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Luna Papa
Anno: 1999
Regista: Bakhtiar Khudojnazarov;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Russia; Germani; Austria;
Data inserimento nel database: 21-03-2000


Luna Papa

Luna Papa


CAST

Chulpan Khamatova.................. Mamlakat
Moritz Bleibtreu........................ Nasreddin
Merab Ninidze.................... Alek
Ato Mukhamedshanov..................... Safar
Nikolai Formenko........................ Yassir

Regia è di BAKHTIAR KHUDOJNAZAROV (kOSH BA kOSH), da un soggetto di IRAKLI KWIRIKADZE, che co-firmano la sceneggiatura, la splendida fotografia risulta essere frutto di un lavoro collettivo di MARTIN GSCHLACHT, ROTISLAV PIRUMOV, DUSAN JOKSIMOVIC, RALI RALCHEV, esaltato dal montaggio preciso di KIRK VON HEFLIN e EVI ROMEN. Delle scene si è occupato NEGMAT DZHURAEV, mentre i variegati costumi sono di ZEBO NASIROVA; l'indispensabile collonna sonora è composta da DALER NASAROV.


produzione ............. PRISMA FILM e PANDORA FIM
durata ..................... 1 h 46'

Il film s’inizia con una ripresa dall’alto su cavalli al galoppo, poi il rapido cambio di prospettiva li mostra dal basso per abbandonarli all’inseguimento della scia di un aereo, che vertiginosamente, impostando il ritmo del film, scopre i due protagonisti: la ragazza (e madre) con la voce del suo "bambino nella pancia". Ottima sintesi del film.

Infatti sembra voler sottolineare la divisione dello spazio operata dalla fotografia, che sfrutta i tagli delle inquadrature per aprire gli esterni su un senso di libertà, comprimendo gli interni attraverso oggetti che si frappongono alle figure, ma soprattutto usa i mezzi di locomozione come modellini giocattolo in costante movimento sullo sfondo. Un moto orizzontale che percorre lo schermo longitudinalmente catturando l’occhio e trasportandolo verso il punto dell’azione, ma poi disturbandolo, perché tutto ciò che è realmente importante avviene in senso verticale: la bellissima sequenza della caduta nello strapiombo che documenta uno dei più lirici concepimenti che neanche la Madonna può aver immaginato persino nell’ispirazione del più poetico evangelista apocrifo, il missile-toro che cade da un aereo cambiando il corso degli eventi, il tetto che si stacca dal resto della casa sotto la spinta dei ventilatori a pale azionati dal fratello "disturbato" (dal male), che per tutto il film finge di essere un aeroplano (o un’automobile) in una follia degna della canzone di Johnathan Richmond, esprimendo il bisogno di andare via da una terra bigotta, feroce e moralista. Contemporaneamente l’intrusione dei mezzi di trasporto nel rettangolo della pellicola che si presenta così nel suo stato di ritaglio di un mondo coloratissimo che ci risulta difficile immaginare. Questa descrizione spaziale fondata sulla bidimensionalità che esalta lo spazio schermo e al contempo offre varie direttrici di fuga dell’occhio, sfrutta imprevedibili inquadrature oblique che vivacizzano la dicotomia tra percorsi orizzontali di furgoni sgangherati, carrette volanti, carri armati, locomotive - sintomo di quotidianità (vista l’importanza deputata agli spostamenti) - e verticali, relativi al destino del singolo individuo ed in particolare legata alla sfera terrena e alle umane sventure, se colte dal basso (come nell’intera sequenza del ginecologo, tutta ripresa rigorosamente dal livello del pavimento), oppure dedicata al sollevamento dello spirito nel caso del contrario con la finale ascensione.

Altro incisivo intervento sullo spazio per noi esotico è l’attenzione cromatica, che popola sempre il film, probabilmente anche con significati simbolici o di predisposizione emotiva, a volte indulgendo facilmente al calligrafico con le cartoline mozzafiato sul Lago Aral ed i suoi colori da incanto, compensate dalle rovine che talvolta occhieggiano tra le vestigia di un passato, anche cinematograficamente molto importante: i campi lunghi debitori alle stampe coloratissime dell’Asia Centrale per la loro incisività cromatica sono imparentati con quelli dell’armeno Parazdanov, mentre le trovate divertenti (ad esempio quella del dottore fulminato mentre raccoglie un fiore) sembrano davvero sorgere dal catalogo di Kusturica, al quale sono debitori anche le torme di personaggi incrociati per le strade polverose della zona compresa tra Samarcanda e Tashkent: sbandati militari, bari incongruamente ritrovati sul treno dopo averli conosciuti su un ambulanza, piloti trafficanti, mafiosi che sbagliano camera e riempino di botte senza spiegazioni, commercianti su barche, come già avveniva nell’ultimo film di Kusturica.

Un aspetto interessante in questo senso e che può gettare luce anche sulla voglia di scardinare le strutture del racconto classico cinematografico anche del regista di Sarajevo si può cogliere nell’interruzione degli spettacoli "visitati" dalla furia di Papa Luna e Nasreddin: ovunque esplode un happening che distrugge il testo rappresentato, lo investe come un turbine, quasi un situazionismo delle recite provinciali di compagnie di giro sgangherate, mentre si lascia ampio spazio alle canzoni spensierate del gruppo "Il Raccolto" di Mamlakat (vestita con un costume da zucca che aggiunge surrealtà all’esotico). È come se Khoudojnazarov volesse spazzare via quelle rappresentazioni ingessate e lontane dal gusto tagiko e uzbeko per sostituire quella gioia di vivere esplosa in Gatto nero gatto bianco, ma presente anche nelle diavolerie volanti di Arizona Dream, il cui spirito surreale è presente qui nel capitombolo notturno giù dal dirupo che sostituisce ai sospiri delle solite storie d’amore un lungo testo di tipo teatrale; un dialogo che ricorda, con minore cupezza, l’incontro nel bosco di Pola X.

Il feto assume da subito un tono autoriale, quasi mistico, in cui si specchia probabilmente il regista, poiché gli interventi coincidono con gli snodi del film, pilotandoli e commentandoli da un piano esterno alla vicenda, mantenendosi al suo interno. Il suo ruolo, a ben vedere inverso a quello riservato ai nascituri di Cider House Rules, alla mercé del mondo anche dopo la nascita, è dapprima metafisico perché comincia già ad annunciarsi prima ancora del concepimento e come possiede la prima parola del film si arroga anche il diritto di chiosare nel finale che riprende classicamente ad anello con la prima immagine dei cavalli al galoppo; la sua è una bella frustata nichilista a commento di tutto il film: "Un bel rifiuto della gente".