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Nueba Yol 3: Bajo la nueva ley
Anno: 1997
Regista: Angel Muniz;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Repubblica Dominican;
Data inserimento nel database: 10-11-1999


Nueba Yol 3: Bajo la nueva ley

Nueba Yol 3: Bajo la nueva ley


Regia: Ángel Muñiz
Interpreti: Luisito Marti, Raúl Carbonell, Graciela Mas, Samuel Molina, Adalgisa Pantaleón, Jorge Pupo
Provenienza: Repubblica Dominicana
Anno: 1997




Il protagonista è un caratterista dominicano famoso in patria per le avventure dei precedenti episodi incentrati sulla medesima macchietta di emigrante differente dallo stereotipo degli italiani dei decenni passati; la creatura dell'ideazione seriale di Muñiz, non ha famiglia da mantenere, sognava di vivere a New York e non vi viene spinto dall'indigenza e soprattutto si permette di transitare oltre i confini blindati degli statunitensi prendendosi gioco dei controlli in questo come nei film precedenti. Ha un volto mobilissimo, come un Ace Ventura antillano, la sua marca è un enorme pettine (più simile ad un rastrello piccolo) appeso perennemente sul fianco destro del basco, il mondo in cui è immerso evidenzia tutte le situazioni che deve affrontare un caraibico a N.Y. e introduce come solari spot le brevi scorribande a Santo Domingo, filmata da incursioni che sembrano cartoline standard di balli e amici al bar, o a Portorico.

Il suo nome è Balbuena. Ed è un operaio trentanovenne, che lavora in condizione precarie in una fabbrica condotta in modo paternalistico; è anche un angelo per Teresita, un’anziana inferma alla quale lo lega la riconoscenza per averlo accolto. Ed è un solidale compagno di lavoro, che aiuta l’amico portoricano ex tossico (Fellito) e coi colleghi inscena impossibili rivendicazioni ad uso di divertimento interno tra amici in pausa, poco prima dell’incursione dei poliziotti della "immigrazione", in maggioranza paradossalmente di colore. Tutti i canoni per sviluppi capaci di documentare le possibili occorrenze di un immigrato sono diffusi e pronti ad attivarsi.
Come si vede le contraddizioni sono molteplici e la struttura televisiva non serve a diradare la confusione: i gesti sono evidentemente parte di un repertorio ritagliato su un target di immigrati che si riconoscono nell’uomo, che conosce male la lingua e si barcamena tra le maglie di leggi che somigliano sinistramente alle nostrane che erigono lager in cui gettare persone colpevoli solo di essere privi di permessi di soggiorno.


