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La sottile linea rossa
Anno: 1998
Regista: Terrence Malick;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 22-02-1999


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La sottile linea rossa
Di Terrence Malick
Con Sean Penn, Adrien Brody, Ben Chaplin, James Caviezel, George Clooney, John Cusack; Woody Harrelson, Nick Nolte, John Travolta

Se la sottile linea rossa è quella che separa la vita dalla morte, la lucidità dalla follia, la realtà dall'illusione, Terrence Malick non ce la fa solo sentire, inquadratura dopo inquadratura, con immagini di una forza e di una bellezza quasi senza pari. Ce la fa anche vedere, in quei fili d'erba di quella natura selvaggia ed incontaminata, in quei fili d'erba dove i soldati trovano la morte, e qualche filo, qua e là, si tinge di rosso.

Quelli che vediamo sono i soldati americani della compagnia di fucilieri "C come Charlie" mandati a sostegno dei marines decimati dai giapponesi nell'isola di Guadalcanal, Oceano Pacifico, un'isola di grandissima importanza strategica sia dal punto di vista militare che geografico. La conquista di quest'isola da parte degli alleati sarà decisiva, insieme alla battaglia di Stalingrado, a quella di El Alamein e allo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, per il rovesciamento delle sorti del secondo conflitto mondiale. Hitler si ritira e si arrocca dietro il blindatissimo Vallo Atlantico, una linea di difesa che copre tutte le coste europee e che sarà possibile espugnare solo a prezzo di migliaia di vite umane: è il D-Day, il giorno dello sbarco in Normandia.

Fin qui la storia, e fin qui le similitudini con l'altro film di guerra pluri-nominato agli oscar, "Salvate il soldato Ryan" di Steven Spielberg, che racconta appunto le vicende degli alleati dopo lo sbarco in Normandia. Per il resto, i due film sono molto diversi, tanto nell'approccio quanto negli intenti: la sporca e brutta guerra cui ci mette di fronte Spielberg, l'atrocità cui ci fa partecipe soprattutto nei primi terribili 20 minuti del film, è tuttavia necessaria, perché senza il sacrificio di quelle migliaia di giovani, senza la morte dei tanti, troppi capitani Miller noi oggi non saremmo quello che siamo, uomini liberi in una terra libera. "Salvate il soldato Ryan" è un invito preciso a riflettere e a chiederci se ce lo siamo davvero meritato, quel bagno di sangue.
Niente può invece legittimare la morte assurda dei soldati del film di Malick. La guerra è inutile, la guerra non serve assolutamente a niente, la guerra è solo e sempre massacro fine a sé stesso generato dalla follia dell'uomo. La macchina da presa a mano segue i soldati, ne cattura la paura, la follia, l'agonia, il pianto, le preghiere. Un nichilismo totale e irrecuperabile che avvicina il film sicuramente più a pellicole come "Orizzonti di gloria", col quale condivide la dimensione a-temporale (potrebbe in fondo trattarsi di qualunque esercito in qualsiasi guerra, non ci sarebbe alcuna differenza) e il cinismo degli alti di grado più interessati alla carriera che non alle vite umane (il colonnello interpretato da Nick Nolte e' la copia sputata dei generali di Kubrick, dai quali prende in prestito anche taluni espressioni: dice il colonnello ad un certo punto che "veder morire soldati in combattimento alza il morale delle truppe". E chi l'ha dimenticato Broulard e la sua "Ci sono poche cose più incoraggianti e stimolanti che veder morire gli altri"?), o come "Apocalypse Now", col quale condivide l'introspezione psicologica.

"La sottile linea rossa" parla con immagini potenti, bellissime. L'erba alta, la natura selvaggia, gli aborigeni completamente estranei al conflitto che vivono in armonia con con gli elementi ci dicono tutto, assai più degli inutili, retorici e ridondanti pensieri dei soldati, assai più della banale e scontata metafora che contrappone l'amore alla morte nei ricordi di un soldato per la moglie. Le parole non servono, basta vedere un capitano che muore per aver strappato male la linguetta ad una bomba a mano, o il volto di un soldato giapponese completamente sepolto nella sabbia, o un uccello ferito che si dibatte sul terreno.

 

"What a view", aveva mormorato il capitano Miller in "Salvate il soldato Ryan" dopo il massacro dello sbarco a Omaha Beach, atterrito e stordito da quel mare tinto di rosso dal sangue di migliaia di soldati. "What a view", viene da dire alla fine di questo film, cui un maggiore silenzio e una minore retorica avrebbe sicuramente giovato. Ma nessuna bandiera sventola qui, neanche scolorita: non c'è niente da celebrare. I soldati salgono sulle navi militari, superstiti che andranno a morire da qualche altra parte persa nell'incubo della guerra.