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The Burning Boy
Anno: 2000
Regista: Kieran Galvin;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Australia;
Data inserimento nel database: 13-04-2001


The Burning Boy

The Burning Boy

Visto all'16° festival internazionale di film con tematiche omosessuali - Torino


 



Regia:  Kieran Galvin
Sceneggiatura:  Kieran Galvin
Fotografia:  Tony Luu
Montaqgio:  Tony McGrath
Musica:  Cliff Bradley

CAST

Cameron Ford,
Josh Roberts.

Produzione: Benjamin Parkinson & Kieran Galvin
Durata: 13'
Anno: 2000
Nazione: Australia

 -

 

Irresoluto e confuso nella fattura; risaputo e banale il plot.

C'era una idea buona da cui presumibilmente si è preso spunto e che è rimasta come in sospeso per la scelta di abbandonare la situazione iniziale.

Il film infatti si apre in piscina, due uomini giovani, in acqua il cameratismo è ambiguo - per il pubblico in sala e per il protagonista le avances sono esplicite, per il tontolone che pensa alle ragazze invece no - ma fuori della piscina s'innescano i soliti meccanismi di rammemorazione della prima volta e scattano gli immancabili sensi di colpa indotti dalla morale comune, che è il solito limite del cinema gay reclinato su se stesso e non deciso a rivendicare spazi che spettano di diritto ai cittadini di uno Stato laico. E allora si infilano una serie di banalità: dal desiderio di essere un uccello ("Un gabbiano?" chiede l'amico. Sì, Johnathan…, ma mi faccia il piacere!) allo spalmare la crema sulla schiena dell'oggetto del desiderio, finché un ultimo scherzo mette in atto le sinapsi utili per scatenare il ricordo: dall'acqua al fuoco. Il luogo muta completamente, il tempo è quello del ricordo doloroso, la campagna assolata vede i ruoli invertiti: l'amico etero disponibile a procurare piacere e lui che rifiuta la sua condizione, come l'ha soffocata in piscina - questo è evidentemente il messaggio che con il legame tra i due episodi si cerca di suggerire e che il soffocamento simboleggia anche fisicamente - provocando il tragico epilogo. Il rimorso della fuga da se stesso e dall'amico arso vivo, perché lasciato svenuto nella baracca, lo insegue in un luogo titanico e desolato per la cupezza dei blu: nudo sulla riva del mare, tra gli scogli, solo, perché bandito dal suo stesso essere "contronatura".


Quale era l'idea buona? Di dare lo stesso spazio alle due situazioni, ma alla fine entrambe - ed in particolare la prima - rimangono sospese al nulla delle migliaia di pellicole che i registi omosessuali hanno sempre fatto sulla scoperta della loro preferenza sessuale, traumatica, distruttiva come l'incendio catartico della baracca-teatro della rivelazione, annichilente come la potenza del mare dalla quale si vorrebbe farsi ghermire e ci si sente respinti, prima di tutto dalla propria concezione di sé. Non credo che possa far bene alla coscienza di sé degli omosessuali, ma sono sicuro che non fa bene all'evoluzione del cinema continuare a produrre queste storie, in fondo consolatorie. Un film che non cambia la vita, ma la infigge nella tristezza di non poter sfuggire al destino di soffocamento delle proprie pulsioni.

Ma si può commettere suicidio trattenendo il respiro?