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Spy - The long kiss goodnight
Anno: 1996
Regista: Renny Harlin;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 26-01-1998


The Long Kiss Goodnight (Spy). Regia: Renny Harlin. Sceneggiatura: Shane Black. Fotografia: Guillermo Navarro. Musiche: Alan Silvestri. Produzione: Forge / New Line Cinema. Prodotto da: Stephanie Austin, Shane Black, Michael De Luca, Carla Fry, Renny Harlin, Richard Saperstein, Steve Tisch. Cast: Geena Davis (Samantha Caine / Charly), Samuel L. Jackson (Mitch Henessey), Yvonne Ziman, Craig Bierko, Tom Amandes, Brian Cox, Patrick Malahide, David Morse, Joseph McKenna. Special FX: CIS Hollywood/Sony Pictures High Definition Center/Todd-AO Digital Images/Howard Anderson Company/Digital Rezolution/FXSmith, Inc./WKR Productions/Walkabout Pictures/Digiscope/Digital Magic Company/Grant McCune Design. Usa, 1996. Dur.: 2h.

Aria di Hong Kong. Aria che si respirava già in un altro actioner di punta della stagione, Con Air (e che ovviamente, essendo firmato John Woo, si respira a pieni polmoni in uno dei film più significativi della stagione, Face/Off). Forse, anche in conseguenza dell'ondata di registi ed attori hongkonghesi che si è riversata negli States (da Woo a Jacky Chan a Chow Yun Fat & Co.), Hollywood sta rivedendo le coordinate di uno dei suoi generi più forti, l'action movie. Alla ricerca di una boccata di ossigeno? La sceneggiatura si svincola da codici di verosimiglianza, coerenza, logica, e diventa pretesto per ordire una trama di situazioni ultra-mirabolanti, per dare corpo ad uno spettacolo ipercinetico, per spingere i personaggi a sfidare gli elementi, la forza di gravità, il proprio lato più cupo, le multiple personalità che risiedono "dentro" [tema del "doppio" (a tratti giocato in chiave simil-depalmiana) che si fa portante, e si manifesta attraverso gli allucinati flash di memoria che invadono un presente senza passato, l'automatismo di sapore cyborg che innerva sottilmente ogni gesto e reazione, l'incubo che tinge di ombre il sogno insinuandosi nella realtà attraverso lo scintillìo di cupi specchi). Action movie tinto di psycho-thriller, insaporito di spy-story, screziato di melo; due tipologie di eroi classiche, il detective privato e l'agente segreto, a confronto: il tutto spinto all'eccesso, oltre il limite. Ma con un ritmo narrativo anomalo; non le consuete "montagne russe" tra picchi adrenalinici ed emozionanti e pause distensive in una linearità fluida che trascina lo spettatore in una corsa su binari brevettati, ma una costruzione "a blocchi": edifici complessi di situazioni gonfiate ipertroficamente, risolti in azioni fiammeggianti e spesso inedite, intercalati bruscamente da pause in cui vira il genere piuttosto che essere modulata la tensione in qualcosa di altro. Una sorta di schizofrenia narrativa [che separa gli ingredienti (azione, sentimento, informazione) in compartimenti stagni] e riflette, a livello di orchestrazione drammatica e di struttura, quella della protagonista, altalenante tra la dolcezza e la brutalità, tra il ruolo di madre e moglie e la vera natura di macchina per uccidere: "donna che visse due volte" dal passato rimosso dopo il simbolico salto nel vuoto ed un purificatore tuffo in un mare amniotico. Geena Davis sostiene il ruolo di super-eroina in maniera impeccabile: fumettisticamente mutante, bellissima e bruttissima, sensuale e plasticosamente asettica, morbida e spigolosa, diabolica e rassicurante al contempo, è come sospesa tra due dimensioni - quella del "terminatore" e quella "angelicata" - dimensioni che coesistono, inquinandosi, travalicandosi, fino a dare corpo ad un perfetto 'angelo con la pistola' che svolazza per aria appeso ad una ghirlanda di colorate luci natalizie sventagliando pallottole tra cielo e terra ["femme fatale": altro (infra)genere partorito dalla officina hongkonghese in cui protagonista delle peripezie rigorosamente action e ad alto tasso acrobatico è appunto una eroina bella e letale]... La Davis, quanto a melange di azione e seduzione, di fascino e violenza, di fragilità e forza, non ha nulla da invidiare alle star con gli occhi a mandorla del filone (Michelle Khan, Anita Mui, Cynthia Khan, Yucari Oshima ecc.), semmai riesce (invidiabilmente) a colorare di autoironia il ruolo. "Eroico bagno di sangue" ("heroic bloodsheed": rilettura hongkonghese in chiave melo-action del gangster-movie/noir; in questo caso al femminile) di un killer professionista che attraverso la violenza riesce a riscattare la propria "colpa" (tasso di redenzione direttamente proporzionale ai litri di sangue versato), ma con una frenetica ricerca del "meraviglioso", dello stupefacente, che rasenta le ricerche coreografiche del "wuxiapian" (storie di cappa e spada, di cavalieri erranti cinesi) più scatenato (quello in cui i salti si trasformano in plastici voli, in cui la forza di gravità svanisce, in cui i corpi fluttuano nell'aria mentre il combattimento impazza in un tripudio di acrobatismi)... Corpi crivellati di colpi che tuttavia resistono, non cedono nemmeno davanti alla morte in persona: maschere di sangue, eroi-zombie che non hanno niente da perdere. Ma se la ricerca di una fusione tra massima spettacolarità ed approfondimento dei personaggi sembra ricalcare la formula hongkonghese (senza tuttavia riuscire ad edificare un solido sottotesto morale come nei modelli di riferimento: le "kitscherie" restano sul mero piano della sforatura in un grottesco fatto di sospensioni pennellate di sentimentalismi schematici e dolciastri), a differenza del punto di riferimento funziona a pieno regime, come contrappunto, il lavoro sui dialoghi (in perfetto stile statunitense): a partire dal primo ingresso in scena di Samuel L. Jackson, in cui travolge la vittima di turno con un acido e salmodiante fiume di parole che si fa monologo (sorta di cut-up di frasi-cliché mutuate dal catalogo generale della "scuola dei duri"), via-via, fino all'epilogo, la Parola viene gestita dai personaggi come un'arma tagliente, provocatoria, scoppiettante, sempre sul filo della parodia, spiazzante... vero e proprio basso-continuo che sfalsa la prospettiva delle azioni cui si accompagna: un tono comedy che funziona da filtro autoironico rispetto all'esasperazione dominante. Meta-action, in un certo senso (e verrebbe nuovamente da citare Con Air); comunque, non il solito cocktail d'azione ed avventura con spruzzata d'ironia. Hollywood riflette se stessa in uno specchio made in Hong Kong? Forse. Più probabilmente: Hollywood riflette su se stessa in uno specchio made in Hong Kong.