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Verso Venezia Anno: 2000 Regista: Salvo Cuccia; Autore Recensione: Andrea Caramanna- Provenienza: Italia; Data inserimento nel database: 28-07-2001
Verso Venezia
Verso Venezia
Regia: Salvo Cuccia
Sceneggiatura: Salvo Cuccia
Fotografia: Angelo Strano
Montaggio: Daniele Randazzo
Musiche: Mario Bajardi, AA. VV.
Produzione: Eleonora Cordaro per Metrodora
Origine: Italia, 18 min., betacam
visto al TAORMINAFILMFEST 2001
$align="left"; include "image1.php3"; ?>Nel movimento suggerito da quel
"verso" del titolo, verso un luogo, Venezia, e contemporaneamente un
passaggio, nel Veneto, tra Padova, Vicenza, Treviso sta un'operazione di trasfigurazione
dello sguardo. Percorso quindi anomalo, che richiama, come palesano le note sul
film, il giapponese miegakure. Vale a dire ribaltare qualcosa per svelarne i
segreti intimi. E il processo di intravedere ha nella lingua italiana il senso
di "scorgere" "tra" o "in mezzo". Ed ancora il
senso figurato di presagire la cui etimologia "sagire" significa
avere fine odorato. Quindi mettersi alla ricerca delle tracce più nascoste e
dei segni più inconsueti. Salvo Cuccia nei suoi numerosi lavori, sempre creativi,
procede alla ricerca di qualcosa, attraverso un viaggio che a volte è anche uno
spostamento fisico materiale in luoghi lontanissimi (basti ricordare il video
girato in Giappone emblematicamente intitolato Bambini intravisti) o
l'esplorazione di territori primordiali che hanno un'attrazione originaria,
come Terra Madre. E questi spostamenti diventano luoghi dello sguardo
perché nell'incontro con la mdp sembrano esplodere per rivelare gli aspetti
meno conosciuti. Già con Palermo avevamo avuto una visione completamente
diversa, quasi aliena, delle geometrie urbane, e pure una dimensione
intimamente posseduta nell'inconscio. Lo stesso avviene con Verso Venezia,
giacché lo spazio architettonico della città è quasi violentato nelle sue
coordinate perché vibri potentemente il senso inedito: l'intuizione
stereoscopica dei volumi architettonici comunica il mistero della storia, in
immagini che moltiplicano attraverso effetti d'ogni tipo (tra questi la
vibrazione o la sovrimpressione) la loro pregnante tridimensionalità. I colori
e la luce registrano lo spazio fisico antropologico, o semplicemente il
passaggio degli uomini e delle donne, in una quotidianità che è assorbita
wellesianamente dalla magia e lo stupore di un'incessante scoperta del vedere.
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