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Autopsia di un sogno - Shattered Images
Anno: 1998
Regista: Raul Ruiz;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 06-07-1999


Autopsia di un sogno
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Shattered Images


Regia: Raul Ruiz
Sceneggiatura: Duane Poole
Fotografia: Robby Müller
Scenografia: Robert De Vico
Montaggio: Michael Duthie
Musica: Jorge Arriagida
Costumi: Francine Le Coultre
Produttore: Peter Hoffman
Produzione: Barbet Schroeder, Susan Hoffman, Lloyd A. Silverman, Seven Arts Pictures
Distribuzione: IIF di Fulvio Lucisano
Formato: 35 mm.
Provenienza: USA
Anno: 1998
Durata: 103'
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Brian ... William Baldwin
Jessie ... Anne Parillaud
Lisanne Falk
Graham Greene
Bulle Ogier
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"Dimmi che non è vero" è una frase tormentone che può condensare bene l'intero cinema di Ruiz.

Come sempre nei suoi film i personaggi ritornano in ruoli diversi, ma riconoscibili attraverso recuperi di battute o similitudini formali negli stereotipi; in questo caso la loro valenza onirica rispetto ad una presunta realtà è più scoperta del solito. Quello che rimane non chiarito seguendo i canoni del surrealismo è fino a dove un elemento sia parte del sogno o dell'incubo, cioè proprio quello che è il perno del film: mantenere il dubbio su quale delle due Jessie Markham stia sognando le vicende dell'altra o se invece si tratti integralmente di un'attività onirica di una schizofrenica. Gli intrecci si fanno sempre più intensi fino a che i vari mondi coinvolti coincidono nel finale, confluendo in un luogo che compone i frammenti sparsi dei personaggi sdoppiati e delle locations in un posto magico dove comporre tutte le tensioni del plot nella compresenza dei mondi paralleli: il cesso, nel cui antro si compone tutto.

Il piano di micidiale castigo degli uomini in qualche misura considerati tutti responsabili dello stupro è speculare al complotto ai danni dell'altra compagna complementare di sogno: l'una sogna l'altra, attribuendo al proprio alter ego ciò che alla sognatrice è precluso; entrambe hanno coscienza della esistenza dell'altra e si crea una sorta di rivalità ("Tu sei un sogno" "E tu un fottuto incubo"), ma, come già in Généalogies d'un crime, dove alla Deneuve permane il dubbio su quale sia la realtà agita, entrambe convengono che si devono liberare in entrambe le sue forme di Brian, il marito-amante fedifrago in ambedue i casi, la sua punizione vale a dare il giusto posto a tutti i tasselli e a tutti i personaggi, anche a quelli femminili, stigmatizzati usando la gatta ("Tu non chiedi, pretendi: è una prerogativa delle femmine"). Come già in Trois vies et une seule mort sono molteplici i dettagli comuni alle situazioni apparentemente diverse. Inquietanti le riproposte di oggetti in situazioni diverse (una statua di un putto si ritrova catapultata sul fondo del mare, gli ornamenti di una maga sono pendagli di alberi di natale ed infatti in un rigurgito di coscienza il bric à brac che ospita la sensitiva si chiama Palazzo di Natale), in particolare spiccano i ruoli duplici degli attori, che spiegano il loro impiego in quella sorta di dormiveglia ben realizzato dal mestiere del regista cileno: tutti nei due mondi ricoprono un ruolo plausibile; nel caso dell'investigatore poi ricorrono le stesse battute del suo omologo, che però ha nome e professione totalmente differente, ma destino comune. Spesso nel corpus del regista surrealista, è il destino l'aspetto che regola la vicenda, portandola ad un epilogo non sempre così palese come in questo caso; comunque sempre il ruolo del passato diventa preponderante nella comprensione del presente e travalica il futuro, depauperato dai continui vaticini e ridotto a ovvio epilogo: perciò la maga deve essere esperta nella lettura del passato, dando luogo ad una delle sequenze più suggestive, quella della foresta di bastoni di centottantacinque alberi, il cui suono evoca alla fattucchiera il vaticinio in una dominante davvero surreale, contraltare rosso della parentesi onirica nella bluastra foresta di Pola X. Un particolare ricorre cangiante in entrambi i mondi descritti: un quadro che ad ogni sguardo si mostra differente, però le variazioni sono di tipo stilistico, il contenuto non varia e dalle urla associate si direbbe che lo spirito della donna sia intrappolato in esso: una raffigurazione della baia giamaicana che ospita gli sposi, ma anche l'ospedale psichiatrico dove è reclusa la sognatrice. Dunque metafora dell'interpretazione della realtà attraverso l'opera artistica cangiante a seconda dello stato d'animo e della trappola della bellezza o della naturalezza della violenza, come in La ville des Pirates, ma anche espressione del disagio in cui versa il recluso con disturbi mentali.

