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To end all wars
Anno: 2001
Regista: David L. Cunningham;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Regno Unito;
Data inserimento nel database: 04-07-2001


To end all wars

To end all wars
Regia: David L. Cunningham
Sceneggiatura: Brian Godawa, basato sul libro di Ernest Gordon
Fotografia: Greg Gardiner
Montaggio: Tim Silano
Produzione: Jack Hafer, David L. Cunningham
Interpreti: Ciaran McMenamin (Ernest), Robert Carlyle (Campbell), Kiefer Sutherland (Rigden), Mark Strong (Dusty), Yugo Saso (Takashi), Sakae Kimura (Ito), James Cosmo (McLean), Masayuki Yui (Noguchi), John Gregg (Coates), Hideo Nakajima (Nagatomo)
Origine: Regno Unito, 2001, 121 min., 35mm

Visto al Taormina FilmFest 2001

Titolo fortemente propositivo, addirittura utopico, che parla di guerra profondamente dentro l'uomo, che fa pensare immediatamente a La sottile linea rossa eal film di Coppola Apocalypse Now che stiamo (ri)rivedendo nella versione più lunga e più breve interrogandosi su quell'ambiguo redux. To end all wars s'impegna in una strenua meditazione filosofica attraverso la contemplazione del "fenomeno" Guerra, dal quale cogliere, attraverso un percorso forte di vissuto, le conclusioni dell'indagine intellettuale. Apertamente il film sceglie almeno due strade. A parte la contrapposizione decisa tra amore e odio che s'incarnano nei due personaggi Ernest (Ciaran McMenamin) e Campbell (Robert Carlyle), la speculazione incontra, proprio nel "farsi" del racconto, le riflessioni di Platone e quelle del Nuovo Testamento. Julio Cabrera in "Cinema e filosofia. Da Aristotele a Spielberg", nel capitolo "Platone alla guerra", afferma che molti film bellici operano una decostruzione logopatica dell'Idea platonica puramente intellettiva della guerra, anche se in modo completamente diverso e a volte opposto. In questo caso l'idea di Giustizia sembra naufragare, o almeno frantumarsi in possibilità differenti, come se ogni ideologia e religione, in questo caso il giapponese Bushido da una parte e il Cristianesimo dall'altra, contenessero prospettive opposte le cui conseguenze appaiono contradittorie. La misura logopatica del film consiste proprio nell'esperire tali conseguenze. Per i giapponesi i più deboli ed i nemici possono essere uccisi, le convenzioni internazionali dell'Aia o di Ginevra che dovrebbero tutelare i prigionieri non valgono nulla. Dall'altra parte Ernest applica una soluzione improntata al Cristianesimo. Porgere l'altra guancia significa incidere sulle dinamiche comportamentali collettive. L'iconografia della crocifissione indicherebbe l'inevitabile sacrificio, un ricorso storico che condanna l'uomo a una terribile coazione, a una risoluzione parziale, insomma anche l'utopia va scoperta, rilevata nel piccolo evento singolare, le scelte, i gesti coraggiosi e quant'altro spesso è attribuito alla falsa retorica dell'ideale patriottico militarista.

Conferenza stampa con David L. Cunningham e Mark Strong
David L. Cunningham: È importante che gli eventi raccontati nel film siano veramente successi, volevamo rappresentare le persone sopravvissute che hanno deciso di perdonare. Mi sono interessato alla storie leggendo il libro, dove c'è molto di più: si parla della trascendenza della guerra, persone che cercano risposte in situazioni difficili

L'aspetto mistico del film, e il codice di comportamento nipponico Bushido
David L. Cunningham: L'intera storia, l'intero romanzo riguardano un cammino filosofico e spirituale, il libro è un diario dei pensieri del protagonista, con le domande ricorrenti tipo "perché la sofferenza?", "che cos''è la giustizia?". Il film parla degli aspetti della religione, degli aspetti più istituzionalizzati, e poi tutto si scioglie di fronte alla morte; non sono stato in guerra e quindi non so cosa possa succedere di fronte alle questioni della morte Volevo essere più spirituale che religioso, non i messaggi di una religione

