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Tutti gił per terra Anno: 1997 Regista: Davide Ferrario; Autore Recensione: Luca Aimeri Provenienza: Italia; Data inserimento nel database: 19-01-1998
Tutti Giù per Terra, scritto e diretto da Davide
Ferrario. Dall'omonimo romanzo di Giuseppe Culicchia. Con
Valerio Mastrandrea, Benedetta Mazzini, Carlo Monni,
Caterina Caselli, Gianluca Gobbi. Musiche originali, C.S.I.
Italia, 1997.
Walter ha ventidue anni, vive a Torino dove è
tornato dopo l'adolescenza trascorsa a Roma con la zia
Caterina. Walter ha parecchi problemi: pochi soldi, niente
lavoro, poca Università, niente esami, molte
incomprensioni con il padre operaio, niente parole con la
madre malata di nervi, pochi amici, niente ragazza, vita
sessuale nulla, spaesamento immenso, senso di
inutilità spropositato, refrettarietà a mode e
tendenze totale, sogni zero, ambizioni boh?, malessere e
disgusto dilaganti... "NON studio, NON lavoro, NON guardo la
tv, NON vado al cinema, NON faccio sport." Walter ha
parecchi problemi, non tutti necessariamente riconducibili
al suo essere adolescente: sono piuttosto il suo personale
modo di vedere il mondo che lo circonda, e, soprattutto la
gente che lo popola, a crearglieli. "Tutti giù per
terra" è il quarto lungometraggio di Davide Ferrario,
ed è l'adattamento dell'omonimo romanzo di Giuseppe
Culicchia... incontro di generazioni: uno "splendido
quarantenne" (per dirla alla Moretti) meets scrittore
trentenne (ma il romanzo risale al '93). E scontro di
generazioni: "Se venti o trenta anni fa si poteva pensare di
rispondere a uno stato di fatto con un'utopia, oggi sembra
che al nulla si possa contrapporre soltanto il nulla." Forse
Walter non è il simbolo di un'intera generazione,
certo è il frutto di un contesto più che
credibile. Il malessere di Walter non ha la forza
dell'anarchia: è più semplicemente lo Scazzo
Assoluto che (non conduce al, né deriva dal, ma)
coincide tragicamente con il nichilismo; è quel senso
di inadeguatezza totale, completa, a 360°, che arriva
ad annientare anche gli istinti; è l'arrovellarsi
incessante ed interiore: quella voce che macina e tritura le
parole fino a svuotarle di senso, a privarle di una
qualsiasi ragione d'essere dette, pronunciate - immobili,
dentro se stessi, come certezze... Nell'universo di Walter
non ci sono prospettive, né punti di fuga, né
uscite: la dominante è il blocco, lo stallo; Walter
è immobilizzato in un buco nero: non è un
disilluso, perché non c'è più spazio
per le illusioni; disprezza il mondo, ma non può
nemmeno lontanamente prendere in considerazione la
possibilità di cambiarlo (da questo "punto zero",
formule come "percorso di formazione" rivelano la propria
ipocrisia: il "percorso" è di "distruzione", in
quanto metodico smantellamento di ogni speranza/illusione;
la meta è il raggiungimento non tanto di una
maturità, quanto di uno stato di "tabula rasa".) Nel
finale, amaro, Walter verrà suo malgrado fagocitato e
sporcato dagli ingranaggi... ma questo non gli
"insegnerà a vivere", semplicemente lo
convincerà maggiormente della necessità di
"lasciarsi vivere". In sostanza: se in un mare di merda non
puoi annegare, perché sbracciarsi e fingere di saper
nuotare stilosi? "No Future" (: non a caso, nel libro, la
colonna sonora delle giornate di Walter era scandita dal
punk). Il militante Ferrario non può condividere il
pensiero del suo personaggio (troppo "anni '90"); ma nemmeno
sfugge al suo fascino, alla sua simpatia, ed in particolare
agli spunti che gli concede per una incursione critica nel
presente. La feroce ironia, la lucidità, il cinismo
(per troppo romanticismo, suggerisce Ferrario) del
protagonista permettono al regista di mettere a nudo il
vuoto spinto che ci circonda: una volta tanto, tuttavia, non
si scade nel didascalismo, ed una felice mescolanza di
grottesco ed autoironia predomina, mitigando le puntate nei
territori del surreale. Il "pensiero" del protagonista
cartaceo si manifesta cinematograficamente in una voce
narrante con duplice funzione di trait-d'union: ad un primo
livello, come collante dei brevi segmenti che compongono la
materia del racconto; ad un secondo livello, come anello di
congiunzione/contrapposizione tra il flusso della
realtà e la percezione che di tale realtà ha
il protagonista... Realtà filtrata, deformata,
drammatizzata, completata secondo le fantasie: Ferrario
sceglie uno stile clippato, veloce, aggressivo, costruito e
centrifugato, di un sapore sperimentale fatto di continui
sbalzi tra accelerazioni e rallentamenti, di lavoro
esasperato sull'inquadratura e sui punti prospettici... la
realtà risulta prima capovolta, poi svuotata, infine
assurda (tutto è riconducibile a moda tendenza
finzione facciata omologazione... meccanismo): come agli
occhi di Walter (e del regista). [Per giustificare tanto
"coraggio" visionario nell'ambito della cinematografia
nostrana, votata ai preconfezionati stilemi di un presunto
realismo, Ferrario si rifà alla spregiudicatezza del
Free Cinema inglese degli anni '60 (e ad uno dei suoi
maggiori esponenti, Lindsay Anderson, è anche
dedicato il film) ed in conferenza stampa non esita a
chiamare in causa addirittura le Avanguardie Sovietiche
degli anni '20... nobilitazioni a parte, ci troviamo di
fronte alle soluzioni narrative e formali della più
recente tendenza, non per questo meno ossigenanti per
l'asfittico panorama italiano... insomma: ce ne fossero di
film italiani che non sembrano film italiani - come questo!]
Secondo una formula ormai più che collaudata (dalle
altre cinematografie), la colonna sonora è
ricchissima; la musica, al di là di funzioni ritmiche
e di commento, concorre a dare voce alla rabbia interiore di
Walter in maniera così forte da assurgere a parte
integrante della narrazione - quasi una seconda voce
narrante che delinea scenari, introduce elementi e
situazioni.
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