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Thunderbolt
Anno: 2000
Regista: Tunde Adegbola;
Autore Recensione: clarissa
Provenienza: Nigeria/UK;
Data inserimento nel database: 14-05-2001


Thunderbolt

Sempre per i film veramente africani ecco una produzione africana girata in Africa da africani e per africani, o meglio un film nigeriano girato per i nigeriani. Qui i teorici di cinema e società potrebbero sbizzarrirsi, un film Tv che mostra immaginari e problemi reali. Ma anche un film divertente e ironico che affronta temi fondamentali antropologico-sociali come i rapporti tra la medicina tradizionale la medicina imposta come unica buona dall’occidente, l’amore e il matrimonio, i rapporti inter-etnici, ma senza voler essere un documentario ma una fiction di intrattenimento leggibile su più livelli.

E anche i mezzi di produzione e le scenografie, le musiche e le scenografie sono poverissimi e raffazzonati, i tempi di produzione devono essere stati brevi e concitati, tuttavia questa plasticità un po’ rigida resta affascinante, con i suoi flashback fluo, le dissolvenze e le voci fuoricampo che indicano la via di fuga e i personaggi che pensano a alta voce i loro pensieri più reconditi per non farci perdere pezzi di trame.

La Nigeria è un caso a sé nell’Africa frammentata e caotica perché con i suoi 120 milioni di abitanti e tre etnie principali (Yoruba, Igbo e Hausa) con una lingua parlata da milioni di persone, può permettersi di girare i film in lingua originale senza tradurli; e per farli circolare non li produce su pellicola cinematografica ma li riversa subito in video e il cinema di cassetta vende milioni di esemplari che vengono scambiati e rivenduti, il cinema qui è più vivo di un pesce e vive in quell’economia informale e non di mercato che più si avvicina alla logica del dono e dei rapporti tra parenti e amici che non a quella dell’economia e dell’industria. Il cinema nigeriano non è più un immagine sottratta ai suoi produttori materiali e ideali è un immagine che gira e si diffonde che viene dalla vita di ogni giorno e la riflette abissalmente. I video li trovate al mercato vicino a pesci secchi, ignami e noci di cola, di solito insieme alle parrucche, e non sto parlando dei mercati di Lagos ma anche nei mille negozietti africani delle vostre città, se ci capitate davanti andate a chiedere e fatevi raccontare quali sono i film preferiti dal proprietario.

Qui si prendono due etnie con un film perché la storia racconta del contrastato amore tra due persone di etnia contrapposta lui Yinka è uno Yoruba (arti sopraffine e maschere stupende, rituali vodoo che sono stati deportati insieme agli schiavi in Brasile) e lei Ngozi, una giovane igbo (se non lo conoscete andate subito a leggervi Chinua Achebe, scrittore igbo immenso che con i due libri Il crollo e Ormai a disagio ha lasciato l’immagine più abbagliante tragica e grandiosa della Nigeria prima e dopo la colonizzazione).

I protagonisti si conoscono tra i ranghi del plotone (le guerre solo lo sfondo, senza bisogno di essere spiegate e esposte, tanto sono visibili ogni giorno) e nonostante il parere contrario dei parenti e le tribali resistenze ai matrimoni misti, convolano a giuste nozze. Ma oggi dopo queste battaglie vinte Ngozi è infelice perché il marito è freddo e distaccato oltre che orribilmente geloso e pur prendendolo per la gola nondimostra più l’amore di un tempo (pare che la birra scura, la Guinness soprattutto, porti eccitamenti e grandi prestazioni, ma non è solo qui che lo dicono è proprio credenza diffusissima in Nigeria, e allora gli inglesi?). Ngozi scoprirà al mercato, grazie alle visioni di un vecchio stregone igbo, di essere posseduta da una maledizione il Thunderbolt del titolo, una specie di malattia fulminante che uccide in un nanosecondo e tra strazianti sofferenze (da catalogo è descritto come un Aids fulminante) chiunque si giaccia con lei.

La poveretta si sottopone e incredibili e costosissimi oltreché dolorosissimi rituali magici vodoo, ma come prova dell’avvenuta guarigione dovrà poi giacersi con un uomo che deve amarla tanto da non temere la probabile morte. Al rifiuto del marito segue l’autodenuncia, è lui che l’ha maledetta per non dover soffrire di gelosia. Inizia un’esilarante e tragica ricerca di un capro sacrificale; un vecchio amico d’infanzia adescato non potrà essere sacrificato perché essendo lontano parente della suocera viene avvertito e fatto fuggire, ma alla fine un giovane medico, innamorato da sempre della bella protagonista. accetterà la prova per amore di lei e per amore della scienza. L’atto si svolgerà infatti sotto l’occhio attento del clan degli stregoni e al contempo del clan dei medici, impegnati a togliere potere alle credenze mediche tradizionali. Il giovane medico spavaldo e la sua sicurezza nella medicina occidentale verranno sconfitti: dopo aver fatto l’amore la testa di lui scoppia e inizia a stillare sangue. Solo il tempestivo intervento del clan sciamanico, armato di erbe e galline sgozzate, lo salverà.

Il trionfo dell’amore porta con sé il trionfo della tradizione. O meglio in questa surreale scenografia di plastica, che ricorda le nostre telenovelas piemontesi, in questa recitazione meccanica e in questi dialoghi divertenti e non studiati, emerge comunque il bisogno di parlare di sé e delle proprie tradizioni, il bisogno del confronto e del dialogo e l’affermazione che non si può curare dall’esterno un male, che noi non siamo gli unici portatori di verità e salvezza anche se il male l’abbiamo generato noi stessi.

Traetene poi le conclusioni che preferite, comunque resta una divertente lezione di sociologia e medicina tradizionale in forma di fiction, magari ne vedessimo sulle nostre televisioni.