoluzione di vita, che in assenza di Vanessa Redgrave
sarebbe risultata retorica e didattica ed invece la sua aria
dolce rende plausibile e condivisibile il
testo.
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