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Angeli perduti - Duoluo tianshi
Anno: 1995
Regista: Wong Kar Wai;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: Hong Kong;
Data inserimento nel database: 06-03-1998


Angeli Perduti (Fallen Angels), scritto e diretto da Wong Kar Wai. Con Michelle Li, Leon Lai Ming, Takeschi Kaneshiro, Charlie Young, Karen Mok. Hong Kong, 1995. Dur.: 95'

Tre personaggi principali: un killer, la sua "agente", un muto. Molti personaggi minori: il padre del muto, una non meglio identificata Blondie, un'altra "bionda" svampita, una ragazza abbandonata dal fidanzato... e tantissime macchiette e ruoli cameo.

Grazie alle tre figure principali, al loro bazzicare gli stessi luoghi, al loro frequentissimo incrociarsi senza necessariamente avere rapporti diretti, si crea una struttura narrativa che potremmo definire "a staffetta": i personaggi si passano il testimone della narrazione, la voce narrante, delinenando in ultima analisi un continuo slittare di focalizzazione. L'impressione è quella di un film centrifugo, sfuggente, ma in realtà è fortemente legato; unità non solo conseguenza del fatto che nel finale tutti gli elementi ritornano in ballo quasi a chiudere le sottotrame nella più classica delle tradizioni, nè del fatto che i due personaggi reduci delle vicende costituiscono la nuova coppia sostituendo quella dissoltasi con la morte del killer, ma soprattutto unità che deriva dall'opzione della narrazione in prima persona. Ennesima ricerca di soluzione dei problemi del film ad episodi? Non credo ci si trovi di fronte ad un caso analogo a quello tarantiniano: Fallen Angels non nasce dall'esigenza di realizzare tre film al prezzo di uno, raccontare tre storie in una - come ha dichiarato Tarantino per Pulp Fiction. Piuttosto Wong Kar Wai vuole raccontare tre personaggi molto distanti l'uno dall'altro; o meglio, vuole che tre personaggi molto distanti tra di loro si raccontino, per poi rilevare eventuali tratti comuni o possibili punti di convergenza delle esistenze disperate messe in scena. E tale trait-d'union sembra consistere in ciò da cui sfuggono in modi diametralmente opposti: la solitudine. Nulla di più lontano dalle finzioni pulp. Verrebbe da definirlo un film minimalista, o quantomeno un film dagli intenti fortemente realisti. Ci si scontra, tuttavia, con una ricerca formale esasperata che impregna tutta l'operazione, non solo attraverso soluzioni di montaggio, punti prospettici particolari o movimenti di macchina, ma nelle singole inquadrature - un utilizzo insistito del grandangolo che stravolge i primi e primissimi piani, e la costruzione del quadro con effetti esasperati di profondità di campo. Non credo che le due opzioni siano inconciliabili, anzi: si supportano, rafforzano e completano vicendevolmente. Le soluzioni formali di cui sopra non sono meri virtuosismi, barocchismi finalizzati a se stessi: rappresentano, semplicemente, un corrispettivo sul piano visivo della voce narrante. Lo sguardo dei protagonisti sulla realtà è deformante, distorto: e Kar Wai cerca di comunicarlo allo spettatore [durante le sparatorie gli schizzi di sangue sporcano l'obiettivo della macchina da presa, evidente sintomo di un coinvolgimento "in prima persona" del mezzo]. A conferma di ciò, è la differenziazione dello stile per ciascun personaggio: se le soluzioni sono simili per il killer e la sua "agente", parti di una stessa realtà violenta e di un certo approccio con gli altri e se stessi , quando il testimone passa al ragazzo muto, figura certo più positiva, la camera è meno selvaggia, il montaggio meno aggressivo, mentre predominano le immagini girate in video che, oltre ad essere giustificate sul piano diegetico, rimandano a qualcosa di molto più intimo, casalingo, personale - un'appendice/supporto della memoria. Assolutamente da non perdere, ed altrettanto assolutamente difficile da vedere: è improbabile che a Fallen Angels sia concessa la felice distribuzione che già era mancata al lavoro precedente di Kar-Wai, Hong Kong Express. Ma se capita... E' uno di quei film che perdono parecchio in Vhs.