NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Vigo, Passion for Life
Anno: 1998
Regista: Julien Temple;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 20-08-1999


Vigo

Vigo - Passion for Life


Regia: Julien Temple
Sceneggiatura: Peter Ettedgui, Anne Devlin
Fotografia: John Mathieson
Montaggio: Marie-Thérèse Boiché
Musica: Bingen Mendizábal
Produttore: Jeremy Bolt, Amanda Temple
Produzione:Channel Four Films, Mact Productions, Impact Pictures Impact/Nitrate Pictures
Distribuzione: Eagle Pictures
Formato: 35 mm.
Provenienza: GB, Francia
Anno: 1998
Durata: 103'
Romane Bohringer: ... Lydu Lozinska
James Frain: ... Jean Vigo
Jim Carter: ... Bonaventure
Diana Quick: ... Emily
William Scott-Masson
Lee Ross
Nicholas Hewetson
Brian Shelley
James Faulkner


Julien Temple ci aveva risparmiato per un decennio i suoi ritratti convenzionali di sovversivi: già con The Great Rock'n'roll Swindle (1981) aveva esordito interpretando in una "ottica" perbenista la rivoluzione punk, ingabbiandola in categorie spettacolari comprensibili e accettabili per la società messa in discussione dai Sex Pistols, poi con un percorso a ritroso nel tempo si era occupato degli Absolute Beginners (1986) della generazione precedente. Da London Calling alla Swinging London, il risultato rimaneva l'edulcorazione del tema sfruttando il decorativismo postmoderno che gli consentiva di citare il pop senza farsi coinvolgere e senza approfondire la ribellione nei momenti in cui esplode un cambiamento del gusto epocale. Il percorso a ritroso si è fermato in questo caso ai primi anni trenta, sbarcando in continente; stavolta non riguarda soltanto il salto indietro ad un'epoca lontana rispetto agli inizi della carriera di divulgatore dei miti rivoluzionari analizzati metalinguisticamente, ma anche all'interno di quest'ultimo ritratto incensante (e imbalsamante) egli preferisce seguire un criterio che gli permetta di inserire brevissimi momenti onirici, i quali, nonostante siano patinati almeno quanto Vigo era scarno diretto e affatto disponibile a épater le bourgeois, risultano i più efficaci, perché lasciano trapelare la condivisione dei sogni dei due coniugi e l'abbandono impaurito al mondo onirico: pregevole l'intrusione nei sogni del cineasta da parte di Lydu, che insieme a noi sente il rumore che ci proietta nel primo degli inserti di sogno.

Si comincia dalla lanterna magica, scontato eppure pregevole incipit in cui trovano posto il rapporto con i ragazzini (il principio fotografico palesato dal paesaggio osservato dal regista complice del bisogno del bambino di osservare le montagne contro la volontà del burbero autoritario compagno di treno) e la tecnica. L'eccesso inaccettabile in cui Temple si crogiola è quello del bisogno di romanzare a tutti i costi le situazioni che diventano così artificialmente emblematiche senza mai raggiungere la tensione poetica che il personaggio meriterebbe, mentre il tono sempre didattico possiede a volte delle impennate di condivisibile passione. In questa alternanza tra il Thomas Mann del lungo e struggente periodo in sanatorio ("Tubercolosi contratta nell'infanzia dovuta a negligenza miseria umidità", sciorina con tono scolastico il medico) e lo scontro con qualsiasi autorità (il medico macchietta proto-nazista trova un ulteriore addentellato nell'ascesa parallela al film di Hitler), a cui è riservato qualunque sberleffo che prima della globalizzazione la "educazione" anarchica scatenava ancora spontaneamente in una liberatoria e coinvolgente risata, si riescono a riconoscere intuizioni del visionario autore di L'Atalante in grado di far impallidire i balbettii dei dogmatici scandinavi: però rivedere A Propos de Nice evidenzia non solo il preciso lavoro del fratello di Dziga Vertov alla macchina da presa, che lascia immaginare il divertimento e la militanza ("Centocinquanta persone contro la guerra, la polizia ha caricato: non ci permetterebbero mai di girare una scena del genere": asserzioni che solo Grifi ora potrebbe pronunciare e che nel film si perdono in un mare di sentimentalismi inutili) dei due poco più che ventenni cineasti nel rubare le immagini ad una scandalosamente ricca indifferente e altezzosa cittadina di provincia, ma più di quanto non faccia la ricostruzione di Temple consente di cogliere l'impegno antiautoritario del regista, decisamente avverso a qualsiasi ordine costituito incapace di resistere alle associazioni irriverenti delle immagini montate con rigore e fantasia. Le due doti che mancano al film del regista inglese. E per fortuna al cineclub Les amis du cinema si proietta Bronenosek Potemkin: benché sia una scelta un po' scontata, spiega il gusto formale nel montaggio di Vigo.

