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Lolita
Anno: 1997
Regista: Adrian Lyne;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: Francia; USA;
Data inserimento nel database: 19-01-1998


Lolita (id.), di Adrian Lyne. Sceneggiatura, Stephen Schiff, dal romanzo di Vladimir Nabokov. Fotografia, Howard Atherton. Musiche, Ennio Morricone. Cast: Jeremy Irons (Humbert Humbert), Melanie Griffith (Charlotte Haze), Frank Langella (Clare Quilty), Dominique Swain (Lolita), Suzanne Shepherd (Miss Pratt), Keith Reddin (Reverend Rigger), Erin J. Dean (Mona). Usa/Francia, 1997. Dur.: 2h e 13'.

Remake? Assolutamente no. E sicuramente è meglio così. Molto meglio non correre mai rischi in un confronto con Stanley Kubrick: si rischierebbe di rimanerne bruciati. Lolita di Adrian Lyne (al suo attivo Nove settimane e mezzo, Attrazione fatale ed il pessimo Proposta indecente) è proprio un altro film. Poca attinenza con l'illustre predecessore, dove il genio di Kubrick si era servito della sceneggiatura dello stesso Nabokov (che era riuscito nell'improbo compito di adattare il proprio romanzo) per farne un film personale e riuscitissimo sull'ossessione insita nell'americanismo, sul concetto di doppio, sull'autodistruzione umana... Quella di Lyne è essenzialmente, e molto semplicemente, una storia d'amore squilibrata, dove non si fa fatica a riconoscere, ribaltando un po' quello che la cronaca degli ultimi tempi ci ha propinato, catodicamente e cartaceamente, chi è la vittima e chi il vessatore. Aderente quasi filologicamente al romanzo da cui è tratta, la narrazione muove i suoi passi con sapiente gusto tautologico, al punto di arrivare nello stesso punto da cui era partita, dipanandosi all'interno della storia grazie ad un flashback che prende le mosse dagli ultimi momenti di un professor Humbert Humbert zigzagante, sconfortato ma soddisfatto per la realizzata vendetta. La circolarità come simbolo dell'impossibilità esistenziale di trovare vie di fuga alle proprie passioni. Ma Kubrick è lontano, soprattutto per le scelte di realizzazione: Claire Quilty, l'uomo che porta via Lolita ad Humbert, non è un personaggio caratterizzato a tutto tondo ma una figura evocata da un'aura di minaccia mai completamente svelata (alla cui definizione contribuisce una fotografia che, grazie ad un abile gioco di chiariscuri, mira a tenere il personaggio in una dimensione di semi-anonimato), orfana di quel grande Peter Sellers che per lunghi tratti aveva cancellato anche la figura di James Mason nel film del '62. E poi lei, Dolores detta Lolita, perno centrale della pellicola sui cui convergono, come una raggiera, tutti gli sguardi di Humbert; figura molto più centrale rispetto alle scelte kubrickiane, ninfetta maliziosa senza più lecca-lecca ma con apparecchio per denti, più acerba e demoniaca di Sue Lyon ma altrettanto devastante, meno innocente e più consapevolmente provocante. Lyne non è interessato a nessun altro tema che non sia quello del fascino provocatorio, della seduzione che distrugge, ed è in questo che è lontano da Kubrick. Ma è un altro film, si diceva, ed il fatto che questo non sia un capolavoro non implica assolutamente che il risultato complessivo non sia da apprezzare.