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Titanic Anno: 1998 Regista: James Cameron; Autore Recensione: Giampiero Frasca Provenienza: Usa; Data inserimento nel database: 25-08-1998
Ecco un film di cui si sa già tutto molto prima che esca nelle sale: cifre, costi, durata delle riprese, aneddoti, modalità degli effetti speciali
Ecco un film di cui si sa già tutto
molto prima che esca nelle sale: cifre, costi, durata delle riprese,
aneddoti, modalità degli effetti speciali. Di "Titanic"
si conosceva ogni minimo particolare produttivo fin dalla sua
prima visione in America, visto che qui da noi la sua fama era
giunta prepotentemente grazie ad articoli e speciali televisivi.
E molto spesso quest'attesa si tramuta in delusione. Per "Titanic"
si tratta invece dell'esatto contrario: tutta l'attesa creata
non riesce a rendere giustizia di un film pienamente riuscito
per modalità di messa in scena, criterio di sceneggiatura
e perfetto dosaggio di sentimenti ed emotività. "Fabula"
semplicissima: un'intensa storia d'amore nata sul legnoso ponte
del transatlantico più famoso del mondo, contrastata per
la differenza di classe dei due amanti. Il criterio narrativo
adottato è un lungo flashback possibile grazie al racconto
di una sopravvissuta; un viaggio nella memoria utilizzato migliaia
di altre volte. Ma è qua che la sapiente narrazione di
Jim Cameron si mette inesorabilmente in moto. Con un sottile tocco
di metacinematograficità il racconto dell'anziana donna
si origina dal suo sguardo, inquadrato dalla macchina da presa
con un piano ravvicinato: la verbalità del racconto viene
visualizzata attraverso l'occhio, meccanismo ben noto nella trasposizione
di una sceneggiatura. E la storia d'amore, nonostante la sua centralità,
permette l'estrinsecazione di diversi sottointrecci che, a loro
volta, garantiscono differenti livelli di lettura della pellicola.
Sì, perché "Titanic" è una storia
sentimentale che tocca le corde giuste dell'emotività dello
spettatore, ma è anche un'acuta riflessione sul limite
umano, su quel peccato di "hybris" che macchia chiunque
voglia testare troppo le possibilità dell'uomo nei confronti
del creato (il desiderio da parte del capitano del transatlantico
di spingere il Titanic oltre il consentito dal rodaggio; la volontà
dell'armatore di comparire su tutte le prime pagine dei giornali
in virtù di un viaggio "memorabile"), ed è
inoltre un preciso, e critico, ritratto sociologico dei crudi
rapporti di censo tra le varie classi presenti sulla nave, sulle
differenze dovute al diverso prezzo corrisposto per poter effettuare
il tragico viaggio. A questo proposito le sequenze vengono realizzate
in modo differente a seconda della classe di appartenenza di coloro
che sono tratteggiati: da un lato scene lineari, con un registro
di musica classica a commentare inquadrature raccordate da movimenti
lenti ed avvolgenti della macchina da presa; dall'altro nervose,
con inquadrature brevi, il cui ritmo movimentato prende le mosse
dalla scatenata melodia popolare che un suonatore di cornamusa
sta alacremente suonando. <<Vieni, balliamo!>>, <<non
conosco i passi...>>, <<non importa, segui il ritmo!>>:
è tutta in questo scambio di battute la differenza tra
due amanti separati da contesti sociali opposti, il dilemma tra
l'essere ed il dover essere, tra la feroce regola sociale e l'essenza
libera da convenzioni. E Cameron gioca molto su queste opposizioni
duali: sopra e sotto, prua e poppa, passato e presente. Lo stesso
film è diviso in due parti dove slanci lirici e sentimentali
si legano splendidamente ad un vero e proprio "disaster-movie"
(l'intero secondo tempo), in cui azione concitazione e distacco
via via ritardato sono motivi fondamentali ed inevitabili. Qualcuno
ha già definito "Titanic" il "Dottor Zivago"
degli anni novanta: magniloquenza scenografica e doloroso distacco
sono sicuramente comuni al film di Lean, ma alcuni ammiccamenti,
positure e battute di un'ironia quasi impercettibile sono tutti
del regista di "Terminator".
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