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L'età inquieta - La vie de Jésus Anno: 1997 Regista: Bruno Dumont; Autore Recensione: Marcello Testi Provenienza: Francia; Data inserimento nel database: 26-06-1998
La vie de jesus
La vie de Jésus - L'età
inquieta, Regia e Sceneggiatura Bruno Dumont,
Fotografia Philippe Vanleeuw, Montaggio Guy Lecrome,
Scenografia Frédérique Suchet, Suono Eric
Rophe, Interpreti David Douche, Marjorie Cottreel, Kader
Chaatouf, Geneviève Cottreel, Produzione 3B
Productions, Francia 1997, 96', colore
Profonda provincia francese. Un giovane
disoccupato-orfano-epilettico ha una bellissima fidanzata e quattro
amici con i quali compie scorribande in motorino, in un crescendo che
va dalle prove di coraggio contromano, fino alle molestie sessuali e
all'omicidio razzista di un algerino. Naturalmente in paese tutto
questo non passa sotto silenzio o impunito... o forse no...
Non è un film "morale", nell'inerzia dei personaggi
si perde ogni riferimento, tranne un nota comune di fondo: la
rassegnazione e il senso di colpa traditi dalle lacrime muliebri
della protagonista femminile. Non è neanche un film
religioso e il titolo originale è uno specchietto per
le allodole.
Non è un film sentimentale, non per fallimento, ma per
scelta di un autore che costruisce quadri indipendenti e
claustrofobici, con all'interno azioni concluse e spesso
insignificanti e con un continuo passaggio secco tra il moltolontano
e il moltovicino che impedisce a chi guarda di sentirsi veramente e
naturalmente partecipe. Solo qualche giuria annoiata ha saputo
trovare intensità nell'ennesima interpretazione di un
malato.
Non è un film d'azione, dove questa, come già
detto, è spezzata e dove l'eccessivo avvicinamento porta a
concentrazioni sul volto piuttosto che sul gesto [Bravo, Dumont, hai
scelto proprio cinque bei ceffi - più una bella ragazza
bionda: dopo un quarto d'ora, però, ce ne accorgiamo tutti che
non bastano, appena passata la sequenza in ospedale a visitare il
malato di AIDS - che ci sta come i cavoli a merenda, ma sennò
dove si trovava una ragione per far loro scambiare occhiate su cui
muovere la mdp?].
Non c'è, anche qui programmaticamente, riflessione,
perché ogni male/bene (un po' troppo catechisticamente
ordinati e messi in fila) esiste in quanto tale, come le colline e
l'erba alta fastidiosa (ma accogliente per le frequenti cadute dal
motorino), isolato anche grazie al contesto rurale; il lavoro delle
braccia e della mente passa silenzioso a fianco, come i terreni arati
confinanti con le stradine di campagna teatro di scorribande e di un
duello a quanto pare ripetuto (ma l'ellissi è tale da
suggerrire un taglio in postproduzione) con un rallysta esibizionista
e misterioso, quasi un'entità alla Duel con tutto il
ridicolo del paragone a gettare ulteriore discredito.
Non è un film erotico, fin dall'inizio Dumont spinge
con mano greve e culturalmente reazionaria sulla serialità del
rapporto tra i due protagonisti principali [e agli altri, che per
oltre metà film non vedono una donna neanche in cartolina, non
viene qualche sana tentazione gay, che potrebbe impedir loro di
aggredire una majorette grassottella?], ma nemmeno una
tentazione/citazione pornografica (peraltro subito tagliata)
dà soddisfazione al pubblico, anche perché l'inserto
suona male nella lunga teoria di volti e teste che lo circonda e che
connota il film.
Finale sognante [boh?], con giovane accusato di omicidio che
esce indisturbato da stazione di polizia, corre a infossarsi con il
motorino, poi si ferma un po' a rifletterci, guardando le nuvole.
Questo film non è niente.
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