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Tigerland Anno: 2000 Regista: Joel Schumacher; Autore Recensione: Andrea Caramanna- Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 06-07-2001
Tigerland
Tigerland
Regia: Joel Schumacher
Sceneggiatura: Ross Klavan e Michael McGruther
Fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Mark Stevens
Musica: Nathan Larson
Produzione: Beau Flynn, Steven Haft, Arnon Milchan
Interpreti: Colin Farrell (Roland Bozz), Matthew David (Paxton), Clifton
Collins Jr. (Miter), Tom Guiry (Cantwell), Shea Whigman (Wilson), Russell
Richardson (Johnson), Nick Searcy (Captain Saunders), Afemo Omilami (Sergeant
Thomas), Keith Ewell (Sergeant Oaks)
Origine: USA 2000, 100 min., 35mm
Visto al Taormina FilmFest 2001
$align="left"; include "image1.php3"; ?>Il teatro della guerra, come ha
fatto benissimo Mario Martone, si può rappresentare (sempre) altrove. La guerra
si sposta, quella americana contro l'est, un fantasma potente, dalla Corea al
Vietnam, descrivendo l'Apocalypse now, (sempre) ora. Tigerland, ultimo
avamposto per "immaginare-praticare" la guerra, come se si disegnasse
un percorso di avvicinamento, i soldati in addestramento procedono verso i luoghi
psicologici della guerra. Poco prima e già addesso, sono pronti a far
naufragare completamente la loro fragile umanità definitivamente devastata
dalle (non)ragioni della guerra. Il distacco è impossibile, perché la
desolazione delle loro vite si è già compiuta quando qualcuno li ha scelti per
quel destino insolito e oscuro. Prepararsi alla guerra significa già
sprofondarci con tutto il corpo e la mente dentro, nelle paludi della Louisiana
che simulano quell'altrove che invece subdolamente è già qui. Curioso allora il
principio di ricostruzione, sorta di mise en abyme che mima il cinema,
producendo la moltiplicazione dei riflessi. La messa in scena della messa in
scena della guerra. Con il suo set che (ri)costruisce i dettagli necessari e
insignificanti, i percorsi sul terreno, le insidie del nemico, le minacce dei
superiori alle insubordinazioni. Quelli che già sono stati all'inferno sembrano
più calmi, raccontano l'orrore del Vietnam, come se fosse ancora più terribile
e insopportabile del campo in cui procede l'addestramento. Ma la guerra non si
può fingere senza evitare le deflagrazioni della mente. I soldati reagiscono
come se fossero in Vietnam, perché già abitano quel luogo, è il vissuto stesso
del Vietnam o meglio semplicemente della Guerra che stanno esperendo. $align="left"; include "image2.php3"; ?>Il
personaggio di Buzz dimostra chiaramente il meccanismo di aderenza al vissuto,
approntando quel distacco che probabilmente interessa già la sua vita prima
ancora che iniziasse il lungo periodo di addestramento. Buzz è immediatamente
preparato alla guerra, perché la rifiuta, come principio, la può anche fare ma
non l'accetta. Gli orrori sono la misura delle paure e dell'immoralità umana e
lui si erge a testimone con un ghigno beffardo dell'espressione che registra
inequivocabilmente la sua posizione. La sua scelta di non lasciare il campo è
un atto assolutamente altruistico. Le immagini registrano in modo
claustrofobico il racconto, attraverso un'estetica della bassa definizione cara
a Schumacher. Si può dire senza dubbio che tale strutturazione dà al film
un'atmosfera da recita teatrale, da kammerspiel, e gli scatti di follia sono
raffigurati attraverso una scannerizzazione digitale che sgrana i contorni
dell'inquadratura, immergendole in parossistiche e angosciose variazioni di
bassa definizione che rendono indistinguibile i dettagli della scena, cosicché
l'azione ci è comunicata come impressioni di forme e movimenti.
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