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Le fate ignoranti Anno: 2001 Regista: Ferzan Ozpetek; Autore Recensione: Federica Arnolfo Provenienza: Italia; Data inserimento nel database: 17-03-2001
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Le fate ignoranti
Di Ferzan Ozpetek
Parlare d'amore oggi al cinema è difficilissimo, e rappresenta per il
regista che decide di affrontare questo tema un rischio non da poco. Non tanto,
o non soltanto, perché sul tema ormai è stato detto tutto, ma
soprattutto perché è quasi impossibile riuscire a non cadere nel
banale, nel retorico, nel melenso. Come già ebbe a scrivere qualche anno
fa Stephen King nel quarto capitolo della sua saga infinita "La torre nera",
"il vero amore è noioso (...) salvo naturalmente per coloro che
si baciano, che si scambiano le carezze...".
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In questa stagione cinematografica due registi sono riusciti nell'impresa,
riuscendo non solo a non essere banali, noiosi, retorici, melensi, ma regalandoci
due film splendidi: Wong Kar Wai con "In the Mood for Love" e Ferzan
Ozpetek con "Le fate ignoranti".
Quello di Ozpetek, di cui vogliamo occuparci ora, è a parere di chi scrive
un piccolo miracolo, in una Italia cinematografica dove spesso anche il racconto
dalle premesse più interessanti finisce per tradursi, sullo schermo,
in un condensato di facili carinerie e consolanti quanto inutilissime conclusioni.
L'autore ha l'intelligenza ed il coraggio, nel narrare la sua storia, di mettere
in secondo piano i suoi personaggi e di lasciar parlare gli oggetti, con le
sensazioni che suscitano ed il valore, spesso solo illusorio, che gli si assegna.
Un quadro porta Antonia a scoprire cose del marito che mai avrebbe sospettato:
non tanto il tradimento, quanto il bisogno di una vita diversa, aperta, in perfetta
e speculare antitesi con il chiuso della loro bella villa ("mio marito
non aveva solo un amante, aveva un mondo intero"). Un libro porta Michele
a capire che l'amore è spesso frutto di una nostra proiezione, di un
nostro desiderio (il momento in cui scopre che non era Massimo ad amare lo stesso
poeta che amava lui, ma Antonia, è uno dei più alti del film).
Una catenina porta Antonia a comprendere cose della madre che forse mai aveva
immaginato. Un bicchiere che non si rompe porta a pensare che, in un futuro
più o meno vicino, i protagonisti di questa storia fatta di parole non
dette, di sensazioni mai lasciate uscire allo scoperto, di convenzioni e convinzioni
che prendono il sopravvento sui sentimenti riusciranno ad uscire dal loro guscio
e ad incontrarsi a metà strada. Ozpetek non cade nel trabocchetto di
rappresentare il gay come l'anticonvenzionale per eccellenza, ma ne fa anzi
un uomo rigidamente chiuso nelle sue convenzioni e nelle sue abitudini, incapace
- proprio lui - di accettare che possa esistere qualcosa di "diverso",
di altro (nota di altissimo merito nell'essere riuscito a fare recitare in modo
a tratti straordinario uno degli attori più inespressivi del panorama
italiano). Tutto questo sullo sfondo di una Roma quasi irriconoscibile, fatta
di porte aperte, di vicini che si aiutano l'un l'altro costituendo delle vere
famiglie, ancora di stabilità in un mondo che mai è davvero quello
che sembra.
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