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Le regole della casa del sidro
Anno: 1999
Regista: Lasse Hallstrom;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 18-03-2000


The Cider House Rules

CAST

Homer Wells.................. TOBEY MAGUIRE
Candy........................ CHARLIZE THERON
Dr. Larch.................... MICHAEL CAINE
Mr. Rose..................... DELROY LINDO
Wally........................ PAUL RUDD
Peaches...................... HEAVY D
Muddy........................ K. TODD FREEMAN
Rose Rose.................... ERYKAH BADU
Nurse Edna................... JANE ALEXANDER

La regia è affidata a LASSE HALLSTRÖM (My Life as a Dog e What's Eating Gilbert Grape?), da un adattamento dalla novella (Bompiani) di JOHN IRVING , che ne ha ricavato lui stesso la sceneggiatura (già sceneggiatore di Hotel New Hampshire), per la produzione di RICHARD GLADSTEIN (Pulp Fiction, Hurlyburly), avvalendosi della co-produzione di Leslie Holleran e Alan Blomquist (What Dreams May Come, Spawn, A Little Princess, Beautiful Girls, Of Mice & Men). La fotografia è curata da OLIVER STAPLETON (The Object of my Affection, One Fine Day, The Hi-Lo Country), mentre delle scenografie si è occupato S. DAVID GROPMAN (One Fine Day, Once Around, A Civil Action); i costumi sono responsabilità di RENEE KALFUS (Snow Falling on Cedars, Addicted to Love, Dead Man Walking, What's Eating Gilbert Grape?). Come spesso accade il montaggio è appannaggio di una donna, LISA CHURGIN (Gattaca, Dead Man Walking, Unstrung Heroes, Reality Bites, Bob Roberts).


produzione ............. MIRAMAX
distribuito da ............... KEYFILM
durata ..................... 2 h 10'

Più che rules, la parola chiave viene insinuata dalla voce off all'inizio: choice. "Prendere la decisione di scendere dal treno è facile perché dipende da un'altra decisione, che sta a monte: se tenere il proprio bambino o no". Due alternative secche, due treni (uno all'inizio e uno alla fine), un unico dilemma, rappresentato dalla vita. Una scelta che viene accentuata dal dramma ulteriormente raddoppiato dall'inserzione del tema dell'aborto all'interno di un orfanotrofio, evitando moralismi.

Didattica

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"Whether I shall turn out to be the hero of my own life, or whether that station will be held by someone else, these pages must show". Così scrive Dickens nel suo David Copperfield e il film ricalca le orme dello scrittore vittoriano, ponendo al centro la consapevolezza del proprio ruolo, desunta dalla formazione ricevuta. Infatti tra le tante parole chiave e frasi ribadite spicca: "What business are you in?", ripetuta da Mr.Rose, il capo squadra dei raccoglitori di mele quasi a sfidare l'interlocutore in una introspezione traumatica, come tutta l'educazione classica britannica prevede.
Nel film la formazione trova espressione in due figure di maestri apparentemente antitetici, l'uno dedito alla medicina, l'altro analfabeta, negro, inquadrato in una dimensione naturale, quasi selvaggia, addirittura incestuoso; in realtà entrambi nascondono aspetti comuni: sono affetti da vizi, perché il dottor Larch fa smodato uso di etere e procura aborti, dunque si propongono come esempi in certi ambiti, ma non virtuosi in ogni sfera dell'esistenza; ambedue poi si applicano come demiurghi alla creazione di un uomo, che sarà davvero tale solo dopo la scomparsa di entrambi. Per tutti e due risulta fondamentale rendersi utili nella società in cui si è inseriti e questo si collega direttamente agli intenti educativi dickensiani; utile diventa un altro dei tormentoni del film. Ciò che li differenzia è che la preparazione dell'uno, quello il cui ruolo è più prestigioso per la società occidentale, otterrà di forgiare il proprio sostituto che assicurerà la perpetuazione dell'impegno, l'altro avrà instillata "soltanto" la conoscenza (proto-maoista) della fatica di un mestiere, della stanchezza e dell'abilità del lavoro manuale e della capacità di rendere solidale una comunità di lavoratori. Non a caso la permanenza di Homer alla casa del sidro dura una duplice stagione: la prima, quasi spensierata, serve per acquisire capacità, la seconda per applicare, completare e dare luogo al distacco e dedicarsi alla missione per cui si è stati forgiati.

