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Regia, soggetto e sceneggiatura: Don McKellar
Fotografia: Douglas Koch
Suono: John L.Thompson, Steve Munro, Paul Shape
Montaggio: Reginald Harkema
Interpreti: Don McKellar, Sandra Oh, Callum Keith Rennie, Sarah Polley, David Cronenberg, Tracy Wright, Geneviève Bujold
Produzione: Rhombus Media Inc., 489 King Street West, 102 Toronto, Ontario, M5V 1L3 Canada, tel. 1-416-9717856; Haut et Court Production, 38 rue des Martyrs, 75009 Paris, France, tel. 33-1-55312728
Distribuzione: Mikado
Formato: 35 mm.
Provenienza: Canada-France
Anno: 1998 Durata: 94'

Da un lato si avverte subito la sensazione che sta avvenendo qualcosa di definitivo: una homeless, o quel che ne rimane sotto la maschera del "memento mori" (quanto mai pertinente e inquietante), non fa footing, nonostante l'abbigliamento, ma scandisce ore e minuti. Una comunità in Toronto sfrenata, impegnata ad abbattere i monumenti, ma la gente si diverte a vedere la fine del mondo poco più che durante un qualunque capodanno che non si spinge oltre il rovesciamento di auto e pullman; non c'è tensione, piuttosto si individuano le diverse sfaccettature della rassegnazione: non è solo la fine dell'anno che si sta avvicinando, ma l'estinzione del mondo. Infatti, trasposto su un versante opposto al millenarismo, l'evento stesso si stempera: "In fondo nessuno ha visto l'inizio, ma noi abbiamo il privilegio di vedere la fine"; notiamo l'intento di alcune sequenze, volte a restituirci la sensazione di quotidianità, come se la fine del mondo ci toccasse ogni giorno un po' nel disbrigo di quelle azioni ripetitive, che proprio per la loro inesorabile periodicità ci risultano consolatorie e quindi possono avere su alcuni valore cauterizzante e per altri invece una funzione di stimolo a disattenderle: sfuggirvi. Il dilemma è poi tutto qui: mutare almeno alla fine l'indolente tendenza umana a lasciar fare al destino, oppure tentare di perpetuare l'ipocrisia fino alla fine (come la famiglia raccolta, come in un falso Natale, attorno ai video della ricorrenza festeggiata negli anni precedenti e con gli stessi ricatti morali: When you go home at midnight, alone, you'll remember that your parents weren't so bad), durante la quale è resa palpabile l'insensatezza dei doni e si coglie l'indifferenza con cui Patrick (Wheeler) osserva gli oggetti che riassumono la sua esistenza, o per lo meno la considerazione di questa da parte di sua madre, specchiata in quello scatolone, trascinato con fastidio fino a casa, contenitore e testimone della pochezza della vita e di ciò che rimane (soprattutto quando non si ha più l'amatissima Karen). Eppure continuano pervicacemente ad emergere dall'intreccio frammenti insignificanti di vita, simboleggiati da oggetti altrettanto banali, emersi e lasciati a galleggiare come isole nella corrente a dimostrare la loro insignificanza: una scelta di sceneggiatura apprezzabile rispetto agli effetti che si sarebbero potuti scatenare o alle situazioni commoventi e alle tirate retorico-filosofiche che avrebbe potuto ispirare la situazione.

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Last Night
Anno: 1998
Regista: Don McKellar;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Canada;
Data inserimento nel database: 30-11-1998


Last Night
Visto al

      Last Night

Da come viene tratteggiata la figura di Patrick, privilegiata rispetto agli altri personaggi, si direbbe che egli rappresenti il punto di vista condiviso dagli autori: un solipsismo spiegato dalla totalizzante presenza di un lutto non ancora elaborato, capace di arrecare una pena maggiore dell'imminente fine di ogni cosa. Forse proprio questo aspetto lo porta a condividere il dolore di Sandra, la ragazza asiatica: cioè l'altro individuo, che spicca per la determinazione a non omologarsi e che non viene coinvolta nel grande sabba della fine, perché avrebbe voluto condividere l'ultimo momento con il suo compagno; si scoprirà poi che quel momento intimo era ammantato di un'aura particolare per la scelta dignitosa di sfidare il fato e riappropriarsi della propria morte. Quella decisione che appartiene alla tradizione orientale si vedrà stemperata nella sequenza finale, dove l'istinto umano di sim-patia (nel senso originario di soffrire insieme, comprendendo ciò che si sta provando per condivisione) ha il sopravvento sulla decisione iniziale, che sarebbe stata drammaticamente più avvincente, poiché pone al centro ancora la supremazia della ragione, ma forse, paradossalmente, avrebbe trasmesso un senso di minore disperazione rispetto alla sequenza scelta, molto ben ripresa (e con un vago ricordo del finale di Matador di Almodovar) sul terrazzo con l'inesorabile sole che si avvicina…

Attorno a questo approccio si incastona un repertorio di molti altri atteggiamenti, che sono coronamento e conclusione logica di esistenze trascorse con coerenza: Craig Zwiller, il compagno del protagonista aveva lo spirito del collezionista (lo documenta l'episodio dell'auto in prestito alla giovane ancora disperatamente tesa a trovare il marito) e si è impegnato a stilare un elenco di esperienze sessuali da provare, eccezionale la sua vitale voglia di sconfiggere la paura e la fine con la curiosità, un atteggiamento che trova il suo apice nella volontà di condividere con l'amico il suo segreto, racchiuso sulle pareti del bagno: un eccezionale catalogo di perversioni e appetiti che coprono l'aspetto più propriamente istintivo, naturale, ma anche qui si avverte il bisogno di recuperare parti di occasioni sfuggite nel passato, evidente nell'episodio dell'insegnante di francese Genevieve Bujold, in un ruolo cameo, che forse più di altri svolge il compito di angelo consolatore che trascorre da uno all'altro dei giovani offrendo uno dei propri sensi: al collezionista dona il suo corpo sfiorito, ma nel ricordo del giovane a lungo desiderato, al protagonista rilascia scampoli di condivisione spirituale, parlandogli in francese e riconoscendogli abilità e sensibilità particolari ("L'importante è provare a sognare"), al musicista Menzies dona la sua presenza al concerto nel momento clou. Si tratta sempre di occupazioni che eludono la grande ellittica presenza del cataclisma, che non può non occupare le menti, ma se non fosse elusa in mille modi costituirebbe un'attesa insostenibile: l'unico per cui non è un peso la solitudine e non ha bisogno di distrarsi è Wheeler-Craig, perché il suo mondo è già finito con Karen.

Quello che più si avvicina al suo approccio è il personaggio di Cronenberg: egli, solo per garantire agli altri la possibilità di un appiglio di normalità che distragga, rassicura l'intera città riguardo l'erogazione del gas ("Please be assured that we will do our utmost to keep the gas going until the very end"), tuttavia così facendo non fa che rendere ossessiva l'incombenza della fine; un intento ottenuto anche attraverso la serialità e la ripetitività delle situazioni.

Con Don McKellar si aggiunge una nuova poetica al già ricco panorama canadese: Egoyan, Cronenberg, …

L'idea originale di Last Night proviene da un'idea televisiva intitolata "2000, seen by...", che avrebbe dovuto esplorare scenari apocalittici nella visione di dieci diversi registi provenienti da dieci differenti paesi; tra questi Hal Hartley, Tsai Ming Liang ("Hole"), and Don McKellar.