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The Well - Il Pozzo
Anno: 1997
Regista: Samantha Lang;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Australia;
Data inserimento nel database: 28-06-1999


The Well
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The Well


Regia: Samantha Lang
Soggetto: basato sul romanzo di Elizabeth Jolley
Sceneggiatura: Laura Jones
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Dany Cooper
Musica: Stephen Rae
Costumi: Anna Borghesi
Direzione artistica: Michael Philips
Produzione: Sandra Levy
per Southern Star Xanadu/ Australian Film Finance Corp. / New South Wales Film & Television Office
Distribuzione: Lucky Red
Formato: 35 mm.
Provenienza: Australia
Anno: 1997
Durata: 1 hr. 41 min.

Pamela Rabe ... Hester
Miranda Otto ... Katherine
Paul Chubb...Harry Bird
Frank Wilson...Francis Harper
Steve Jacobs...Rod Bordern

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Filmografia:
  • 1993 God’s Bones (corto)
  • 1995 Out (corto) Audacious (corto)
  • 1996 Third Party (tv)
  • 1997 The Well


  • Un incidente notturno riproposto si chiude in entrambi i casi con una lunga dissolvenza in nero: la prima volta però si avvita all'indietro, proponendo un interminabile antefatto, che risente a tratti delle "Lezioni" di Jane Campion; la seconda volta invece dà luogo ad una morbosa relazione tra due donne con ampi spazi spalancati in avanti su visioni e situazioni surreali, dove la regista si diverte a descrivere i caratteri delle due donne, ribaltandone la natura: "Non è un canguro, è incastrato sotto il paraurti", dice la mite Hester, mentre la determinata Katherine trema, piagnucola e comincia a dare segni di squilibrio. Apparentemente.
    La prima parte è di preparazione, fatta di ampie distese deserte, aridi specchi dell'animo di Hester, cartelli stradali che avvisano dell'attraversamento di canguri, una fattoria australiana nel New South Wales opprimente, polverosi pezzi di argenteria, freddi in cui riflettere la propria immagine, cercandola in oggetti trasfigurati in modo un po' ingenuo, un vecchio con il simbolo del comando appeso al collo: un mazzo di chiavi, che alla sua morte saranno la prima cosa di cui si appropria la figlia Hester. Quel gesto diventa naturale in quella cornice e trasmette la cappa di grettezza e di assenza di prospettive in quelle lande: infatti questa porzione di film è occupata dal sogno di sperperare i denari aviti con un viaggio in Europa e USA, organizzato dalle due donne in un afflato di libertà simile a quello descritto in Patsy Cline (dove già recitava Miranda Otto). Il loro legame comincia ad evolvere fin da subito: il carattere di Katherine impedisce che si stabilizzi il rapporto serva-padrona, ribaltato facilmente dalla giovane facendo leva sulla figura da lei proposta, una disinibita libertà, come suggerisce la prima inquadratura del film che la vede impegnata in una inebriata danza, foriera del dramma incombente.
    Probabilmente l'intento in questa premessa da parte della regista era di scombinare attraverso la ragazza un mondo immoto e ruvido, privo di tv, che nella perlustrazione iniziale è uno degli elementi colti dalla nuova venuta; l'obiettivo riesce parzialmente: il film di Penn Bonnie and Clyde (Gangster Story, 1967) con Warren Beatty e Faye Dunaway, visto una sera, forse suggerisce lo stereotipo giusto alla femme fatale per essere priva di scrupoli e condurre a termine il progetto di circonvenzione dell'inesperta Hester. Però la lentezza connaturata con quegli spazi impedisce che si scateni davvero il ciclone. La ribellione accomuna le due donne molto più nello spirito dei lied di Schubert che nella coppia trasgressiva di Penn e poi aleggia nelle lente movenze seducenti di ballo con la scopa, strusciandosi contro le balaustre: insomma non è eccitazione esasperata (che tocca il massimo del parossismo in un sorpasso azzardato, più vicino ai primi balbettii di Thelma e Louise che a Dino Risi: il panorama è assolutamente femminile), né mai attrazione sessuale esplicita, quanto blanda acqua cheta camaleontica, infinitamente cangiante.

    L'incidente si propone come giro di boa del film. In realtà questo è già avvenuto nel momento in cui la casa colonica è venduta e la strana coppia si trasferisce nel cottage da riattare; gli eventi cominciano impercettibilmente a precipitare con gli oggetti gettati nel pozzo per provare l'esistenza dell'acqua o misurare la profondità: nulla viene restituito dal buio di quell'abisso. A questo punto diventa facile creare un'atmosfera sordida attorno alla cisterna, ricettacolo e emissione delle paure interiori. Gli episodi inquietanti si susseguono, ma dapprima non assistiamo ad alzate di ingegno particolari, benché le due protagoniste siano dotate (come le tre sorelle di Radiance ), tuttavia gradualmente ci accorgiamo che la tensione è demandata al fuori campo, ai rumori che aumentano in condizione di solitudine, centuplicati dalla coscienza incalzata dal rimorso. Il pozzo assurge a simbolo: ricettacolo dell'immaginario laido che ne fuoriesce sotto eleganti forme, prive di gore né tantomeno splatter: non si riesce a individuare un fotogramma cruento (come già nel sabba psico-sessuale di Blackrock ) grazie alla sterzata surreale della sequenza meglio congegnata. In essa le due donne sono stremate, ormai nemiche (e questa distanza è sottolineata dalla netta linea divisoria nel letto): è già avvenuta la trasformazione di Katherine in una dissennata, che (recita?) ama l'uomo da lei ucciso nell'incidente ("Non rinuncerò a lui per niente al mondo"), nutrendo il cadavere con il cibo calato nel pozzo. In quella situazione, ottenuta con una lenta disarmonia, si trascorre da una veglia scandita dalla pioggia sul coperchio del pozzo al delirio, unico momento in cui all'ingenua proprietaria della tenuta balena il sospetto che la sua folle amica stia ordendo quella macchinazione ai suoi danni; la rivelazione spalanca l'obiettivo in un grandangolo spinto, assume le connotazioni classiche dell'incubo, recupera alcuni elementi sparpagliati in precedenza, rendendoli prolessi nella più chiara tradizione psicanalitica, i vestiti e i capelli s'innalzano a simboli di impotenza e di scherno. Poi con il giorno tutto torna normale: non immediatamente, perché l'assillo dell'uomo emergente dal pozzo attanaglia anche Hester e assistiamo anche noi all'emersione di una mano, probabilmente ci stiamo auto-suggestionando pure noi e questo è il gioco più sottile della regista che riesce a coinvolgere persino il pubblico in questa follia senza tracce di motivazioni, se non nella psiche della profonda provincia australiana, da cui la ricopertura del pozzo con tutti i suoi misteri risana...

    ... Apparentemente...

    Katherine se ne va e tutto il mondo di ossessioni che ha inventato sommerge Hester, povera mentecatta deambulante per strade polverose dimenticate da tutti.