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La centralità del bildungsroman nella concezione del racconto è evidente fin dal titolo, dove compare una delle parole ricorrenti: rules (regole). Normative e precetti, insegnamenti e suggerimenti contribuiscono a dare forma al testo, perciò anche il linguaggio del film si sforza di esplicitare il concetto focale del lavoro di Irving: mostrare il sottile lavorio delle differenze che intercorrono tra canone e prassi, dogma e buon senso, prescrizione e abitudine, metodo e applicazione, sistema e suo rifiuto. Infatti tra la maniacale riproposta degli stilemi più classici del racconto edificante, che viene richiamato in ogni dettaglio conferendo un riferimento omogeneo che non disorienti lo spettatore da blandire, s'insinuano momenti di trasgressione alle regole del polpettone realista che sono il corrispondente tecnico del falò delle norme interne alla casa del sidro disattendendo momentaneamente i dettami della traduzione cinematografica del classico romanzo popolare. Addirittura la rieditazione di situazioni, la ripetizione uguale di battute ricorrenti diventa ossessiva insistenza volta ad imporre allo spettatore l'estraniazione dal processo di immedesimazione emotiva, indispensabile per sortire l'effetto ricercato dal romanzo vittoriano, con lo scopo di farci prendere coscienza del sistema di norme a cui ci sottoponiamo nella fruizione del film e lo persegue per rendere evidenti le regole che il film s'impone (accennare all'argomento, riprenderlo dopo l'esemplificazione, mettere in pratica l'insegnamento imparato, interpretarlo personalmente alludendo ad una crescita rispetto alla situazione iniziale sono tutte tappe della vicenda edificante che hanno un corrispondente linguistico che regola l'intera gamma espressiva del film) in modo da gettare luce sull'atteggiamento verso le disposizioni in generale a cui ci sottoponiamo: un richiamo ad un livello di consapevolezza superiore, che rischierebbe di vanificare il lavoro egregio di riproduzione del classico testo formativo di ottimi sentimenti, se non emergesse soltanto a sprazzi non inficiando così il godimento del risaputo dipanarsi delle situazioni classicissime.
Perciò ai dialoghi prolettici (la sottolineatura della frase: "Di quanti mesi sei?", ripescata in un anello che ribadisce la circolarità dell'impianto filmico, è solo un esempio tra i mille possibili), preparatori di tutte le problematiche che trovano gradualmente risoluzione durante lo scorrere degli eventi, si aggiungono rituali del cinema edificante come la voce off che accompagna tranquillizzante, trovando però quasi impercettibili trasgressioni: ad esempio nell'epilogo la stessa voce off che ci ha accompagnato s'impegna in un brano, rivelato poi come tratto dal libro che leggeva Larch sostituito nell'inquadratura da Homer, il nuovo lettore, così ci rendiamo conto che attribuivamo a causa del ruolo la stessa cullante voce ai due protagonisti sancendo il rimpiazzo. La sostituzione in corso d'opera non è ortodossa, ma qui svolge due funzioni: quella di perpetuare la rilettura delle narrazioni esemplari e di prendersi qualche libertà dalle costrizioni delle procedure.

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Ciclicità

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La circolarità è caratteristica fondamentale della mitopoiesi a scopi istruttivi: qui si esprime attraverso ricorsività di parole chiave e battute, che rimarcano la destinalità trovando la sua rappresentazione iconografica nel treno. A parte la forte capacità evocativa del mezzo, subentra qui sia il commento fuori campo, sia il collegamento tra inizio e fine del film realizzato con una precisa simmetria che esagera la ciclicità con un movimento uguale e contrario sul treno che arriva alla stazione di St.Cloud's nel Maine nel marzo 1943 accompagnato da una dolce plongée sommata alla voce che ci introduce nella vicenda scivolando a terra in un movimento opposto a quello che accoglie il ritorno di Homer nell'epilogo, iniziato dal basso per poi alzarsi a seguire il percorso verso l'orfanotrofio.
É una prima conclusione di un anello, quello legato alle scelte dilanianti, ma contrariamente all'iconografia non finisce, indulgendo nella descrizione minuziosa di tutte le tappe volute dal pubblico più sensibile, che si bea di seguire il giovane in ogni situazione di totale adesione al ruolo del maestro per certificare la sicurezza della ricorsività eternante e gioca così con il gusto del pubblico, costretto a confrontarsi con il proprio bisogno di venire rassicurato che il corso delle vicende seguono proprio il disegno voluto dal maestro-demiurgo. Si concluderà soltanto con il raccordo alla funzione di narratore di Larch, che termina l'arco narrativo raddoppiato sullo schermo dalle ricorrenti letture. Questa soglia metalinguistica più volte sfiorata trova altri momenti di espressione, quando con le proiezioni interne all'orfanotrofio s'inaugura un nuovo sistema di riferimenti che circuitano nell'ambito esplicitamente cinematografico: King Kong replicato all'inverosimile - ripetendo persino le interruzioni incidentali nelle medesime giunzioni - diventa simbolo di un testo metafora della vita, aperto a tutte le interpretazioni (la bella è vissuta come propria madre dalla bestia nella lettura data dagli orfani) e si colloca nel capitolo che comprende sotto un altro aspetto della formazione di Homer l'esperienza al drive inn e il confronto con l'unico altro film da lui visto.
La struttura fatta di incisi ad anello si adatta al bisogno di procedere per enunciati che introducono capitoli diversi in connessione con gli argomenti legati alla condizione di orfani ("Vorresti conoscere i tuoi genitori?") o la diatriba sull'aborto, che viene messa tra parentesi dalla riduzione cinematografica, maggiormente interessata a temperare l'integralismo di Homer ("Felice di essere vivo in ogni circostanza") che le vicissitudini portano a capire la scelta di Rose e praticare lui stesso l'interruzione di gravidanza: anche in questo caso si chiude l'argomento che era stato introdotto con l'apparizione di Candy, proseguito con la ragazza morta di uncinetto e concluso con la crescita del protagonista, finalemnte liberato da retaggi di scelte subite.

