NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Any Given Sunday - Ogni maledetta domenica
Anno: 2000
Regista: Oliver Stone;
Autore Recensione: Luca Bandirali
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 29-04-2000


REGISTA dalla mobilissima immaginazione, Oliver Stone (è ormai assodato) gira film di guerra: che sia guerra vera (<Platoon>), politica (<Nixon>), finanziaria (<Wall Street>),

REGISTA del conflitto formale, Oliver Stone (è ormai assodato) gira film di guerra: che sia guerra vera (Platoon), politica (Nixon), finanziaria (Wall Street) è un fatto esterno al linguaggio. Il nucleo filosofico del cinema di Stone ha a che fare con l’estensione del dominio della lotta: dalla foresta vietnamita al rettangolo verde del football, l’uomo non cambia, è lo stesso animale (in accordo con una visione kubrickiana della Storia). La coerenza formale di Ogni maledetta domenica è il risultato di un processo creativo rigoroso, che centuplica il luogo comune all’interno della struttura narrativa fino a provocarne l’implosione: il rito della vestizione, per esempio, è una figura delle grandi narrazioni che ritroviamo nel film di Stone, nella versione titanica di questi giganti dello sport. Altrettanto accade con il conflitto generazionale, che si svolge su più livelli: il nuovo gioco (quello delle statistiche e delle percentuali) e quello vecchio (sangue, sudore & lacrime), gli uomini nuovi (il quarterback nero intepretato da Jamie Foxx) e quelli vecchi (il quarterback bianco interpretato da Dennis Quaid), con le opportune inversioni (James Woods, il vecchio medico della squadra, è un viscido profittatore, mentre Matthew Modine, il nuovo medico, è un giovane idealista). Il coach Tony (Al Pacino) è al centro di tutte le opposizioni, nel senso che partecipa alla lotta del campo e a quella dell’esistenza nella posizione (apparentemente di retroguardia) del sapiente, del saggio che i tempi vogliono superato. Ma il tema dominante di Ogni maledetta domenica (fin dal titolo, che suggerisce la modalità frequentativa del racconto, il riferimento alla macchina narrativa è chiarissimo) è tutto nella tensione ideologica tra Rischio e Fede, tensione interna al concetto di Squadra: anche qui giova sottolineare l’aggancio ad una tradizione narrativa che ha spesso inscenato il confronto io/molti (anche come metafora del rapporto fra individuo e società, e in maniera più sottile, fra Autore e Pubblico); non a caso il teorico Gian Piero Brunetta riassume la dialettica rischio/fede in una considerazione generale che riguarda un certo cinema americano: "Il rapporto tra l’Io e i molti è sentito come manifestazione di un tutto all’interno del quale i singoli, pur espressione di una volontà superiore, acquistano la piena autonomia nel momento in cui accettano la propria missione e il proprio destino". Il film di Stone è, a nostro parere, l’illustrazione magniloquente (e straordinariamente matura) di questa tensione (cui richiama, fra l’altro il personaggio del sacerdote e il rito della preghiera), e c’entrano poco invece le metafore vagamente consolatorie sulle differenze tra il football (la società americana com’è) e il baseball (la società americana come vorrebbe essere).

I venti minuti iniziali di Ogni maledetta domenica non concedono nulla alla retorica, e tutto all’esperienza visiva: al regista televisivo che si pone il problema di riprendere un gioco che prevede una certa disposizione delle squadre in campo, ed un movimento preciso, simmetrico, dell’una e dell’altra, Oliver Stone risponde col flusso disordinato delle immagini ravvicinate, dinamiche, "insensate"; la macchina da presa diventa giocatore che salta e rimbalza, ma il risultato è quel surplus di realismo che conduce all’astrazione, come quando si avvicina l’occhio ad un tessuto sino a coglierne la trama geometrica. Così il suono, in Stone, non ricostruisce banalmente lo spazio fisico ma ne crea un altro, dove tutto è più violento, più sporco, più veloce. Lo stesso spazio fisico che l’inquadratura travolge, sovvertendo i concetti di destra e sinistra, di basso e alto: i corpi volano e atterrano, si scontrano (come le inquadrature, e Stone non lesina, nel corso del film, stacchi ad effetto). Sulla colonna musicale, valgono le osservazioni sul cinema contemporaneo che indicano nel prevalere del gioco ritmico sulla sintassi la sua cifra stilistica: la modalità del "contrappunto" (cioè della traccia musicale che procede parallelamente al film, con una propria dinamica) è esattamente il segno-cinema di Oliver Stone (la musica genera l’immagine).

In ultima analisi, l’influenza di questo cineasta sul linguaggio ci pare indiscutibile, e sempre portatrice di neologismi importanti; e, quand’anche non se ne afferra il senso, si ammira il rigore di un discorso che tende a considerare l’ordine come un caso particolare del caos.