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La stanza del figlio Anno: 2001 Regista: Nanni Moretti; Autore Recensione: Andrea Caramanna Provenienza: Italia; Data inserimento nel database: 10-03-2001
La stanza del figlio
La stanza del figlio
Regia: Nanni Moretti
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Linda Ferri, Heidrun Schleef
Fotografia: Giuseppe Lanci
Musica: Nicola Piovani
Montaggio: Esmeralda Calabria
Scenografia: Giancarlo Basili
Interpreti: Nanni Moretti, Laura Morante, Jasmine Trinca, Giuseppe Sanfelice,
Silvio Orlando, Stefano Accorsi, Claudio Della Seta
Produzione: Nanni Moretti, Angelo Barbagallo, per Sacher Film/Bac Films-Studio
Canal Plus/Rai Cinema/Tele +
Origine: Italia, 2001, 96 min.
$align="left"; include "image1.php3"; ?>Il diario intimo, l'introspezione
psicologica, sono elementi con i quali costruire l'autonomia di pensiero. Per
Nanni Moretti il cinema, girare e interpretare film, ha sempre coinciso con una
prassi di vita, che è politica e filosofica. Se tuttavia la politica
corrisponde a un pensiero che diventa facilmente norma, regola di condotta, per
la filosofia, ed in particolare l'esplorazione delle domande esistenziali è
molto più difficile fornire risposte sicure. La stanza del figlio è il primo
film di Moretti totalmente in ascolto, alla ricerca di segni per tentare una
minima decifrazione della misteriosa dimensione umana. E tutto il film ruota
intorno alla condizione-pensiero dello psicanalista Giovanni.
La prima sequenza già ci mostra una situazione abbastanza remissiva di
attenzione all'"esterno". Giovanni è seduto in un bar, poi un gruppo
di Hàre Krìshna (è già un segno di ideologia, posizione psicologica forte
dinanzi all'esistenza) attrae il suo interesse. Come in una sorta di ipnosi,
trascinato fuori dal bar, li segue, li avvicina, quasi che il gesto di
avvicinarsi corrisponda al raggiungimento di uno spazio più idoneo alla
scoperta di un dato segreto. Gli Hàre Krìshna continuano a cantare e ballare
gioiosi, poi la sequenza s'interrompe bruscamente, lo stesso gesto repentino
d'interpunzione che caratterizzerà l'intero film.
Il lavoro di Giovanni consiste nell'ascoltare i pazienti, ponendosi alle loro
spalle, per dare tutto il peso possibile alle sole parole e non farsi
condizionare dall'espressione dei volti. Spesso le reazioni dei suoi clienti
sono vivissime al punto da trasformarsi in collera, mentre lui ostenta completa
serenità.
Non cambia l'atteggiamento in famiglia. Insieme alla moglie lo vediamo
discretamente ascoltare la figlia Irene e il suo ragazzo che si trovano nel
salotto adiacente dell'abitazione. E perfino il riferimento ai luoghi – la
stanza del titolo denota l'universo particolare del figlio - è importante per
scorgere la disposizione adatta per ascoltare meglio e più a fondo. Come i
segni dei "malati" di mente si accumulano su quella specie di diario
di appunti, che diventa poi troppo intimo, così nella vita di Giovanni altri
segni fanno scattare la sua scrupolosa e vigile attenzione. Lo dimostra
l'esemplare episodio del misterioso furto – insieme alla successiva scoperta
del rapporto epistolare di Andrea con Arianna -, che altro non è che la
rivelazione dell'ottusità dei sensi, della loro sostanziale inefficacia. Ogni
deduzione sembra smarrirsi di fronte alle decine di possibilità tra le quali
s'insidia quella vera. Andrea ha davvero rubato il minerale?
La condizione di ascolto è messa a dura prova dall'evento trauma: la morte di
Andrea. È proprio in questo caso che diventa fatalmente rilevante la
disponibilità di Giovanni verso il mondo esterno, presumibilmente colpevole
perché dalla disponibilità in qualche modo è dipesa la morte del figlio. Ha
ascoltato un paziente, anzi peggio, è corso ad ascoltarlo, ma nel frattempo non
ha ascoltato altre voci, quella della moglie "devi proprio andare?",
voci che dopo il triste evento si ripresentano ossessivamente alla memoria
senza che egli possa (ri)costruirle razionalmente e decifrarle. Doveva andare
lo stesso a fare jogging con Andrea? O rimandare l'appuntamento al giorno dopo?
E tutto questo avrebbe cambiato il destino del figlio? Forse sì, forse no, non
lo sapremo mai.
L'elaborazione del lutto, a partire anche da uno scacco della condizione
puntigliosa d'ascolto descritta, rappresenta la maturità di un autore, oltre
che umana, cinematografica.
Intanto c'è un'assoluta concentrazione filmica sul dopo. L'evento drammatico
rimane nel fuori campo, semplicemente suggerito da un lievissimo movimento di
montaggio alternato.
La cerimonia funebre è, invece, descritta con numerosi dettagli. Prima la
terribile sosta al pronto soccorso, l'arrivo degli amici e parenti, una lunga
sequenza nella camera ardente in cui Andrea giace nella bara di fronte ai
familiari, il rito della chiusura del feretro, con quelle immagini-suoni delle
viti che sprofondano nel legno che rimangono scolpite e risuonano, un effetto
pregevole di raccordo, nell'inquadratura successiva che ritrae Giovanni già a
casa.
Dicevamo maturità. Certo a Moretti non interessa tanto la drammaturgia come
effetto anche spettacolare (nel senso più intelligente possibile o almeno
tragico). In effetti, il film prosegue, nella sua parte forse più difficile nel
tentare di tracciare i segni del caos. Era arduo farlo e probabilmente non si è
riusciti fino in fondo ad elaborare coralmente il lutto. Benché le prospettive
della moglie Paola e della figlia Irene siano delineate, la posizione di
Giovanni rimane fortemente centrale e confermativa della soluzione del film.
Come se in fondo i gesti della madre e della figlia non corrispondessero in
pieno a una risposta al dolore. O meglio quella di Giovanni è costruita meglio
poiché corrisponde più che ad un'evoluzione sentimentale del dolore a
un'operazione del pensiero che diventa atto di vita. Così la decisione di
abbandonare a tempo indefinito il lavoro, o le false piste della ricerca di una
risposta religiosa – la messa e quella frase del prete "Il padrone di casa
non sa quando verranno i ladri" lo irritano, ma lo sospingono
ineluttabilmente in una direzione precisa - o i dubbi per un incidente causato
dal malfunzionamento degli strumenti di immersione subacquea.
C'è una sequenza bellissima che sembra rimettere tutto in chiaro. Quella in cui
Giovanni si siede nella cucina e mangia un pezzo di pane e del formaggio (come
la Nutella). Forse da lì cambia tutto. Anche la sua diffidenza verso le
richieste della moglie a conoscere Arianna. La vita davvero non può esser
fermata, così i protagonisti della storia s'incamminano felici e sapienti verso
altre direzioni. Camminano insieme e separati in quel selciato bianco e
polveroso che è già l'arrivo di un singolare percorso di accompagnamento.
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