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Ransom Anno: 1996 Regista: Ron Howard; Autore Recensione: l.a. Provenienza: Usa; Data inserimento nel database: 07-05-1998
RANSOM
RANSOM
Ransom (Il Riscatto), di Ron Howard. Sceneggiatura,
Richard Price, Alexander Ignon. Con M. Gibson, R. Russo, G. Sinise,
B. Nolte, L. Taylor. Usa, 1996. Dur.: 1h e 45'.
Remake di un film del 1955 di Alex Segal con Glenn Ford, "Ransom"
(uscito in Italia con il titolo "Il Ricatto Più Vile"),
"Ransom - Il Riscatto" racconta la storia del rapimento
del figlio di un magnate dei trasporti aerei che, intuita la volontà
dei rapitori di non restituirgli il figlio nonostante il pagamento
della somma richiesta, decide di trasformare il denaro del riscatto
in una taglia. Con questa mossa assolutamente azzardata ed imprevista,
mette in crisi i criminali, spezza l'equilibrio della gang, ne
fa esplodere le tensioni latenti. Thriller campione d'incassi
negli States, "Ransom" è diretto dal Richie Cunnigham
del sempreverde serial-tv "Happy Days", Ron Howard,
regista ormai affermato nel sistema hollywoodiano dopo i grandi
successi di "Apollo 13", "Fuoco Assassino"
ecc. (vedi filmografia). Forte di un soggetto altamente
drammatico e di un cast di prim'ordine, Howard accentua la tragicità
chiudendo progressivamente l'obiettivo sui personaggi, esalta
le performance degli attori, stando loro "addosso",
scrutandone i volti e le espressioni, sottolineandone i gesti,
cogliendone le reazioni, amplificando in maniera tale l'escalation
di tensione che porterà all'esasperazione e alla disperata
contro-mossa del padre del bambino. Lo stesso décor viene
piegato in questa direzione: non solo gli spazi in cui si annidano
i rapitori ed in cui viene detenuto il bambino sono cupi, angusti,
labirintici; ma gli stessi ambienti dell'attico della famiglia
Mullen, ad inizio film caldi ampi scintillanti e luminosi, una
volta innescatosi il dramma, si ingrigiscono, opacizzano, ridimensionano,
cristallizandosi in tinte gelide grazie all'ottimo lavoro sulla
fotografia (di Piotr Sobocinski, già direttore per Kieslowski),
rappresentando infine il corrispettivo scenografico del dramma
interiore dei coniugi. Due spazi distanti, che sembrano contagiarsi
via cavo (telefono ed e-mail), fino a diventare un unico budello
incubico. Analogamente la città che fa da sfondo, solare
all'inizio, piomba, dopo il rapimento, in un inanellamento di
giornate buie, per raggiungere il nero assoluto la notte del tentato
pagamento del riscatto. Soluzioni formali non necessariamente
originali, ma ben realizzate e funzionali al potenziamento del
dramma e all'esasperazione del thriller (le scene action funzionano
come aperture di sfogo). A livello di sceneggiatura, "Ransom"
è un perfetto esempio di architettura drammatica
hollywoodiana: scritto da Richard Price, è studiato e strutturato
in maniera tale da non sacrificare nemmeno per un attimo spettacolarità
ed emozioni in nome di problematiche durante il suo sviluppo;
i dubbi sul comportamento del personaggio di Gibson vengono spazzati
da un'orchestrazione attenta del "sapere" dello spettatore.
Il comportamento del padre del bambino è sostanzialmente
discutibile: non concerta le proprie scelte con la moglie perché
è Lui ad avere il denaro; gestisce le trattative come un
business; si incaponisce leggendo il rapimento come un affronto
personale (facendo il gioco dei rapitori); rischia la vita del
figlio affidandosi al semplice intuito... Se lo sceneggiatore
non anteponesse alla decisione del padre (di tramutare il riscatto
in taglia) la sequenza in cui viene rivelata la reale volontà
dei criminali di eliminare il bambino in ogni caso, l'empatia
che lega pubblico e Gibson sarebbe persa irreparabilmente; la
contromossa si rivelerebbe per quello che effettivamente è
(pur nella sua disperazione), cioè un azzardo. Al contrario,
conoscendo in anticipo il piano dei rapitori, inconsciamente si
valuta la scelta di Gibson come unica soluzione possibile per
salvare il figlio. Inoltre, Price, abilmente introduce la sottotrama
legata alla tangente pagata dal personaggio di Gibson ai sindacati;
quando il capo della gang dei rapitori spiega al padre del bambino
che è stato individuato come vittima perché "è
uno che paga" (se ha pagato per evitare uno sciopero, pagherà
per il figlio), si innesca un altro meccanismo drammatico che
svia ulteriormente lo spettatore dal nucleo del dramma: Gibson
è il self-made-man americano, ha commesso un errore ed
ora ha la possibilità di riscattarsi; salva il figlio e
recupera la propria dignità e credibilità. Solo
nel pre-finale, durante l'incontro tra il padre e la mente della
banda, viene dichiarata esplicitamente la natura rischiosa della
mossa di Gibson: questi chiede conferma della propria intuizione
circa l'uccisione del figlio sia in caso di pagamento, sia in
caso contrario; e la ottiene. Ma a questo punto è ininfluente,
il pubblico non lo giudica più: il figlio è ormai
salvo, è Gibson che rischia. Ad elevarlo definitivamente
al rango di eroe sarà la sequenza action che terminerà
con l'uccisione del rapitore per mano dello stesso padre: self-made-man,
uomo tutto-d'un-pezzo, bravo padre ed infine... giustiziere (molto
più efficiente di FBI e polizie varie). Inquietudine e
problematicità virate in retorica e correttezza politica
con una semplice inversione dell'ordine delle informazioni: un
lavoro da professionista. E Howard segue a ruota Price, in quanto
a professionalità: insieme progettano e costruiscono una
classica macchina spettacolare che viaggia a pieno ritmo, avvince
e depista fingendo di scoprire tutte le carte subito - riuscendo
sempre a risollevare la tensione in extremis: prestidigitazioni
da golden age.
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