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La Colazione dei Campioni
Anno: 1998
Regista: Alan Rudolph;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 02-03-1999


Breakfast of Champions

Breakfast of Champions

Diretto da Alan Rudolph
Scritto da Alan Rudolph e Kurt Vonnegut Jr.
Interpreti: Bruce Willis, Nick Nolte, Albert Finney, Glenne Headley, Barbara Hershey,Omar Epps


Il clima dei romanzi di Vonnegut è rispettato fin dai titoli di tes ta in cui si introducono i disegni esplicativi della grafica che tante pagine de lla produzione letteraria dello scrittore eclettico illustra. Fin dal momento in cui appare lo spot televisivo di Dwayne Hoover nel primissimo fotogramma, gi&ag rave; prodotto di una commistione di linguaggi, si scatena la sarabanda che nei romanzi viene contenuta dal livello di commento autoriale entro una cornice che filtra il racconto attraverso divagazioni volte ad esplicitare con maggiore evid enza il grado di coinvolgimento dell’autore nella trama. Questo aspetto nel film si trova affidato integralmente alla figura di Kilgore Trout, l’alter ego che d a sempre lo scrittore americano si è dato per esprimere il disagio dell’a utore (il ruolo della letteratura, e dunque il suo, viene svelato nel film alla sua apparizione: "Devo svuotarmi la testa come quando arrivai sulla terr a. Sbarazzarmi della spazzatura accumulata negli anni"), affidandogli l’aspetto demiurgico, che nel film di Rudolph diventa prevalente nel finale, un po’ confuso forse a causa della rincorsa a recuperare i tanti argomenti affrontati, tutti mirati a costituire un affresco polemico e graffiante della società americana degli anni ‘70. Per mantenere il linguaggio del romanzo il regista è stato costretto ad utilizzare un modo vecchio di confezionare il montaggio, attraverso raccordi tipici del suo maestro Altman, anche le inquadrature rievocano l’impostazione dell’immagine di venticinque anni fa e probabilmente si può assimilare questo prodotto con Jackie Brown di Tarantino; entrambi tentano di ricreare le atmosfere dello stesso periodo, nel caso di Rudolph si effettua una traduzione da un romanzo ad una pellicola cercando di evitarne l’aggiornamento e così facendo ottiene il risultato di proporre una lettura che mette a disagio lo spettatore perché trova difficoltà ad individuare la corretta chiave, in quanto si deve tenere conto anche della sfasatura temporale, esattamente come Tarantino riedita in un’operazione filologicamente precisa le atmosfere dei film della blackxploitation facendo trasparire nella "traduzione" il tempo trascorso. Questo spaesamento ha ancora maggiore ragione di essere, trattandosi di una trasposizione da Vonnegut, votato da sempre alla meditazione sul linguaggio usato, alla analisi della creazione in fieri, alla distrazione dal tema del racconto, spesso mirato a far emergere il senso della vita assegnato ad un segno della cui rivelazione si è costantemente in attesa. Appartiene a quel periodo anche la figura di scrittore incarnata da Trout, proposto dagli autori come una specie di Bukowski, trasandato e filosofo, ubriacone e demiurgo che va a ripescare il proprio romanzo L'Idiota Ballerino all'Exotica - Erotic Club.

