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Vampiro a Brooklyn
Anno: 1996
Regista: Wes Craven;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 07-05-1998


vampiro a brooklyn. di wes craven

Vampiro a Brooklyn (Vampire in Brooklyn), di Wes Craven. Sceneggiatura, C. Murphy, M. Lucker, C. Parker. Con E. Murphy, A. Basset. Usa, 1996. Dur.: 1h e 41'.

Ennesima rilettura in chiave comico-orrorifica del mito del vampiro. Il succhiasangue in questione è Eddie Murphy che, finalmente abbandonate le odiose risatine da Beverly Hills Cop, interpreta il ruolo del cattivo. La bella di turno da vampirizzare per farne la regina delle tenebre è una poliziotta interpretata da Angela Basset. Il regista è il grande Wes Craven - dopo questo film forse un po' meno grande. Non che il film sia brutto-brutto. E' che, dopo un buon inizio, perde un po' i colpi, si appiattisce, per concludersi con un finale standard - anche se recuperato in extremis da un pistolotto di chiusura che, sebbene altrettanto scontato, è divertente e lascia un buon sapore in bocca. Il plot è quello classico da "storie di vampiri": il non-defunto arriva in città alla ricerca dell'eletta per perpetuare la razza, conquistandola in un misto di orrore e seduzione. L'iconologia è rispettata in tutto e per tutto: allergie ad aglio specchi croci luce-del-giorno; poteri ipnotici; canini spropositati; bagliori negli occhi; trasformazioni in lupo e pipistrello; bara-letto; ubiquità smaterializzazione velocità... e via, fino ad arrivare al tanto temuto paletto-nel-cuore. Le "novità" e le trovate: il vampiro non cerca una compagna qualsiasi, ma una mezza-vampira, frutto di una tragica storia d'amore tra un vampiro ed una umana; il demone-tuttofare (maggiordomo, chaffeur...) zombie che va letteralmente in pezzi nell'arco del film; l'esperto di vampirismo che ha lo studio in un locale caraibico-rasta... ma gli elementi maggiormente interessanti sono altri, e legati a doppio filo tra di loro: la backstory e l'utilizzo della voce narrante. In apertura, una voce che scopriremo essere del vampiro, ci racconta del proprio passato e di quello della specie, rileggendo-stravolgendo la tradizione: il popolo dei vampiri era un popolo felice, fino a quando gli umani, che tendono a temere e distruggere ciò che non conoscono, hanno iniziato a perseguitarli; è così iniziata una diaspora che ha portato alcuni esemplari, votati all'estinzione, in Transilvania ed altri nelle isole del Triangolo delle Bermude (ecco spiegato il mistero della maledizione!). Il resto è storia: Murphy si mette in viaggio per Brooklyn alla ricerca della degna sposa. E' così che, nella sequenza d'apertura a metà strada tra citazionismo e parodia, la nave fantasma letteralmente "entra nel porto". Dopo alcuni segmenti splatter, rientra in gioco la voce narrante del vampiro: un raccontare e raccontarsi dai toni quasi chandleriani. La trovata, sommata agli scenari metropolitani notturni che Craven ci propone, sembra spostare l'asse verso una rilettura noir, dove la parola è la via privilegiata d'accesso ai personaggi. Ed è effettivamente un film in cui la parola, giocata sull'invenzione linguistica, sullo slang e sulla velocità, sembra dominare su altri elementi - tuttavia, appare piuttosto una concessione all'istrionico mattatore Murphy che un elemento sfruttatto appieno nel meccanismo di progressione della storia. E', comunque, un dato di fatto: il vampiro di Craven parla parecchio, come se avesse scoperto nella parola la vera arma-punto debole degli umani. Purtroppo Craven non riesce a mantenere i ritmi e quella scansione un po' sgangherata ma efficace (in sapore di b-movie) della prima metà del film per il resto della durata; e riesce a risollevare le sorti di risacche noiose solo grazie allo sfruttamento pieno delle doti di trasformista di Murphy e delle caratterizzazioni dei personaggi secondari - forse proprio in tale scenario di varia umanità suburbana (diseredati, criminali...) sta la forza dell'operazione. Che resta comunque piuttosto debole.