NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Terra del fuoco
Anno: 2000
Regista: Miguel Littin;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Cile;
Data inserimento nel database: 27-05-2000


Terra del Fuoco

Regia: Miguel Littin
Sceneggiatura: Luis Sepúlveda, Miguel Littin, Tonino Guerra
Soggetto: tratto dal libro omonimo di Francisco Coloane
Fotografia: Beppe Lanci
Scenografia: Alejandra Egaña
Montaggio: Ernest Blasi
Musica: Milladoirio - Angel Parra
Costumi: Pablo Nuñez
Interpreti:
Jorge Perugorrìa ................... Julius Popper
Ornella Muti ................. Armenia
Claudio Santamaria .................. Spiro
Nancho Novo ................... Silveira
Nelson Villagra ..................... Novak
Alvaro Rudolphy ....................... Schaeffer
Tamara Acosta ....................... Elisa
Uxia Blanco ................. madre di Silveira

Produzione: Surf Film Italia, Castelao Productions España, Buenaventura Films Chile, Rai. Tele+
Distribuzione: Istituto Luce
Provenienza: Cile, Italia
Anno: 2000

"Non ci saremmo mai dovuti mettere contro di lui… Bisogna sempre ululare assieme al lupo, mai contro!" disse Schaeffer, attizzando le poche braci rimaste tra la cenere.

In questa frase di Coloane è presente lo spirito che Littin ha cercato di catturare: i gerarchici rapporti di forza che regolavano l’epopea patagonica, la brutale e selvaggia prassi, l’epica dei bivacchi di un mondo perduto, fatto di amicizie che si tramutano in diffidenza. Citando un titolo della raccolta che Guanda ha dedicato a Terra del Fuoco, il regista cileno ha tentato di descrivere una terra d’oblio; non c’è riuscito con la forza evocativa di Coloane, perché ha colto lo spirito, ma gli manca l’impianto affabulatorio, che sta nell’atteggiamento del narratore e condiziona l’ascoltatore: quando lo scrittore racconta di un personaggio – rendendolo immediatamente memorabile, mitico – che si accinge a narrare qualche mirabolante impresa, ha il dono di ripetere la magia dei griot africani, dei cantastorie medievali, dei vecchi che giravano per le stalle invernali in Europa. Littin, pur inserendo la figura di una canzone di gesta che le illustra, benché si inventi una figura di zampognaro-eroe epico - poco sfaccettata, ma protagonista di una delle sequenze meglio costruite dove si replica la struttura del racconto con memorie che riconducono al passato che destinalmente porta a quell'epilogo, esattamente come avviene attraverso altre situazioni nel racconto di Coloane, fatto di costanti salti indietro nel tempo della memoria del singolo individuo sperduto in quel mondo come se in un certo momento della sua vita, avesse perso la direzione giusta, finendo in quelle lande desolate -, preferisce confezionare un racconto standardizzato sui canoni delle vicende andine, inventando il personaggio di Ornella Muti (prendendolo a prestito da altri testi e adattandolo), gioca a far apparire e sparire la bella ragazza Ona, che di indigeno non ha nemmeno i tratti, senza crearle attorno quell’alone di selvaggio che gli scrittori sudamericani riescono a conferire: quando Coloane si addentra nei dettagli della vita del lavorante continentale sull’isola di Navarino (La parte sommersa dell’iceberg) e parla dell’india indaffarata nella casa tutti i nostri sensi sono coinvolti nella descrizione di una vita culturalmente diversa; Littin perseguirebbe volentieri lo stesso intento, ottenendo però l’effetto sceneggiato televisivo con attori impacciati a rincorrere stereotipi.

Troppo risaputa la ricostruzione della comunità Ona, questa sì molto cinematografica, della più tradizionale iconografia antropologica, che in Coloane è altrettanto spiccatamente una denuncia dello sterminio perpetrato dai rapaci europei.

Rimane in tralice l'afflato di libertà, un po' soffocato dalla metafora del despota, che batte conio, possiede una milizia personale, sfrutta i lavoratori. Ridotti a fantocci di paglia, altra efficace figura retorica ripresa nel film e che è utile in entrambi i testi per dimostrare che alle latitudini fiugine spesso l'apparenza confonde e può disorientare.

Invece un aspetto molto ben curato e che ottiene una certa potenza visiva è il fatto che isola alcune immagini forti di Coloane e le traspone sullo schermo con efficacia, anche disponendole nell'intreccio in contesti diversi da quelli originali, svelando l'intento di tradurre in cinema le sensazioni, le immagini del racconto per stravolgere apparentemente la struttura e la trama. In realtà risulta fedele nelle funzioni individuate nell'originale: innanzitutto il racconto in flash-back, sottolineando l'esistenza puramente letteraria di Popper, l'avventuriero, che lo scrittore aveva mantenuto al di là dei margini della storia, senza mai farlo apparire era l'incombenza del rapace colonialista cercatore d'oro; il cameratismo dei due protagonisti si diluisce e si allarga a tutti i personaggi coinvolti.

