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Nella terra di nessuno
Anno: 2000
Regista: Gianfranco Giagni;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 04-07-2000


Nella terra di nessuno

Visto al Taormina Film Festival 2000Visto al
Taormina Film
Festival 2000

Nella terra di nessuno
Regia: Gianfranco Giagni
Sceneggiatura: Graziano Diana e Gianfranco Giagni, tratto dal romanzo di Nino Filastò
Fotografia: Felice De Maria
Produzione: Andrea de Liberato e Antonio Fusco (Caviar Produzioni)
Interpreti: Ben Gazzara, Maya Sansa, Massimo Bellinzoni, Roberto Zibetti
Origine: Italia, 2000, 85 min.

La produzione cinematografica italiana recente (vedi Sangue vivo, Lacapagira, Prime luci dell'alba tanto per citarne solo alcuni) è riuscita a distinguersi per una dote, un progetto che forse accomuna le opere suddette: ricercare un principio di sguardo, ancorché sia precario ed instabile, nell'affrontare tematiche, che rischiano spesso il pericolo di vuoti stereotipi, privilegiando prospettive oblique. Nel senso che l'effetto delle immagini non è mai scontato, anzi è in prevalenza sospeso in alcune scelte stilistiche molto forti come la traballante macchina a mano che comunica inquietanti sentimenti di precarietà. Le premesse nel film, seppur chiare, disegnano vicende che diventano sempre più nebulose, stimolandoci a risolvere equivoci apparentemente futili, salvo poi scoprire che nella struttura del film tali "incidenti" sono fondamentali per l'espressività generale. In questo caso un avvocato - è bene ricordarsi dell'etimologia latina advocatus vale a dire chiamato - è appunto chiamato a risolvere un caso. Ma questa chiamata assume le coordinate esistenziali, attraverso un processo di sradicamento totale del personaggio. L'avvocato Scalzi, nell'interpretazione magnificamente onirica di Ben Gazzara, sprofonda in una dimensione i cui punti di riferimento sono improvvisamente smarriti. È l'universo particolare di un territorio lontano, un'isola che descrive la distanza dal mondo circostante attraverso la situazione carceraria, che è appunto il massimo della condizione di chiusura, secondo tutte le metafore possibili. L'avvocato Scalzi, dunque, avanza verso un luogo che è Altro in ogni sua minima espressione. E i gesti degli abitanti particolari del carcere, secondini, militari, direttori, detenuti, sono essi stessi chiusi, bloccati in un mistero inesplicabile. Tale ambiguità non mira alla dietrologia, all'allusività del complotto di matrice politica, ma è il diretto spiegamento delle energie umane in gioco. Sembra così che le regole di un carcere, nella follia che appare a chi proviene da fuori, siano regole "maturate" nella psicologia dei personaggi, e dei ruoli che rivestono. I sintomi si manifestano chiaramente: le nevrotiche perquisizioni, il linguaggio continuamente allusivo e gergale. Il viaggio dell'avvocato si trasforma in una ricerca di senso, un viaggio che è segnato da una frustrante impotenza, e dal dubbio lacerante di essere di fronte a maschere ambigue che recitano parti per lui oscure. Nella terra di nessuno descrive, attraverso immagini di cruda e nuda semplicità, l'ostilità di un luogo che si nutre della stessa durezza tra esseri umani, un'inquietante mancanza di corrispondenza, un continuo scontro.
Ed è straordinario che il film recuperi l'istintiva lotta contro la meschinità umana e l'arroganza, attraverso due personaggi opposti: il compassato e stralunato Scalci e l'esuberante e riottosa prostituta Katia (Maya Sansa). Due reazioni profondamente differenti che alla fine sembrano fondersi in un'alleanza che fa sperare sulla vittoria, ma l'epilogo è beffardo, come spesso nella realtà le nostre esistenze.

 

Conferenza stampa con Gianfranco Giagni, Ben Gazzara, Maya Sansa

Come nasce il film?
Giagni: Nino Filastò, autore del soggetto, è un avvocato di Firenze, scrive gialli ha vinto il premio Mario Tedeschi, e scrive storie realmente accadute. Tutti i personaggi di questa storia sono autentici, è la storia di una rivolta, in cui è ucciso un terrorista politico. Ho frequentato molto le carceri per cercare di approfondire le dinamiche. La struttura interna è molto più rigida, molto più chiusa, ciò che mi ha sorpreso sono una cosa chiamata "domandina" per ottenere qualsiasi cosa, in un carcere lontano significa che per avere un paio di calze dovevi anche aspettare due mesi, una struttura veramente assurda, come se fosse un ministero solo che dentro ci sono delle persone umane.

Come è avvenuto l'incontro con Gianni? (al produttore de Liberato)
De Liberato: Meritava di essere girato, anche perché Gianfranco inseguiva da molto tempo questo progetto.

Ci può dire qualcosa sulla costruzione del dialogo?
Giagni. A me piaceva che in un contesto così grigio ci fossero due figure completamente diverse, un personaggio solare come la prostituta vestita di rosso ed un personaggio lunare come Ben, estremamente silenzioso che si muove con un atteggiamento di misura. L'incontro tra questi due esseri funziona.

Gazzara: Io mi sono divertito a fare la spalla a Maya che ha questo personaggio così straordinario, e così divertente.

Sansa. Io ringrazio Ben, per me è stata una grandissima emozione lavorare con lui, mi piaceva del personaggio la sua ignoranza ed insieme la consapevolezza delle meccaniche del carcere perché vissute direttamente. Sono due persone profondamente diverse che fanno un percorso comune.

Sul cinema italiano
Giagni: C'è uno spazio che deve essere occupato, per un pubblico con delle storie e su fatti concreti

Gazzara: Vengo qui da trent'anni e... (ride)... non è mai un momento buono per il cinema italiano...