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Le cose che non ti ho mai detto Anno: 1996 Regista: Isabel Coixet; Autore Recensione: Giampiero Frasca Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 05-11-1997
Le cose che non ti ho mai detto, di Isabel Coixet. Con
Lily Taylor, Andrew McCarthy. Usa 1996. Dur: 1h 30'.
Storie di coppie scoppiate in un mondo che pare non
comprenderle, una cittadina dell'Oregon piovosa e buia come
le esistenze dei suoi abitanti, rapporti che si spezzano per
poi ricomporsi da un continente all'altro senza però
lasciare tanto scampo alla speranza e la gioia. È
questa la concezione dell'amore per Isabel Coixet, catalana,
giunta negli Stati Uniti per narrare questa storia di
delusioni, incomprensioni, riappacificazioni, speranze,
frustrazioni, scomparse, sogni, fantasticherie e lieto fine
(ma sarà poi vero?). Un ragazzo e una ragazza, due
esistenze diverse ma non divergenti. Ann (Lily Taylor),
commessa in un negozio di materiale fotografico, va in crisi
quando viene lasciata dal suo ragazzo, momentaneamente a
Praga. Beve una cospicua sorsata di acetone, è
ricoverata in ospedale dove una piacevole lavanda gastrica
le salva la vita ma certo non gliela apre a nuove gioie e
godimenti. Sembra quasi che il contenuto della mefitica
bottiglietta si sia trasferito a livello psicologico
nell'esistenza di Ann, sempre più in preda a crisi
depressive ed angosce incomprimibili. Don (Andrew McCarthy),
turbato dal coma della propria madre, è un agente
immobiliare che si lascia vivere, permettendo indolentemente
che tutte le giornate siano uguali alle altre e
fantasticando sulla vita sentimentale dei clienti cui vende
le abitazioni, cercando di colmare almeno a livello ideale
quel vuoto affettivo che sente internamente. Come se non
bastasse, Don, nonostante tutta la sua angoscia, è
una delle voci del telefono amico Hope line, e si trova
così a dover confortare persone senza essere
portatore di un'autentica gioia di vivere. I due
inevitabilmente, e casualmente, si conoscono si frequentano
si attraggono si accoppiano, ma mentre in Don il sentimento
s'insinua resistendo, Ann presto non ne vuole più
sapere, persa com'è dietro i suoi pensieri turbamenti
ricordi speranze. L'amore come disillusione nella
concretezza della vita vissuta: "L'amore è la prova
che Dio ha il senso dell'umorismo" è la frase in uno
dei cartelli che compaiano come intermezzo (godardiano?)
all'interno della narrazione, piccoli commenti che l'istanza
narrante dissemina per illustrare ironicamente lo stato
d'animo dei personaggi. Il racconto della vicenda procede
per piccoli particolari, situazioni emblematiche. Un tono
minimalista che ha il suo referente nel modo di produzione
americano di film indipendenti, nello stile diventato quasi
un marchio di fabbrica. Ma nel suo film la Coixet dà
la netta impressione di seguire una moda, di cercare di
affiancarsi a degli stilemi ormai assodati e di sicuro
impatto non per un'esigenza di narrazione ma per dotare la
propria pellicola di una certa legittimità. Trovate
come l'inquadratura frammentata al suo interno senza
cambiare il punto di ripresa (quello che in gergo si chiama
Jump cut), o il noioso ed insignificante passare del tempo
sottolineato da differenti condizioni luministiche mentre il
personaggio in crisi è sempre immobile, danno
più che altro la sensazione di aver già visto
il film parecchie volte, forse troppe per dare qualche
merito d'originalità alla regista catalana. Anche
tematicamente il lavoro è un tremendo patchwork di
luoghi comuni sulle crisi derivanti dai sentimenti non
corrisposti, sull'incomunicabilità che, nell'era
moderna, può solo passare attraverso grandi ed
impersonali mezzi di comunicazione (telefono, televisione,
videocassette autoriprese), sulla vita in una città
di provincia che non offre altro svago che i propri
turbamenti. La gratuità di certe scene poi fa il
resto: tentativo di arricchire la materia drammatica o
intermezzo ironico? Sinceramente non mi interessa.
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