É come se Littin avesse voluto dimostrare che con le stesse funzioni e le medesime immagini si potevano creare infinite epiche fondate sugli identici megarecit. E allora infila il dettaglio della moneta d'oro pesata , come avviene nel romanzo

"Erano esattamente cinque grammi del prezioso metallo, coniati su un lato con un grande "5" attraversato dalla parola gramos, e con un'iscrizione in rilievo che diceva "Lavaderos de oro del Sud", e sul rovescio, "Julio Popper - Tierra del Fuego - 1899".."

ma vi aggiunge orpelli desunti da altre situazioni, come l'uomo ferito da una freccia; colpito dalla scena dello scheletro della balena ripetuta più volte nella novella, la estrapola, riconnotandola e poi ci aggiunge pure il racconto d'avventure dei mari del sud, spostando in una realtà ulteriormente esotica l'attenzione, creando un doppio mondo incantato. Altro splendido quadro di una regia per il resto appiattita su sequenze di repertorio è quella degli impalati, un ennesimo riferimento che costella il racconto di presenze perturbanti: il cineasta rimarca queste suggestioni iconiche, fissando l'inquadratura quando è interessato a richiamare l'attenzione su quel tratto comune con il testo, anche a costo di apparire morboso.

"Gli Onas tornavano con le donne e i bambini dalle spiagge del capo, carichi di cormorani e pinguini, quando li avevano attaccati dal promontorio, sparando alla cieca e senza pietà. Sotto i colpi della sua carabina ne erano caduti quattro o cinque. Una era soltanto una bambina; ricordava quel grazioso corpo nudo, perché nella fuga le era caduta la mantella di guanaco; ma non ricordava il suo volto, perché non aveva osato guardarlo mentre le tagliava le orecchie... tornò a maledirsi per quel gesto, il più abietto della sua vita, che teneva nascosto nel fondo della sua coscienza, e a causa del quale si era dovuto ubriacare per giorni e notti spendendo tutte le sterline guadagnate.

Come nelle sequenze sul taglio delle orecchie, peraltro ricordato nel flusso di reminiscenze di Novak nel racconto, che finisce con dare luogo a sequenze di brutali massacri, quasi onirici nel film per rispettare l'incubo letterario in cui è avvolta la denuncia dell'abiezione, che culminano in una sequenza dove gli indios sono allineati teatralmente sulla spiaggia, un'immagine così edulcorata e avulsa dal contesto non restituisce il tratto di Coloane, piuttosto si apparenta con Anghelopulos.

Scheffer smise di russare e un respiro affannoso continuò a ritmare il suo sonno profondo. Novak si voltò per tentare di vedere la faccia del vecchio nel buio, ma riuscì soltanto a scorgerne l'ombra sotto la roccia. Erano rimasti così, in quella posizione anche gli indios Onas dopo il massacro, come pesanti ombre abbattute sull'erba alta della prateria...."

 

 

 

"Tornato nei suoi possedimenti, Julio Popper non si era accontentato dell'azione esemplare del suo fedele alleato, il mare, e si accanì su quelli che setacciavano l'oro lungo i tre torrenti, colpevoli di essere un'accozzaglia di banditi e tagliagole che andavano puniti con durezza ancora più esemplare. così aveva fatto, impiccando tre o quattro uomini ai pali che delimitavano i confini dei suoi possedimenti, con un cartello appeso che diceva: "Lasciate ogni speranza voi ch'entrate", la frase di Dante che metteva in guardia le anime che oltrepassavano la soglia dell'Inferno. Né gli indios Onas né, tantomeno, gli avventurieri del torrente Beta conoscevano La Divina Commedia; ma più eloquente della lingua di Dante era stato il cranio scarnificato degli scheletri, sui quali si appollaiavano i caranchos dopo l'abbondante banchetto."

Ecco: fondamentale è quell'espressione di Coloane, "più eloquente della lingua" era l'immagine. E quello è quanto trascorre nel film: rimangono i gesti, le azioni congelate, non il respiro favolistico dello scritto. Può darsi che il regista sia rimasto suggestionato dalla carcassa dell'enorme cetaceo ridotto ad ammasso cartilaginoso, i cui spuntoni si possono combinare in modi differenti a comporre racconti diversi a partire dalla stessa "impalcatura bianchissima": "La forma della struttura gli sembrò alquanto strana, e osservandola meglio scoprì che si trattava dello scheletro di una balena enorme, sbiancato dalle intemperie".