L'impianto didattico mescolato al romanzo d'appendice (in fondo già il racconto sul quartiere di Noting Hill Gate di Colin Mac Innes divenne un cult popolare) costringe ad inanellare rivelazioni come quella sull'omicidio del mitico padre Almereyda-Vigo, suicidato in galera come Baader-Meinhof (l'assassinio degli anarchici è una pratica molto in uso presso le questure di tutto il mondo, anche in quella del nostrano Calabresi), a sentenze improbabili che mettono in relazione le morbosità sacre e profane ("Il suicidio non è colpa di nessuno: è una malattia dell'anima"), a cui fanno da corollario melensaggini farcite di psicanalisi d'accatto, macchiette di anarchici, che diventano fastidiose perché confermano l'idea caricaturale di antagonista che poteva avere il padre di Lydu, il cui punto di vista sembra essere quello assunto da intere porzioni di film che guarda bonario a questi giovani idealisti, aderendo soltanto alle loro visioni, ma non alla carica eversiva, di cui le immagini si trovano ad essere orfane, lasciando a massime e motti ridicoli l'onere di fornire il sostrato ideologico molto semplificato ("Brindo allo sdegno: una grande emozione anarchica") o le pillole di poetica A propos de Nice: "Mettere a nudo la città. É ora che il cinema esca dalla sua infanzia". Per aggiungere melassa poi si immerge tutto in uno struggente pianoforte sentimentale, ancora più evidente nel brevissimo commento di Satie, abbandonato prontamente per meno problematici commenti.

Innocuo l'uso patinato del sesso (castigatissimo! come la spumeggiante e casta Lolita-Suzette di Patsy Kensit), laddove invece l'opera di Vigo è seduzione di forme: le ragazze che ballano il cancan riprese da sotto le gonne mostrando il culo a monumenti e militari (alternati a croci) o la stessa conturbante storia d'amore di L'Atalante tra le luci e le ombre della chiatta erano schiaffi in faccia al perbenismo. Non mai enunciazione verbale di pratiche sessuali o volti in estasi da telenovela per cunnilingum ellittico trovavano cittadinanza nelle tre opere di Vigo; la scanzonata passione del regista anarchico trova sprazzi ad esempio nella telefonata da Parigi a Lydu, dove però a Temple manca il coraggio di collocare davvero la cornetta sotto le gonne di Romane Bohringer; dello stesso stampo reticente è il pleonastico uso della figura materna a scopi biecamente romanzeschi, almeno quanto l'atmosfera umida di Montmartre o il bozzetto di produttore. Per non citare l'ordinario disordine della soffitta bohemienne (per fortuna ingentilita dalla foto di Lulu-Louise Brooks). Tutte situazioni in cui si accenna per stereotipi a vicende della vita di Vigo con lo scopo di rendere la figura del regista meno dirompente. Un processo ancora più evidente nella ricostruzione delle due immagini più famose: la battaglia dei cuscini di Zero de Conduite nell'originale è davvero liberatoria, qui non ha nerbo (nonostante prosegua direttamente dai fotogrammi dell'insurrezione scolastica del '33: dieci secondi di memorabile cinema persi in 103 minuti di convenzionalità), come anche appare pretestuosa la sequenza del tuffo casuale per recuperare la mdp, volta a spiegare una delle riprese più geniali della storia del cinema. Probabilmente la falsità che trasuda da ogni immagine è appositamente proposta per far brillare all'opposto l'intensità del cineasta francese ed il suo montaggio visivo che accentua la perentoria icasticità, feroce e deformante, intrisa di rivolta impastata da un libero linguaggio associativo e allusivo. Meglio, molto meglio, quando Temple si affida alle sue visioni originali, come il catartico rogo del suonatore di fisarmonica del quarto e ultimo inserto onirico.

Il regista non ha potuto concludere anche questo film dimostrando come si finisca sempre per vendersi al sistema, nella musica come nella fotografia, se ne deduce che l'unica alternativa è la morte, mezzo per conseguire l'immortalità e mantenersi rivoluzionari in eterno conflitto con i compromessi, finché non arriva qualche biografo che semplifica intuizioni e visioni anarchiche, cercando di dare spiegazioni da fotoromanzo, che non rendono giustizia dell'altrimenti valida intuizione di tentare di restituire l'atmosfera del periodo in modo assolutamente non realistico: questo non significa che si debbano abbracciare i più vieti cliché. Aspetto positivo del film è che probabilmente può spingere chi non conosce l'opera refusé (il timbro che condannò all'ostracismo Zero de Conduite fino al 1945 drammaticamente rappresentato da Temple) di Vigo-Kauffman e recuperarla come doveroso omaggio ad un cineasta che confuse la vita con il cinema, come retoricamente (ma efficacemente) il regista britannico riassume nel montaggio di fotogrammi e plasma che scorrono allo stesso modo in una medesima inquadratura, commentata con una metafora adatta a qualsiasi organismo che tenti di soffocare le libertà individuali: "Ho visto la mia setticemia in sogno: è una nana grassa e pelosa, mi si è seduta sul petto, voleva togliermi il fiato". Ricordate l'aspetto dell'emblema di ogni autorità, il direttore di Zero de Conduite?