Qualcosa sulla produzione, difficile, forse per le locations è costato 14 milioni di dollari?
David L. Cunningham: Avevo un istinto forte che derivava dal materiale disponibile, vale a dire le atrocità della guerra e ritenevo una sfida parlarne. È stato difficile realizzare il film perché i giorni erano troppo pochi, abbiamo girato in Scozia e in Thailandia; invece di trascorrere il tempo a ripetere le battute cercavo di ispirare i miei attori li ho messo a dieta ed un dietologo si occupava di loro, ho raccolto anche testimonianze dirette. Il mio lavoro era quello di trovare l'essenza del film, abbiamo superato le difficoltà delle riprese, abbiamo avuto alcuni infortuni, come esplosioni extra anche il governo tailandese ci ha aiutato.

Sei cresciuto nelle Hawai, hai amato il film Furyo (Senjo No Merry Christmas)?o Il ponte sul fiume Kwai di Lean, che sensazioni prova di precedere la proiezione di Apocalypse Now di Coppola?
David L. Cunningham: Non sono un critico cinematografico sono ispirato da molti registi ho visto Pearl Harbour. L'ambientazione è la stessa del film di Lean però lo spirito del suo film era molto diverso cercava di dire qualcosa sulla storia britannica su quel periodo, i sentimenti finali credo siano molto differenti, per quanto riguarda Furyo, no, non sono stato ispirato da questo film. Comunque ho cercato di non parlare solo della seconda guerra mondiale.

La scena della crocifissione
David L. Cunningham: La crocifissione occupava solo un paragrafo del romanzo, sapevamo che doveva esserci nel film, volevo far sì che la realtà più dura trasparisse senza il rischio di interpretazioni devianti, non criticare la cultura giapponese.

C'è ancora spiritualità nelle persone che hanno vissuto la storia?
David L. Cunningham: L'ispirazione viene sicuramente dal romanzo, molti prigionieri che ho incontrato non hanno potuto prendere la decisione di Ernest. Volevo mostrare che i protagonisti hanno scelto la riconciliazione e il perdono piuttosto che la vendetta e l'odio. Ho spinto un po' la mano su alcune scene crudeli che ritengo necessarie.

Come mai non c'è un accenno alla preghiera?
David L. Cunningham: Avevamo costruito un piccolo altare con una croce e gli uomini andavano lì a pregare, però non ho voluto rappresentare una cappella tradizionale, ho voluto rappresentare una spiritualità più pura, ho preso alla lettera le parole del romanzo dette da Ernest: "Perché ci sta succedendo questo? Parliamone"

Lei è un regista indipendente, ci sono state difficoltà con gli studi americani?
David L. Cunningham: È un film che fa paura, è stato difficile realizzare il film per uno studio americano, sono nato in Svizzera, cresciuto nelle Hawai, c'è un carattere internazionale nella mia istruzione, volevo attori reali così ho scelto con cura gli attori di varia nazionalità per trovare attori che parlano con accento corretto. In Giappone abbiamo pure avuto contatti con Akira Kurosawa. Volevo che il mio film avesse un carattere multiculturale.
Mark Strong: È difficile trovare film che non siano dominati dagli americani, i giapponesi sono stati eccezionali, perché si è trattato di una episodio storico non dico nascosto, ma sicuramente trascurato. Abbiamo visto dei documentari. Gli australiani sono stati anch'essi straordinari. Per due mesi abbiamo vissuto in un set, dormito nelle tende in una grande camerate, molti di noi hanno fatto dei tatuaggi per ricordare questo lavoro in comune e sentirci uniti in questa esperienza.

Ha appena finito di girare un film con Thomas Vinterberg
Mark Strong: Sì è strano parlare di altri progetti davanti a David, quest'anno ho lavorato a "Hotel" di Mike Figgis, con macchine da presa digitali e sicuramente il processo include fotogrammi singoli e doppi su una storia improvvisata. L'hotel si chiama Ungheria ed è a Venezia. Il montaggio viene realizzato adesso, tra gli attori ricordo John Malkovich Chiara Mastroianni, Valeria Golino. Ho appena finito un film con Thomas Vinterberg. È un film di science fiction e le riprese sono finite due settimane fa, il titolo è It's all about love.