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TILAÏ
Anno: 1989
Regista: Idrissa Ouedraogo;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Burkina Faso;
Data inserimento nel database: 03-08-2000


Tilai

TILAÏ

QUESTIONE D'ONORE

In lingua moré. 1989, 35 mm, 81 min.

Soggetto e Regia: OUEDRAOGO Idrissa

Fotografia: MONSIGNY Jean / CHENIEUX Pierre Laurent
Suono: COMTE Alix / HENNEQUIN Dominique
Montaggio: BARNIER Luc
Musica: IBRAHIM Abdullah

Interpreti: OUEDRAOGO Rasmane (Saga) / CISSE Ina (Nogma) / BARRY Roukietou (Kuilga) / OUEDRAOGO Assane (Kougri) / SIDIBE Sibidou (Poko) / OUEDRAOGO Moumouni (Tenga) / BARRY Mariam (Bore) / OUEDRAOGO Seydou (Nomenaba) / OUEDRAOGO Mariam (Koudpoko) / PORGO Daouda (Porgo) / WARMA Kogre (Maïga ) / GANAME Mamadou (Ganame)

Produzione: Les Films de l'Avenir (Burkina Faso) / Waka Films (Suisse) / Rhéa Films (France)

Sinossi : "Ya tilaï" è la legge, quella patriarcale del clan che deve essere la regola di comportamento di ciascuno e ha la preminenza su tutte le altre solidarietà. In questa storia d'onore è la trasgressione dai costumi in nome della libertà e del benessere individuale a essere in causa. Saga torna al villaggio dopo due anni di assenza e scopre gli ultimi eventi; egli non accetta il matrimonio di suo padre con Nogma, la fidanzata che era stata a lui promessa. Trasgredendo alle leggi tornano a fare l'amore e questo atto viene considerato incesto, essendo lei divenuta sua madre. Saga è obbligato a fuggire dal villaggio e viene creduto morto grazie al sotterfugio del fratello Kougri, incaricato di punirlo con la morte. Soltanto Nogma conosce la verità e lo raggiunge presso una zia lontana e compiacente. Venuto a conoscenza delle gravi condizioni della madre, Saga torna un'altra volta al villaggio e il destino può compiersi.

"Apprendere a trasformare la propria realtà: questo fa la differenza". In questi termini perentori si è espresso il regista burkinabé durante l'incontro avvenuto durante l'ultimo Torino Film Festival. E lo stesso rigore si riscontra in Tilai. Nei cortometraggi, più espliciti nella denuncia dei mali del continente subsahariano, il regista è impegnato ad affrancare l'Africa dalle superstizioni senza rinunciare alla propria cultura, a tratti soffocante; nelle opere di più ampio respiro quali Yaaba, Tilai, Samba Traoré, Le Cri du coeur, Afrique mon Afrique e Kini & Adams il suo sforzo è quello di trasformare ciò che apprende in Europa per rappresentare la propria realtà; in questo sogno è racchiuso il segreto dell'indipendenza autentica, ancora da conquistare per gli eredi di Sankara.

Quell'affrancamento non passa tanto attraverso la tecnica, perché l'attenzione del cineasta si sposta dal linguaggio – comunque sofisticato e originale – alla sensibilità del suo pubblico e dunque in prima istanza al territorio che sceglie di fotografare in modo da evidenziarne l'importanza, ritagliando le figure in quell'implacabile tragitto che conduce al villaggio, ripetuto all'inizio e alla fine: il corno che annuncia il ritorno, marcando l'inevitabilità della tragedia, seguito dal confronto tra i due fratelli in controcampo e dall'azione; da una parte Kougri, paladino della legge, e Saga dall'altra con la sua impossibilità di scegliere e di sottrarsi al destino. Come se l'autore intendesse segnalare che la tradizione è espressione di quella savana, in cui lo spazio s'allarga a tal punto da non sapere dove collocare la cinepresa, per comprendervi gli arcani che abitano l'universo culturale a cui fa riferimento la legge del titolo, se non nell'ultima scena, capace di concentrare tutto quello che il film intende esprimere senza alcun bisogno di raccordi di montaggio: una sola inquadratura, un'unica precisa immagine che racchiude l'azione tra l'immobilità della morte e della legge, un'intuizione capace di riassumere da sola la poetica di Ouedraogo, summa della ricerca effettuata fino a quel momento, che condanna a sua volta Kougri, il fratello mezzo del destino ed espressione della legge suo malgrado, a vagare anche lui nella savana che fagocita tutto. Dunque la struttura del film è data da due ritorni: quello che replica nell'epilogo il nostos di Saga con il quale s'inizia il film, e quello che vede Kougri allontanarsi, scomparendo sul filo dell'orizzonte, marcato da esili arboscelli, opportuno sfondo per una tragedia dai tratti mitici.

Colpisce quanto possano essere scarne le parole, per le quali niente è successo nel tempo infinito trascorso tra la partenza di Saga e il suo ritorno: il diritto dell'autoritario padre ha fatto il suo corso, ma essendo legge, le parole non lo hanno registrato; in realtà è una norma vecchia che si comincia a mettere in discussione e la figura della giovane sorella di Nogma incarna le speranze dei giovani di sottrarsi alla tradizione feroce, invariabile nella rassegnazione della madre di Kuilga: "Nogma amerà certamente suo marito come io ho imparato ad amare tuo padre", una laconica accettazione che comincia ad essere messa in discussione, rifiutando il destino e sostituendo alle parole la naturalezza degli eventi e dei gesti che cozzano con la supposta naturalezza della legge. Le parole più frequenti, quasi un intercalare, sono una costante verifica di fatti ("Davvero?"). Più efficaci i gesti, gli sguardi, i caratteri dei singoli. La zia Boré che prende atto dei cambiamenti del mondo, la giovane Kuilga, a metà tra attrice e spettatrice: agisce e fa sentire fortemente il proprio tifo, ma viene messa dietro il muretto a vedere lo scontro finale, quale monito a non infrangere le questioni d'onore; il futuro l'attende con altre leggi, a cui cercare di sottrarsi o dalle quali emanciparsi.