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Plunkett e MaCleane
Anno: 1999
Regista: Jake Scott;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 23-07-1999


Plunkett&MaCleane
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Plunkett&MaCleane


Regia: Jake Scott
Sceneggiatura: Selwyn Roberts
Fotografia: John Mathieson
Montaggio: Oral Horrie Otey
Musica: Craig Armstrong
Costumi: Janty Jates
Interpreti:Robert Carlyle ... Plunkett
Ian Robertson ... MaCleane
Liv Tyler...Rebecca Wilson
Ian Robertson...Chance

Formato: 35 mm. B/N
Provenienza: GB
Anno: 1999
Durata: 1 hr. 33 min.


Bella la ricostruzione dell'atmosfera di una Londra tenebrosa che nel 1748 vedeva pendere cadaveri di impiccati per ogni dove, peccato che non ci sia un fotogramma che documenti le condizioni reali della popolazione, se non le poche immagini dal carcere di Newgate, che all'inizio del film soffrono di certo edulcorato gusto per riprese in dissolvenza che vorrebbero evocare stampe d'epoca

(la riproposta della grafica trova spazio all'interno del film anche per documentare le gesta del duo anarcoide attraverso giornali dell'epoca in una lunga carrellata anch'essa inficiata dal tono edulcorato), imperniato sulla rilevanza della dignità di certi personaggi: la sequenza d'esordio prelude al duello che informa di sé l'intero plot e dovrebbe essere metafora di due forme diverse di autorealizzazione di due figli del popolo;

la visione sociologica è legittimata dai motteggi di Carlyle, icona ribelle del cinema britannico, e da certi luoghi retorici frequentati dal romanzo popolare bisognoso di eroi in lotta con il potere oppressivo dell'aristocrazia, che si presenta compattamente priva di dignità, tranne per quel che riguarda sofisticate figure inserite con l'intento di arrivare a nobilitare improvvisamente Plunkett durante una seduta processuale. Fin dall'inizio viene illustrata una macchietta di puro narcisismo inglese con Lord Pellam che affronta il capestro a fronte alta in una prolessi del viaggio sul ferale calesse del romantico prigioniero MaCleane verso la forca, un ambizioso capitano coinvolto dall'intraprendente vagabondo Plunkett in una pirotecnica serie di furti, non mirati ad una redistribuzione capillare presso le popolazioni indigenti come Robin Hood, ma più prosaicamente e allusivamente per ottenere un passaggio verso il nordamerica. Ovviamente trattandosi di un romanzo d'appendice, all'ultimo momento arriva la salvezza e la vendetta e l'amore di Rebecca Wilson (Liv Tyuler), bella, benché inferiore alla Zeta Jones di The Mask of Zorro (film con notevoli parentele, non solo per la maschera, ma anche perché insuffla ipotesi di vendetta di classe attraverso eroi evocativi e indugia spesso su primi piani non così efficaci, perché il terzetto di attori che coprono gli stessi ruoli non ha lo stesso fascino, né l'esperienza).

È un'opera di buon mestiere che sfrutta collaudate funzioni di personaggi standardizzati, ma s'impiglia proprio nei nodi dei classici momenti topici del racconto d'avventure. Ad esempio l'incontro tra i due compagni in un cimitero, subito complici, mentre rovistano tra le viscere di un amico di Plunkett alla ricerca di un rubino inghiottito: la suggestione di un attimo di bagliori rossastri nel buio viene diluita in una laboriosa preparazione della scena madre,

rivelando il processo per cui la concrezione di una sequenza si va organizzando per successivi aggiustamenti e giustapposizioni di stereotipi attorno ad un'immagine da cui gli autori si sono lasciati sedurre e in funzione di essa creano la situazione;

come per il percorso verso la forca, visionariamente ineccepibile per il gioco di verticalità delle riprese, dove la plongée e contro-plongée è legittimata dal penzolamento degli impiccati, stagliati in campo lungo sul luminosissimo cielo con l'aggiunta del controcanto di una figura poetica in primo piano: l'immagine è potente, ma la lunga teoria di vicissitudini ripetitive secondo il classico canovaccio che lega le tre figure principali è faticosa per l'assenza di rilevanti spunti di originalità.

Probabilmente trasmette una sensazione di irresolutezza, perché l'interesse precipuo è in quelle fotografie costruitissime ad effetto, come la sequenza del furto alle nozze corredato di fuochi d'artificio, un paragrafo che si vorrebbe legare attraverso l'effetto mediato da un lato con il risaputo uso del tavolo come palcoscenico (commentato a posteriori: "Tuttavia io sono stato magnifico e ci siamo divertiti") e dall'altro con l'uscita di scena preparata dai giochi pirotecnici, il problema è l'insufficiente carisma di MaCleane e il senso di deja vu promanato dalla britannica tavola imbandita per settecenteschi commensali damerini dislocati senza lo sfoggio di cultura di Greenaway e senza particolari fremiti neanche di fronte ad un minuetto techno, come sempre la coreografia è ben fotografata, ma affetta dal solito sbadiglio di fronte all'ennesimo ballo presso il quale si incrociano i destini dei due amanti.

Gli attori riescono ad animare il loro conflitto: i deuteragonisti sono Chance e Plunkett, due espressioni opposte di odio di classe che si esprimono in più occasioni di scontro fino alla scena del duello che rimane sottotono e alla rivelazione della Bibbia che salva lo sbirro (citazione da Leone, utile per aggiungere un ulteriore motivo di divisione: la religione), però anche tra Chance e MaCleane ci sono evidenti contrasti che vanno oltre alla comune infatuazione per la bella Rebecca: infatti mentre il bandito gentiluomo mascherato come Zorro viene riconosciuto dalle donne, percorse da un fremito al suo passaggio, il servo del potere invece non viene mai considerato, non riesce nemmeno a concludere le frasi, che inevitabilmente sono spiacevoli e irritanti provocazioni o minacce ("Mi eccitano le tue lacrime e spero ne verserete tante altre", pronunciata addossato su una Rebecca indifesa).

Catarsi finale: "Ti fa male?" "Solo quando rido". La risata seppellisce gli infami soltanto nei film romantico-popolari, ma almeno fossero coinvolgenti.