Ovviamente nella società televisiva americana l’esiste nza viene giustificata dallo schermo; a questo proposito bella, seppure scontata nel suo ruolo salvifico, la figura di Celia, la moglie di Dwayne, all'inizio in capace di esprimere una frase non desunta dalle pubblicità, però i n grado di emergere dalla catalessi nel momento in cui vede la possibilità ; di credere in Dwayne..., se sapesse di quale Dwayne poterlo fare (e qui la sua catarsi avviene con lo sparo, che tutti erroneamente intendono come uxoricidio) ; ma nei romanzi di Vonnegut non ci si ferma mai a questo livello di banale crit ica sociologica, invece, come si evince pure nel prosieguo del film, viene espre ssa anche la sensazione di essere soli al mondo, circondati da macchine o da sch erzi che il demiurgo ha voluto fare ai protagonisti per studiarne le reazioni (< a href="http://www.etabeta.it/cinemah/neardark/index.php3?tit=The+Truman+Show&an no=1998">Truman show non avrà mica saccheggiato a piene mani?) . Si tratta di un topos della produzione luddista di Vonnegut, incendiato dal sa cro fuoco dell'eliminazione delle macchine, includendo in questo repulisti anche gli umani che si comportano come tali e perciò risulta gustoso e filolog icamente ineccepibile l'epilogo in cui gli stereotipi vengono nominati rimarcand oli con solerzia (forse un po' eccessiva). È meno facile cogliere questo aspetto se si assiste al film senza conoscere la produzione letteraria da cui tr ae spunto, benché gli autori si premurino di mettere in risalto questa tu rba di Dwayne fin dal suo ingresso in scena con la rivoltella in bocca, tuttavia nell’epilogo tutto torna e si compone persino il discorso datatissimo sull’inco municabilità, che all’inizio appariva giustapposto senza motivo alla plet ora di situazioni e personaggi intercalati senza badare alle loro interconnessio ni. Perché queste non esistono nella mente di Dwayne, creatura di Trout ( e viceversa nell'evoluzione della trama), e nel suo mondo che improvvisamente si sottrae alla sua comprensione. E quindi alla nostra e a quella dei lettori di T rout incontrati lungo il road movie utile per segnalare i temi che accomunano l' immaginario americano: la composizione di tutti i tasselli è la condizion e per conferire un senso al percorso decostruttivo seguito, fatto di coinvolgime nti successivi di elementi che rendono inaccettabile la società descritta a partire dal punto di vista addirittura di un venditore di auto usate (ricorda te lo slogan elettorale contro Nixon? La Colazione dei Campioni è del 1973, di poco successivo e lo slogan del commerciante è You can Tr ust), di divertissement pop come la banconota da 1000$ con il ritratto dell'editore che invita Kilgore Trout alla conferenza o le radiografie in movimento degli organi interni dei protagonisti, di dileggio nei confronti della cittadinanza borghese con il problema di accettare il proprio travestitismo (e Harry-Nolte non è stato nell'esercito, come si sottolinea in modo da evidenziare lo scherno nei confronti dei personaggi machos impersonati dai due attori protagonisti), o i motteggiamenti delle segretarie, fino alla donna impasticcata e al carcerato che ha impostato il proprio futuro sulla cultura televisiva di cui ognuno è imbevuto; in apparenza esageratamente privo di senso, il racconto si precisa proprio perché costantemente sopra le righe e ottiene il risultato di descrivere gli USA come un Luna Park nauseante grazie al furore militante e un po' retorico immancabile nell'ironia di Vonnegut. Tutto molto datato, ma anche estremamente presente, compreso il dubbio sull'identità riproposto da varie angolazioni: la festa di compleanno con Willis-Hoover (altro nome di presidente repubblicano), accerchiato dai volti di se stesso, a confermare l'attrazione per gli specchi, prolessi del finale e simbolo della perplessità sulla propria natura. Infatti più volte viene ribadito: "It's FairyLand" e si spiegano i passaggi tra universi paralleli con "falle tra universi nelle quali si viene risucchiati"; altri termini ricorrenti sono l'esigenza di "cambiamento" (guardaroba, atteggiamenti: è una pulsione che condiziona la vita di Dwayne, lasciando interdette le macchine-stereotipo che gravitano attorno a lui) e a quella categoria di bisogno di mutazione appartiene anche la versione di evasione edulcorata e assorbita nel sistema: "la settimana hawayana", l'equivalente di Bora-Bora in Un sogno lungo un giorno di Coppola, altra rimeditazione sul sogno americano infranto qualche anno prima.

La pietra angolare del film si colloca allorquando Trout e Dwayne ancora distanti rivelano che "Emozione è scoprire quanto può sopportare un uomo prima di rompersi" e qui il regista ha deciso di sottolineare la natura meccanica dell'uomo inserendo un auto-demolizione e si conclude la sequenza sulla battuta: "Ho bisogno di sentire verità mai sentite", preludio (It's not too late to enter si legge sotto lo specchio) al passaggio ironico di Trout dentro uno specchio a metà tra Cocteau e Lewis Carroll ("Fammi ringiovanire") e alla presa di follia cosciente di Dwayne in una sequenza che distrugge alla radice la mistica new age e scompone la figura autoriale forte, riducendolo ad un bambinetto o a un mentecatto, l'unico che si crede dotato di libero arbitrio.

"Non si devono conoscere le risposte, sennò non ci sarebbero più le domande": la ricetta è diventare una macchina-continuatrice, che finché non muore continua a vivere: e con questo le crisi esistenziali possono rimanere relegate nei folli anni '70.