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Louss - Roses de sable
Anno: 1989
Regista: Mohamed Rachid Benhadj;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Algeria;
Data inserimento nel database: 22-09-1999


Louss - Roses de sable




Al paesaggio desertico che appare di per sé incantato si somma il carattere leggendario dello spunto, il cui significato però riporta alle terrene miserie: il racconto che ci conduce presso la comunità dove si dipana la vita narrata nel film tramanda l'esistenza di un uccello bianco che recava su un'ala la ricchezza e sull'altra la povertà, fu inviato per portare la prima, ma si sbagliò e scaricò la sofferenza.

Il prologo è un antico sistema per accedere a storie esotiche, in questo caso si prolunga nella casa dove Moussa non si sveglia, pare morto; ed invece si rivela sensibilissimo, attento e sollecito verso la sorella, ma è gobbo senza una gamba e privo di braccia. In mezzo al deserto non è il modo più adatto per sopravvivere. La solidarietà dei vicini si esprime attraverso Rachid, innamorato non dichiarato della sorella che lavora in città e per raggiungerla ogni mattina si sobbarca un viaggio con uno sgangherato taxi collettivo. Quello che colpisce oltre al paesaggio fotografato in modo incantevole è il lento scorrere del film sulle dune senza che capiti nulla di significativo, pur non incidendo sull'attenzione dello spettatore chiamato a cogliere il più piccolo dettaglio.

Ad esempio la cura che infonde Moussa nella cura di una piantina di rosa annaffiata amorevolmente usando con ammirevole abilità i piedi o i lunghi percorsi da casa alla pista da cui passa il taxi: scorrono perché fungono da momento transitorio di meditazione tra una minimale narrazione e l'altra, sempre verbale e evocativa comunque di un predisposizione al mito, quello è molto più reale della vita. Infatti il vero evento è con precisione millimetrica documentato, fotografato in serie di inquadrature dell'oasi, ricercando i tagli dell'inquadratura che possano catalizzare l'attenzione, in modo che non sfugga il messaggio: primi piani carichi di significato catturano le espressioni dei bambini, mentre il maestro della scuola coranica narra le vicende di Noè, ma sono distratti, disinteressati; il mito non attira più e Moussa ne chiede ragione al maestro che spiega: "Sono vecchio e non so più raccontare, perciò ai ragazzi non interessa più nemmeno la storia di Noè". Non è un caso che il montaggio preveda a questo punto un intrusione degli sporadici spezzoni di vita di fabbrica della sorella: la fine delle grandi narrazioni coincide con l'assenza di fantasia, che Benhadj attribuisce anche alla mancanza dei grandi spazi negati dalla fabbrica, ma non solo: ciò che manca è la capacità di "saper trasformare". Un breve apologo a questo proposito trova spazio quando ad un bimbo della scuola coranica sfugge un baffo di inchiostro sulla sua tavoletta, il maestro interviene modificando lievemente la macchia e producendo un carattere nuovo, commentando: "Il male si può trasformare in bene, basta sognare".


Come dice una battuta la sabbia fa parte della loro vita ed è punteggiata di struggenti momenti di sensibilità e quotidianità ritmata dalla musica di Moussa che scatena microsequenze di ricordo della loro infanzia, tutto ciò riconduce al fiore del titolo curato da Moussa; la solitudine si fa opprimente nel momento in cui Zineb si ammala e Moussa rimane solo. La malattia polmonare della sorella si manifesta con colpi di tosse nel deserto e viene risolta narrativamente senza specificarne la gravità, sostituendo le spiegazioni con emanazioni del deserto, che si possono intendere come lo spirito di lei stessa bambina che vaga tra le dune, la vediamo in lontananza assistere ai suoi quotidiani passaggi e si avvicina soltanto nel momento in cui arreca il suo conforto alla giovane donna nelle convulsioni dei colpi di tosse. Procedendo nel film la commistione di presente passato e futuro affascina in un unico tempo lunghissimo come il paesaggio: bellissima la coincidenza a questo punto di tempo e spazio, che prelude alla rivelazione finale. Il maestro racconta la storia della farfalla a cui si staccò l'ala, dalla quale sorse un roseto che poi diede vita a farfalle in un ciclo continuo. Quello raccontato dal film che si chiude con un bellissimo tramonto sulla rosa, mentre sotto gli occhi di Moussa nasce una farfalla, colorata su pellicola e svolazzante vezzosa e lontano come la sua amata Meryen, che se ne va sposa dopo che lui la corteggiò senza speranze al modo di Cyrano, inventandosi uno spasimante che le scrive lettere infuocate e spedisce regali.