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The Girl
Anno: 2000
Regista: Sande Zeig;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Usa; Francia;
Data inserimento nel database: 13-04-2001


The Girl

The Girl

Visto all'16° festival internazionale di film con tematiche omosessuali - Torino


 



Regia:  Sande Zeig
Sceneggiatura:  Sande Zeig, Monique Wittig
dall'omonimo romanzo di quest'ultima
Fotografia:  George Lechaptois
Montaqgio:  Geraldine Peroni, Keiko Deguchi
Musica:  Richard Robbins

CAST

Claire Keim ....the Girl,
Agathe de la Boulaye .... the Narrator,
Cyril Lecomte .... the Man.

Produzione: Dolly Hall, Sue Delisle, Gil Donaldson
Durata: 84'
Anno: 2000
Nazione: Usa - Francia

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Una dignitosa interpretazione delle atmosfere noir, supportata da una avvolgente base jazz nella migliore tradizione, già denunciata nella prima inquadratura. Classica: selciato di porfido ripreso un po' inclinato di qualche grado e percorso da due polpacci affusolati slanciati da tacchi a spillo. Pochissimi istanti e quattro inquadrature dopo troviamo già le due protagoniste a letto: "Bello come con un uomo", dice la bella Cantante del night - le professioni sono stereotipate: l'altra è la Pittrice e l'antagonista è il Boss - che avrebbe preferenze etero, ma non disdegna la passione fatale per la giovane io narrante, che ci rovescia flussi di considerazioni su arte, amore, concezione del mondo partoriti sui Quais della Senna parigina, magari esagerando il calligrafismo trascorrendo attraverso una dissolvenza dal bianco sugli occhi sognanti. Non conosciamo i nomi delle due ragazze, che si affibbiano soprannomi come "tender lover" - la pittrice - e "agnus dei", quest'ultimo spiegato dal finale in tipico stile noir.

Il bello è che l'attenzione al cromatismo e al citazionismo è rigorosa: splendida la prima inquadratura che introduce la ex amante della pittrice, una dolce afroamericana distesa su un letto, inquadrata da una parete rosso cupo, creando un nuovo ambiente del noir: l'alcova riparata dal tumulto della passione e dai pericoli dei mafiosi, dove anche le battute cattive non feriscono, essendo pronunciate con il languore delle storie d'amore concluse, mantenendo l'affetto: "Deve essere bello essere attratti da qualcuno che non ti attrae". L'abitudine al corpo della ragazza nera si esprime benissimo nella commistione delle situazioni con la pratica del disegno che percorre l'intero film: ritrarre la nera è facile e proviene dal contatto fisico con la sua pelle accarezzata, palpata e subito riportata sulla tela, il tratto del disegno della cantante invece sarà prodotto faticoso del finale che proviene da moltissimi schizzi, frutto della contemplazione derivante dalla sfuggevolezza della ragazza. E la conclusione del lavoro coinciderà con la rivelazione del pericolo e forse il nudo dipinto racchiude in sé la ferita mortale della giovane "agnus dei" immolata sull'altare della passione.

Un altro aspetto molto estetizzante, ma sicuramente godibile anche per la componente voyeuristica che non viene mai meno nella pellicola - e dato il suo riferimento al noir estendibile al genere - sono i momenti che descrivono gli incontri erotici delle due ragazze, in particolare le riprese sinuose sui dettagli dei due corpi, particolari minimi che evidenziano le morbide curve che combaciano perfettamente, i fianchi che si muovono mollemente compenetrandosi in una serie di immagini che scorrono a tratti senza consentire di identificare le parti di corpi che stanno aderendo a formare quelle forme gradevoli e quasi astratte; è il momento in cui maggiore è l'inno all'amore saffico, il più intenso che un'opera estetizzante e linguisticamente accorta nello studio dei trascorsi del cinema - e della pittura - può concedersi.

"Ho imparato che se cerco abbastanza una forma, quella si svilupperà". Questa frase si adatta tanto all'aspetto pittorico, quanto all'intreccio che va agglomerandosi attorno ai tasselli volta per volta aggiunti dal sapiente dosaggio di situazioni e stereotipi del giallo, dove anche gli oggetti sembrano rimandare all'universo del noir come le frasi scritte sulla lavagna o i vetri che scompongono le figure. La scommessa, vinta, era quella di sposare le atmosfere torbide con l'amour fou lesbico raccontato attraverso un intreccio di pittura e rivisitazione del genere: il rischio era quello di annacquare il torbido con il peccaminoso ottenendo solo il ridicolo, invece - tranne alcuni momenti uno' troppo sentenziosi: sui Quais a filosofeggiare - la regista orchestra le sequenze riducendole ad una brevità che consente di coglierne il significato spesso attraverso l'evocazione dello stereotipo a cui fa riferimento e da quello proviene il significato all'interno dell'intreccio. Per esemplificare: avrebbe potuto essere pacchiana la ripresa delle botte ricevute dalla pittrice per strada di notte con le luci dei lampioni filtrate dal cross screen, ma il suo carattere di inserto tra i tasselli caratterizzato dalla plateale - grazie a quei filtri sporcati dall'inondazione luminosa dei fanali dell'auto poi sgommante - rappresentazione di scene tipiche del noir crea un'amalgama in cui si mescolano piacevolmente il barocchismo e la seduzione, l'esagerazione; lo studio del corpo e del suo modo di riprodurlo e l'analisi del linguaggio adottato per farlo, superando anche i limiti del cattivo gusto, ma rientrando subito nei ranghi delle regole del noir (la sequenza finale vede la mdp scendere come un avvoltoio dalla tela che ritrae la giovane cantante nuda distesa sul letto alla stessa donna in carne e ossa nella medesima posizione con il buco del colpo di pistola in evidenza, da cui si ritrae per uscire dalla finestra e inquadrare l'insegna dell'hotel Henry VI: non dimentica nessun canone linguistico del genere) e da quella fuga in avanti ricavare nuove suggestioni.

L'epilogo si prepara attraverso quella sorta di illuminazione colta sul lungosenna, dove la pittrice delusa cammina, poi corre, avviando la confusione di piani e la manipolazione dell'immagine dell'acqua, che danno il dubbio sia attratta dal suicidio romantico nel fiume: la concitazione della sequenza è accentuata dalla ripresa di tutti gli schizzi prodotti lungo tutto il film e che non ci erano mai stati mostrati: la loro unione ottenuta dal montaggio di questa scena fa scattare l'intuizione che produrrà quella tela finale che è il significato della ricerca del film e come spesso avviene nei noir, la verità ricercata è contenuta nella tela.