Ripetutamente la gibigiana dei riflessi del sole ci segnala un disturbo, probabilmente psichico, sicuramente nella percezione, accentuato dalle sensazioni colte dalla donna, che le permettono il contatto con l'altro se stesso e pur riconoscendo uno spessore ben maggiore derivante dalla scuola surrealista (che si nota nella cura soprattutto dei dettagli quali la vasca della Orca, assassina per antonomasia, che assiste alla scopata tra Jessie e il Brian antiquario, mentre sullo sfondo, unico cartello perfettamente a fuoco si legge: "Reflections of the deep"), si può apparentare il film di Ruiz con i più superficiali eppure blasonati Sliding Doors, Lola rennt, Abre los Ojos. Siamo di fronte ad un duplice flusso di coscienza destrutturato e rimontato tralasciando alcuni vuoti, immediatamente riempiti dagli spettatori.

Geniale è il modo in cui il regista sceglie di trascorrere da una situazione all'altra preferendo passarvi con sfumature e dissolvenze in sovrimpressione oppure, volendo segnalare un momento particolarmente traumatico, attraverso gesti iniziati in un ambito e terminati con attacchi sul movimento dall'altra Jessie a concludere temporaneamente l'incubo: a volte il dormiveglia è talmente al limite da giungere al dialogo tra i dioscuri (tali perché quando una dorme entra in scena l'altra), ma soltanto la protagonista riesce ad avere contatti con entrambi i mondi, evidentemente frutto della sua mente: gli altri coinvolti negli sdoppiamenti di personalità non hanno rapporti esterni al contesto in cui sono inseriti. Infatti ciò che interessa a Ruiz è definire il mondo di un cervello sollecitato: il crimine che matura è puramente psicanalitico e produce una crescita senza pontificare alcuna linea, piuttosto invece formalizzando situazioni spettacolari e avvincenti, nonostante il loro frequente interrompersi per ricomparire sotto spoglie diverse successivamente.

Interessante che il regista faccia completare la triade delle necessità ('sesso', 'sonno') da brian con 'cibo', mentre la protagonista agogna invece il 'silenzio', invece c'è una iperproduzione di sentenze, ripetute e ossessive, come la frase di Gunther ripetuta dall'omologo Michael: "Lei ha già un piano d'azione e lo porterà a termine, ma poi vivrà nel rimorso". Infatti è palese l'errore, inevitabile secondo i canoni del destino, tanto che le vittime non oppongono resistenza a nessuna delle due forme di Jessie.

L'atmosfera si mantiene in bilico tra il thriller psicologico e i canoni della vecchia Ecole du Regard, avvalendosi di richiami formali per trascorrere da una situazione all'altra, dal loft di New York alla Giamaica del viaggio di nozze, dalla Jessie succube e vulnerabile alla sua anima killer vindice di uno stupro sofferto da entrambe, offrendo una lettura possibile dell'operazione filmica con la violenza subita. Si raggiunge però una composizione di tutti i tasselli, ottenendo una spiegazione per ogni tessera proposta durante il film, che come preannunciato dal titolo è fatto di immagini frantumate al punto che ci viene riproposta più volte l'inquadratura dei vetri che vanno in pezzi in momenti topici durante i duplici omicidi che devono avvenire in entrambi i tempi e luoghi delle due situazioni oniriche, concludendo in un anello il film con lo stesso gesto visto all'inizio e nello stesso luogo, che non a caso si era presentato come un bagno a sezione circolare arredato con cinque specchi che sulla parete cilindrica rimandano in successione l'immagine della sempre bellissima Anne Parillaud che fa la sua apparizione fatale in un locale raffinato, freddando un uomo come nell'esordio del mitico Nikita ("Fatto" è il laconico commento soddisfatto ripetuto al telefonino in tutt'e due i lavori su commissione), l'altra Jessie riporta invece alla mente il travaglio della protagonista di Amore all'ultimo morso di Landis.

Alla fine anche noi siamo dei pazienti che cercano di rimettere insieme i frammenti dell'io diviso di Jessie, dimenticando per un attimo il nostro, eppure non stiamo sognando, oppure anche le nostre reazioni più inconsulte sono perdonabili, essendo fatte della stessa sostanza dei sogni.