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La Projection
Anno: 1999
Regista: Marie Jaoul de Poncheville;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Mali; Francia;
Data inserimento nel database: 01-04-2000


La Projection

La Projection

di Marie-Jaoul de Poncheville, Francia Mali, 1999, 26´

10° Festival Cinema Africano

Milano 24/30 marzo 2000
regia di .......................... Marie-Jaoul de Poncheville
soggetto di  ...................... Marie-Jaoul de Poncheville
fotografia di  .................... Jacques Besse
montaggio di  ..................... Nadia Ben Rachid
suono di  ......................... Bakary Sangaré
interpretato da Abderrahmane Sissako, Kandara Tounkara, 
Mohamed Sissako, Boubakar Traoré, Békaye Maiga,
Dah Agjé, Fofia Coulibaly, Mahamadou Dramé,
Sabou Gnouma, Tali Kimbiry, Lassana Kané,
Ba Noumou, Mamadou Camara, Mamadou Traoré prodotto da ....................... La Sept Arte, duo films, Dominant 7 distribuito da .................... Duo Films, 94, rue du Bac, 75007 Paris tel.: 331-42227735, fax: 331-42227874, e-mail: [email protected]

Un’altra bella operazione metalinguistica si assomma a quella più composita di Bye Bye Africa. In questo caso si ripercorrono i luoghi del film girato due anni fa da Sissako nell’ambito del progetto "2000 vu par…": interessante la scelta di proporre dapprima situazioni simili a quelle filmate in La vie sur terre (come il passaggio presso la radio, presenza costantemente ribadita nel film di Sissako, che curiosamente occupa le stesse bande (104.2 Mhz) della radio di La Nube di Solanas), che gradualmente evolvono o per una maggiore sfaccettatura di un aspetto del personaggio – e questo è il caso del telefonista che si perde in un contorto discorso su mittente e destinatario aggiungendo se possibile confusione comica alla situazione dell’originale con il commento finale affidato al raglio di un asino – , o per una situazione ripetuta uguale, ma proponendone un’analisi verbale (come sembrerebbe inevitabile per il tipo di operazione tentata): e questo è il caso dei sei giovani sfaccendati, che cadenzavano nel primo film le sequenze con i loro spostamenti alla oziosa ricerca dell’ombra fino ad assumere posizioni plastiche innaturali e ridicole, rasente ai muri quando il sole era allo zenit. Saranno pigri o scoraggiati? È l’occasione per svelare anche una frizione tra le generazioni, che sottende un’evoluzione dei rapporti familiari: in un caso il motivo della loro disoccupazione è legato alla pretesa della generazione precedente di far lavorare i figli nei campi senza pagarli con il risultato che nessuno lavora più i campi e i giovani bighellonano. Dopo esserci sincerati che le condizioni di vita nel villaggio non sono mutate – ed in fondo anche questa verifica era uno dei cardini su cui si fondava il ritorno di Abderrahmane a casa per filmare La Vie sur terre –, la documentazione delle attività si sposta verso la preparazione della proiezione del film, pretesto per questa ripetizione della condivisione della manipolazione cinematografica da parte della gente di Sokolo: anche in questo secondo momento si ripercorrono i passi del testo conosciuto, approfondendo la conoscenza (s’insiste sulla macchina da cucire, perché sarà attraverso di essa che si fabbricherà il telo dello schermo, non senza motivo; il sarto fu già motivo di un'osservazione particolare nel precedente incontro, quando si cita Césaire, dicendo: "il 2000 è passato all'altezza di Césaire e non è cambiato nulla") di certi elementi che entrano a far parte del mito. Infatti è proprio questo il senso dell’operazione: creare un mito del primo testo, officiandone il rito attraverso l’identità del luogo e in questo modo rinnovare il gusto della visione, evocando il piacere provato in prima istanza allora aggiungendovi la complicità che riunisce tutti coloro che conoscono l’originale.

E come allora alla centrale figura del padre era demandato il compito di semplificare il concetto di solidarietà ("Se non ci aiutassimo tra noi non ci sarebbe prosperità per la famiglia"), qui le prime interviste riprendono quel concetto e riportano l'opinione che il film di Sissako era importante perché mostrava la notevole fratellanza presente nel villaggio.

In pratica veniamo a far parte di una setta dedita al culto del cinema ed in particolare a quel cinema africano più attento ai piccoli dettagli della vita quotidiana e ai disagi di chi è emigrato e torna temporaneamente al villaggio: allora si avvertiva l'urgenza di mediare l'attaccamento, stavolta il desiderio di condividere il piacere di accertare l'invariabilità rasserenante della quotidianità di Sokolo diventa familiarità anche per lo spettatore, solo per il fatto che ci viene richiesto di conoscere l’antefatto, sennò il gioco non funziona (l’occasione però non prevede l'eventualità di non aver assistito ad una proiezione di La Vie sur terre, poiché era risultato vincitore della passata edizione del festival). Nel film della serie dedicata al millennio si esordiva con la domanda che si pone anche Haroun in Bye bye Africa: "Vale quello che raccontano di noi coloro che vanno a vivere lontano?". Diventa un caso di palinsesto su un originale che viene copiato, citandolo in modo diverso, ma facendo emergere gli stessi aspetti pregnanti aggiungendovi il tempo trascorso ed il ricordo della proiezione precedente per noi che assistiamo alle facce attente e divertite che si riconoscono sullo schermo: una bellissima carrellata di visi avvolti nel buio che osservano lo schermo forse per la prima volta nella loro vita (poiché al momento in cui vengono invitati a sedersi volgono le spalle al telo) in un ricordo di giovani volti cubani riuniti in una sera caraibica a divertirsi di fronte a Tempi Moderni di Chaplin. Probabilmente non è casuale che mentre Sissako aveva dedicato molta attenzione alla presenza del fotografo (addirittura alcuni fotogrammi richiamavano The Cameraman di Keaton), in questo caso invece ci sia un complementare bisogno di rimarcare non i mezzi e i mestieri preposti a catturare le immagini, quanto la necessità uguale e contraria di mettere in scena i meccanismi per "restituire" le immagini rubate, accusa rivolta ad Haroun da un personaggio quasi allucinato, ma lucidissimo.

E quando scorrono i titoli il dubbio è che siano quelli del film del ’98, consumando definitivamente l’identificazione.