E proprio questo è il tema del terzo episodio delle avventure di Balbuena a Nueba Yol: l’esordio del film è sorprendente per come sfrutta i passaggi obbligati del tipico risveglio per abituarci ad un buon sistema narrativo incentrato sul personaggio e la sua interazione con un universo ostile fin dalla dimensione domestica, eppure contemporaneamente riesce a manifestare i suoi limiti, molti di ingenuità (ad esempio chi era e che fine fa la donna che subentra a Balbuena quando egli esce di casa al mattino?), o per certi episodi poco chiari, come l’agguato, immancabile per descrivere il quartiere e per sollazzare gli spettatori dominicani emigrati che troveranno tranches de vie conosciute sparse lungo l’intero film. Anche altri personaggi sono appena accennati o evolvono repentinamente e incongruamente (l’amica puttana che li aiuta nella messinscena a uso della perfida poliziotta latina anch’ella).
L’espediente usato per farci parte della precarietà dell’eroe è una radio incombente nell’oscurità della levataccia antelucana (la radiosveglia è puntata alle 5:45): da questa veniamo informati con lui della nuova legge che concede tempo fino al primo aprile ’93 per trovare un escamotage alla condizione di clandestini. E l’azione è collocata a fine marzo. L’incalzare delle scadenze si confonde con l’ottenebramento delle ultime cispe del sonno: un paradosso per il tempo filmico che riesce a venire a capo del ritmo rallentato dal risveglio e pure nella stessa sequenza dell’accelerazione impartita dalla notizia, usando il sonoro di radio sintonizzate su due stazioni diverse, l’una nella doccia che riporta la notizia di un giornalista ucciso e i sospettati sarebbe l’ex capo della polizia (evidentemente notizie dominicane), l’altra nei pressi del caffè con le notizie newyorkesi, aggiungendo alla confusione la commistione di realtà opposte con protagonisti comuni nella polizia. La macrosequenza iniziale, che non si conclude con la fine della scena in casa, coincide con una giornata tipo: una rissa appena uscito di casa con due perdigiorno che lo scherniscono, prosegue con il discorso paternalista del padrone sulla loro precaria condizione e le botte in un vicolo alle prime brume della sera, termina con il consiglio, somministratoci attraverso il televisore con piglio comico, di cercarsi un coniuge per aggirare le leggi sull’immigrazione, ma poi l’intero plot verterà sulle avventure scatenate da questa opzione, di cui aleggia comunque sempre la matrice comica: un intrattenimento, che non si fa le illusioni di poter drammatizzare ancora una volta il plot della carta verde, virando da subito sulla vis comica; il pubblico a cui si rivolge ha già abbastanza guai per vederseli rappresentati senza tregua: a piccole dosi gli vengono somministrati, ma resi innocui con il riso, eppure aggreganti nell'immedesimazione con una figura positiva e quindi potenzialmente dirompenti. A questo punto ci si aspetterebbe l’onnipresente Manu Chao, invece proprio per non piangersi addosso "perdidos en el siglo XX" le immagini di folle non wasp riprese in teleobiettivo, accentuando la sensazione di confusione e insicurezza, sono accompagnate dalla piacevole sorpresa di un duro hip hop che richiama le sonorità irriguardose dei Molotov, commentando l’ennesimo annuncio della scadenza del 1 aprile: l’unico frangente in cui il protagonista è abbandonato per qualche istante dalla macchina da presa, a favore del campo lungo sul pubblico a cui si rivolge.

La versione femminile delle vittime della ferocia anti-immigrazione è la giovane a cui hanno sottratto i figli e perciò accetterà di inscenare il matrimonio con Balbuena per recuperarli. Il suo personaggio è meno caratterizzato, maggiore spessore si ritaglia l’intraprendente amica, che interpreta un pezzo di bravura incorniciata dalle tipiche scale antincendio della città. Entrambe le donne sono prese di peso dalle suggestioni televisive, che caratterizzano anche la progressione del racconto per scenette molto lunghe, ognuna paragonabile ad una puntata di una sit-com (la trasferta a Portorico per il matrimonio con la cugina di Fellito, il rocambolesco ritorno buggerando le domande dell’immigrazione per rientrare a N.Y., il drammatico interrogatorio della perfida Pilar Gonçalez, la lunga perquisizione dell’appartamento dopo il riconoscimento dell’unione dei due antillani), non disturba l'acquisizione delle modalità di scansione del racconto televisivo, perché non pretende di proporre grande cinema, anzi persegue l'obiettivo di semplificare ogni inquadratura senza ridurla ai gusti televisivi; il target è quello, ma Muñiz s'impone di non aderire completamente al linguaggio: lo arricchisce e addirittura mira a rinverdire i fasti delle soap operas con la riproposta di un personaggio nato al cinema e rimasto nel circuito cinematografico, sfruttando i tempi televisivi per riempirli ogni tanto di gusto più ad ampio respiro, espresso da serie di inquadrature mirabili: i fulminei contatti a ritmo di danza con gli amici a Santo Domingo, la ripresa sul gruppo solidale con i due "sposi" impegnato in una sorta di santeria augurale (o poco amichevole con la poliziotta), le inquietanti immagini della televisione a circuito chiuso durante l'interrogatorio per dimostrare l'autenticità del matrimonio, che proseguono oltre la conclusione dell'operazione...