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Monadi

La funzione del cinema è anche quella di catalizzare la condizione di extraterritorialità dei due mondi agiti da Homer, accomunandoli attraverso lo schermo cinematografico, che a St.Cloud cerca nella fantasia criteri di realtà con cui interpretare il mondo - vissuto come entità estranea e nemica ("Il mondo ce lo ha portato via" dice Larch della partenza di Homer, per lui "ancora bambino" e per Fazi, il tisico destinato a prematura morte, "troppo grande") - e nel microcosmo regolato dalle mele e dalle aragoste inventa una forma di extraterritorialità segnata dal bisogno di evadere da inadatti e insensati doveri: regole assurde che non "significano" niente e non valgono perché imposte dall'esterno (come quelle emanate dal consiglio direttivo dell'orfanotrofio), da chi non frequenta gli ambienti cortocircuitanti in loro stessi - di nuovo la circolarità claustrofobica impone la propria legge. "Noi dobbiamo scriverci le nostre regole: ce le facciamo giorno dopo giorno" e magari con quel gesto di sfida ci si può emancipare dall'ignoranza, dall'analfabetismo, dalla violenza dell'incesto: atti che richiedono di disattendere le leggi, perché "a volte bisogna violare le regole per rimediare", dice Mr.Rose.
Sono dunque due mondi messi in relazione soltanto dal cinema, luogo principe per "aspettare e vedere", unica presenza comune ai due universi autonomi e autoconchiusi. L'altro momento di contatto è lo scambio epistolare descritto senza soluzione di continuità in una raffica di missive lette come se si trattasse di un dialogo svolto in un'unita spaziale, nonostante la distanza anche temporale azzerata dal montaggio incalzante, che crea un bell'effetto di condivisione. Il resto del plot si gioca sulla reciprocità e la specularità di luoghi, situazioni e personaggi che agiscono i due spazi.

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Reciprocità

La reciprocità delle relazioni e la duplicazione come in uno specchio delle personalità che vivono nei due mondi è illustrata per immagini dalla bellissima doppia carrellata in controcampo che vede da una parte i bambini impegnati a manifestare la loro natura migliore per essere scelti dai due potenziali genitori che dall'altro lato sono a loro volta oggetto di studio con effetto molto dinamico e finale irrevocabile scomparsa della prescelta - salutata non a caso allo stesso modo in cui si commemorano i morti: "Ha trovato una famiglia, dunque buonanotte", come in una favola a lieto fine - fagocitata da un mondo non documentato dal film, alieno, sconosciuto e anche un po' inquietante rispetto al familiare mondo dell'orfanotrofio nel quale vive la ragazzina smunta e pallida, contraltare della florida e colorata Candy, costretta a scegliere un'esistenza da infermiera di Wally nel limbo della casa del sidro, come i ragazzini vivono un'esistenza sospesa nel limbo dell'orfanotrofio. Mondi marginali che ricalcano il mondo vero, mostrando soltanto in certi particolari quanto di fittizio si è voluto inserire per lasciare una sensazione di artificioso e romanzesco al racconto, come l'acconciatura e il trucco di Charlize, trasformata in tipica donna degli anni '40 o la faccia da tomino scelta per Homer, che forse avrebbe ottenuto maggiore giustizia dall'interpretazione di qualcuno che si avvicinasse di più all'enigmaticità della sua figura (ad esempio un epigono di Bruno S. ci sarebbe stato benissimo).